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Il primo maggio, lo sfruttamento, la bicicletta e la sicurezza sul lavoro

Ieri si è celebrata la festa internazionale dei lavoratori, il momento in cui l’Italia e la stampa si sono improvvisamente ricordati che i temi della precarietà e della sicurezza sul lavoro sono piaghe sociali da affrontare con una certa urgenza.

primo maggio riders

La bicicletta è entrata di diritto nel dibattito sul tema a causa del fenomeno dei riders, i fattorini che vedono il proprio lavoro gestito da app che monitorano le performance lavorative, mentre questo popolo di “liberi professionisti” a pedali consegnano a tutta velocità cartoni della pizza e sushi.

I sindacati hanno presentato il caso delle piattaforme di food delivery come esempio di sfruttamento lavorale del 3° millennio, da contrastare e correggere.

In tutta la narrazione della triplice e dal palco del concertone del Primo Maggio si sono levate voci di sdegno e di denuncia.

Si è parlato di diritti dei lavoratori, eppure non ricordo di aver sentito la proposta di istituire un tetto minimo economico per le singole consegne, una sorta di tassa sul valore aggiunto generato dall’app da destinare alla tutela sociale di chi consegna il cibo a domicilio.

Si è parlato di sicurezza dei lavoratori, si è parlato degli oltre 1000 morti sul lavoro che ogni anno si verificano nella nostra amata penisola, ma ci si è dimenticati di dire che il numero di decessi sul luogo di lavoro è in leggera diminuzione, mentre è in drammatico aumento il fenomeno delle morti “in itinere” (+ 5,2% nel 2017), ovvero di quei lavoratori dipendenti (gli altri non contano) che sono usciti la mattina per recarsi sul luogo di lavoro, ma non ci sono mai arrivati.

Ieri, Primo Maggio, avrei voluto sentire i sindacati offrire soluzioni ai problemi dei riders, lavoratori simbolo dello schiavismo moderno. Ho sentito invece proteste senza proposte.

Si piange per le condizioni dei nuovi schiavi a pedali, ma non si riesce a vedere che il lavoro è cambiato e che la sicurezza sul lavoro non si esaurisce alla porta della fabbrica dove nel ‘900 si svolgeva il rapporto di lavoro. Nel 3° millennio il confine tra tempo del lavoro e tempo del non lavoro è sempre più labile, così come è sempre più labile il confine tra il luogo del lavoro e il luogo del non lavoro.

La tutela della sicurezza del lavoratore oggi deve andare oltre le porte dell’ufficio o della fabbrica per abbracciare tutto ciò che avviene da quando il lavoratore (subordinato, parasubordinato o autonomo) esce di casa fino a quando vi rientra.

Se si vuole parlare di tutele per i riders, simbolo della gig economy, non si può ignorare il loro ambiente di lavoro (la strada) e le regole che lo governano (il codice della strada) che tutelano la velocità, ma non la sicurezza. Ma forse il ragionamento è troppo complesso e richiede troppo coraggio.

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