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Birmania in bici: il racconto di Valeria

Birmania in bici
Non è mai stato un mio sogno andare in Birmania, e fino a qualche mese fa non avrei saputo nemmeno indicarla su una cartina geografica. Ma quando ho iniziato a sognare un possibile itinerario da percorrere in bici mi sono imbattuta per caso in un foto dei templi di Bagan ed ho deciso in quel momento che li’ ci sarei dovuta andare. E cosi’ ho pianificato il mio percorso cominciando da Mandalay, per poi proseguire a Sud verso Yangon, passando proprio da Bagan. Prima della partenza ho letto un sacco di cose sulla Birmania, dal clima al cibo, dalla religione alla storia politica burrascosa… Ma niente avrebbe potuto prepararmi allo shock culturale a cui stavo per andare incontro.

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Da una fredda e grigia Londra mi sono improvvisamente trovata catapultata nel folle traffico di una Mandalay polverosa, calda e caotica. La lingua, i segnali stradali, i prodotti venduti nelle bancarelle, gli odori, gli abiti, i gesti e le espressioni delle persone, niente mi era famigliare… La sicurezza con cui, prima della partenza, spiegavo a tutti che avrei attraversato il Sud Est Asatico in bicicletta da sola, svanisce nel giro di poche ore. Ancora confusa del jet lag inizio a pedalare, i primi giorni attanagliata da mille domande, per lo piu’ (me ne rendo conto ora), assurde: a che ora tramonta il sole, faro’ in tempo a fare 100 km? Ho mal di gola, sara’ colera? Ho mangiato un pezzo di carota cruda, entro quanto staro’ male? Posso pedalare in autostrada? Posso bere il brodo? Posso salutare i monaci? Posso entrare nei templi coi calzini? Il primo giorno di pedalate per la prima volta mi ritrovo a pensare che forse ho fatto una scelta un po’ avventata, forse avevano ragione tutti quelli che pensavano fossi pazza ad andare a pedalare, da sola, in Birmania.

Lentamente il chaos cittadino lascia il posto alla campagna, alle risaie, ai campi arati a mano, ai motorini che mi si affiancano non per infastidirmi, ma per salutarmi, alle gente per strada che mi sorride e saluta, sciogliendo lentamente ogni mia insicurezza.
Un chilometro alla volta inizio a conoscere la vita nei villaggi birmani. Ogni mattina incontro le lunghe file di monaci che si recano in paese per accettare riso in dono, saluto i bambini in divisa che vanno a scuola in bici, supero gruppi di donne che scaldano il catrame per asfaltare la strada, osservo le signore che a meta’ pomeriggio si lavano nelle tinozze trasformando il loro longyi in parei, mi fermo dai venditori di cibo da strada che friggono costantemente, vengo invitata al pranzo domenicale del paese che avviene sotto una capanna a bordo strada, passo i ragazzi che tagliano ed intrecciano il bamboo creando sedie, tappeti, cesti e cappelli, vengo superata da motociclette che trasportano famiglie di 5 persone (bambino-padre-ragazzo-madre+neonato), polli vivi, cestoni di fieno, cocomeri, centinaia di uova… La vita avviene sulla stada in Birmania, all’aperto, ed e’ impossibile pedalare senza diventarne parte.
Ma soprattuto vedo i templi e le statue giganti di Buddha sdraiati o seduti. Non quelli sfarzosi ed eleganti delle grandi citta’ (che son belli da togliere il fiato, ma quasi te l’aspetti), quelli delle campagne, di quei villaggi dove non c’e’ nulla se non alcune baracche. Basta girare un po’ e si trova una stupa dorata, un Buddha enorme, un templio… Sono delle oasi di pace, per lo piu’ deserte, che sorprendono per i loro colori, per la follia della loro grandezza, per i rituali sconosciuti ed affascinanti che li caratterizzano. Per settimane, ogni volta che penso di averne avuto abbastanza di templi, ne trovo uno che mi stupisce nuovamente. Succede la stessa cosa a chi vede chiese e cattedrali per la prima olta? E’ la quotidianita’ che le rende scontate ai nostri occhi?

Pedalare in campagna in Birmania vuole anche dire essere perennemente coperti di polvere rossa, sentire la saliva dei cani randagi sui polpacci, non potersi fermare per un caffe’ tranquillo per riprendee fiato perche’ improvvisamente si e’ diventati l’attrazione del villaggio. Vuol dire venire accecati dai gas di scarico di alcuni camion, e dover schivare gli sputi rossi della noce di Beten, che gli uomini masticano e sputano in continuazione.
La Birmania e’ un paese che sta cambiando velocemente, e attraversandola in bici, da Nord a Sud, e’ impossibile non notarlo. Tante strade sterrate sono state recentemente asfatate, il traffico pesante sfreccia veloce forzando i carri trainati dal bestiame sul ciglio della strada. Alcuni hotel non hanno acqua calda ma hanno wifi, i ristoranti non rispettano le minime norme igeniche eppure ne stanno spuntando alcuni ‘organici’, i sacchetti di plastica vengono utilizzati a quintalate ma non vengono poi smaltiti, e nelle grandi citta’, proprio di fianco alle baracche in cui vivono centinaia di persone, vengono eretti mostri di cemento che saranno hotel con piscine e campi da golf. Rabbrividisco al pensiero che tra qualche anno, per entrare nei templi saranno distributi gli stessi copri calze di platica blu che vengono offerti negli aeroporti.

La cosa che piu’ mi ha affascinato della Birmania e’ stata Bagan. E’ stata la ragione per cui ho deciso di venire qui, ed ha superato ogni aspettativa. Semplicemente un posto magico. E poi i sorrisi dei bambini, le stupa su ogni spontone di roccia, i caffe’ con il latte condensato, il riso con i ceci e i semi di sesamo a colazione, i Buddha giganti, la disponibilita’, curiosita’ e la voglia di aiutare della gente.
Le cose che invece mi han creato piu’ problemi in Birmania sono state 1) Il traffico folle delle grandi citta’. Chi e’ stato in Asia gia’ lo sapra’, io ne avevo solo sentito parlare. E’ un marasma di auto e camion (per lo piu’ con la guida a destra tra l’altro, come il traffico, a destra, rendendo ogni sorpasso un azzardo), moto, bici e pedoni. Ma la confusione e’ solo apparente, ci sono delle leggi segrete che lo regolano, tutto sta nel decifrarle e nel cercare di conformarcisi. 2) La comunicazione. Per qualche decennio parlare inglese e’ stato un tabu’ e di conseguenza anche parole base come toilet, food ed hotel sono incoprensibili. 3) I cani randagi. 4) L’essere constantemente osservata. Solo quando ho raggiunto le grandi citta’ del Sud mi son resa conto di quanto remoti fossero i villaggi che avevo attraversato: non avrei dovuto sorprendermi dei bambini che restavano a bocca aperta, dei ristoratori che chiamavano tutta la famiglia quando entravo, dei clienti dei bar che ammutolivano e che osservavano ogni mio gesto e delle decine di persone che han volto una mia foto. Non e’ mai stato un problema, solo un fastidio, a lungo andare.

Per quando riguarda il viaggiare da sola, che era la fonte di preoccupazione primaria pre-partenza della maggior parte di amici e parenti, la cosa ha creato stupore anche tra i locali. Occasionalmente qualcuno mi si affianca ripetendo “One?”. Mi ci e’ volute qualche giorno per capire che mi chiedevano, stupiti, se viaggiassi da sola. L’unico problema che il viaggio in solitaria mi ha creato, finora, e’ stato dover bere due cocktail all’Happy hour di Bagan!
Ci sentiamo dalla Tailandia!

Giorni in Birmania: 24
Km totali: 1606
Forature: 8 (di cui 7 in un colpo solo a Bagan)
Racconti birmani settimana per settimana (in inglese)

Myanmar


Instagram: Valzonbu

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