Quando il cicloattivismo ha successo: lezioni da Berlino

Il Parlamento di Berlino ha da poco approvato una legge con diversi provvedimenti a favore della mobilità attiva.

Nuove piste ciclabili, nuovi parcheggi bici da 100mila posti in totale, la messa in sicurezza di 30 incroci l’anno, sono solo alcune delle misure previste (trovate maggiori dettagli in questo articolo).

L’aspetto più interessante di questa legge per la mobilità è il modo in cui si è arrivati ad approvarla: tutto è nato dall’impegno di un gruppo di attivisti pro-bici, che nel 2015 ha iniziato a raccogliere firme per organizzare un referendum su queste misure. La loro iniziativa ha avuto un grande successo, tanto che in meno di un mese sono state raccolte più di 100mila firme, mettendo fermamente la bici al centro dell’agenda politica in vista delle elezioni del 2016.

Crediamo che l’esperienza di questo gruppo di cittadini possa essere molto utile a chi, anche da noi, si batte per accrescere l’attenzione su questi temi. Per questo abbiamo rivolto alcune domande a Ragnhild Sørensen, di Changing Cities, associazione nata proprio in occasione del referendum. L’intervista è stata condotta in inglese e in tedesco; riportiamo qui la traduzione in italiano.

Bikeitalia: Come è nata questa associazione (Verein)? È composta da persone che erano già attivisti pro-bici? Perché si è deciso di creare una associazione ad hoc invece di lavorare tramite associazioni già esistenti, come la ADFC (la FIAB tedesca)?
Ragnhild Sørensen: Gli attivisti hanno deciso di formare un’associazione registrata allo scopo di ottenere donazioni in denaro; per un gruppo non organizzato di persone questo non sarebbe stato possibile, ma per un’associazione no-profit è facile ottenere donazioni (se riesci a convincere le persone…). Inoltre, questo aiuta le persone a definirti, e rende più facile diventare un “brand”.
All’inizio la ADFC non era molto interessata all’idea di raccogliere firme per cambiare la legge – semplicemente non ci credevano. Volevano continuare a focalizzarsi sul lavoro che hanno fatto per anni: cercare di cambiare le cose a un livello molto locale, con i politici locali. Hanno gruppi locali da anni e collaborano con i politici locali – volevano mantenere questa cooperazione e temevano che un livello più alto di confronto avrebbe messo in crisi questo sistema. Ma alcune persone all’interno di ADFC non erano d’accordo, e sono diventate parte del movimento. Oggi cooperiamo molto bene insieme.
C’era anche un altro aspetto dietro all’idea di formare una associazione: in normali associazioni come la ADFC devi essere un membro per essere un attivista. In Changing Cities funziona in modo diverso: se sei attivo e fai cose con altre persone, sei parte del movimento. Non c’è bisogno di iscriversi ufficialmente, puoi semplicemente iniziare a lavorare! Questo ha reso (e rende ancora oggi) molto facile per le persone diventare parte del movimento, e c’è una gerarchia molto orizzontale: chi decide è chi è attivo. Naturalmente c’è anche una struttura formale, e ci sono alcune regole standard di comportamento, ma niente di più. Questo ha reso l’associazione molto fluida e in grado di reagire velocemente agli eventi politici.

B: Quindi la raccolta di firme per il referendum è stato il principale o l’unico scopo dell’associazione fin dall’inizio? Pensi che avere un unico focus sia stato importante per unire le persone nel raggiungimento dell’obiettivo?
RS: Raccogliere le firme era naturalmente il nostro obiettivo, allo scopo di fare una legge per la mobilità a Berlino. Abbiamo un’espressione per questo: Verhehrswende von unten (cambiamenti nella mobilità fatti dal basso). Ci sembrava ovvio che politici e amministratori non fossero in grado da soli di fare i cambiamenti necessari: non comprendevano la necessità del cambiamento che esisteva fra la popolazione di Berlino.
Ma non era importante solo raccogliere firme – grazie al focus sulle bici sarebbe stato possibile cambiare molto altro. La bici suscita tutta una serie di emozioni: libertà, facilità di accesso, è economica e soprattutto sostenibile. Abbiamo parlato molto della bici, ma in realtà stiamo parlando di un nuovo concetto di città. Quando inizi a dare più spazio alla bici in città, inizi a cambiare tutto il paesaggio urbano. Quello era e rimane l’obiettivo principale. Non si tratta di “bici”: la bici è solo un veicolo che serve a cambiare la città, facendola diventare più sostenibile, umana, pulita e bella.

B: Come sono stati decisi i contenuti della proposta? È stato difficile arrivare a un accordo su cosa avrebbe dovuto includere la legge, e cosa invece andava escluso?
RS: Il movimento è iniziato elencando 10 richieste, e affiggendole alla porta del municipio (un po’ come fece Lutero nel 1517). Queste 10 richieste sono state il punto di partenza. Affermavano che era necessario ridefinire lo spazio urbano: guardiamo alla città senza pensare solamente alle automobili, riducendo la priorità data alla mobilità motorizzata. Questo cambiamento di priorità non è stato semplice per i politici, ma alcuni eventi ci hanno aiutato: una elezione a Berlino ha portato a un governo di coalizione fra verdi e social-democratici, e queste persone erano pronte a questo cambiamento di prospettiva: avevano compreso che era necessario fare dei cambiamenti.

B: Come siete riusciti a raccogliere così tante firme?
RS: La campagna è iniziata circa 6 mesi prima dell’inizio della vera e propria raccolta di firme. Questa preparazione è stata essenziale: parlare alla stampa, trovare altri portatori di interessi in città interessati a sostenerla, fare dimostrazioni pubbliche. Circa 1000 persone hanno lavorato alla raccolta delle firme – molti di loro erano commercianti che hanno raccolto le firme nei loro negozi. Il modulo era anche scaricabile da internet, e quindi facilmente accessibile per tutti. Abbiamo chiesto alle persone di portare i moduli nei loro luoghi di lavoro e raccogliere firme lì. La rete è cresciuta e avere un obiettivo preciso in termini di numeri e di tempo ha aiutato.

B: Quali sono le lezioni più importanti che potete trarre dalla vostra esperienza? Come è possibile replicare il vostro successo altrove?
RS: Stiamo già replicando questo successo altrove: circa 15 città tedesche stanno copiando il nostro modello. Cerchiamo di aiutarli come possiamo, e per loro è più facile: possono copiare le nostre azioni, avere accesso alle nostre conoscenze e ai nostri materiali (oggi stiamo mandando un pacco di materiali alla città di Rostock: loro possono usarli apponendo il loro logo, e una volta finita la campagna inoltrarli alla prossima città).
È necessario fare molto networking; è necessario presentare richieste molto semplici, adatte alle condizioni locali; ed è necessario crederci fortemente. Il cambiamento non avviene da sé, bisogna lottare per averlo.


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