Il territorio suggerisce soluzioni per la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese

Il territorio suggerisce soluzioni per la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese

Fin dal primo momento abbiamo guardato alla Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese come a un sogno per un nuovo Sud, e non a caso, grazie all’intuizione di Cosimo Chiffi, lo abbiamo definito un “itinerario narrativo”, capace cioè di evocare e raccontare la storia e la natura della Puglia e del Sud Italia. Oggi che il progetto si avvia a divenire realtà con i tecnici incaricati dalla Regione Puglia impegnati nella prima fase di progettazione dei tratti Spinazzola-Monte Fellone e Monte Fellone-Santa Maria di Leuca, è necessario più che mai prima ancora che guardare alle soluzioni tecniche riprendere lo spirito di questo progetto, se davvero vogliamo farne un progetto di sviluppo per le comunità locali del Sud.

Ciclovia_acquedotto

È bene allora ripartire dai tre pilastri che sono alla base del progetto, una ciclovia che seguendo la condotta storica dell’Acquedotto Pugliese parte da Caposele (Avellino) per attraversare Alta Irpinia, Vulture, Alta Murgia, Valle d’Itria, Arneo e Salento, per giungere dopo circa 500 chilometri al cospetto della cascata monumentale di Santa Maria di Leuca.

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Il primo pilastro è quello della “via verde”, così come l’aveva immaginata Antonio Licciulli, storico esponente della Fiab di Puglia, che nel 2005 per primo guardò alla pista di servizio dell’Acquedotto Pugliese come a un possibile percorso ciclabile, “la dorsale di una rete di strade verdi che valorizzino il territorio agli occhi di turisti attenti e rispettosi”.

Il secondo riguarda invece la “mobilità lenta”, e ad aver guardato alla pista di servizio come a un asse del sistema regionale della mobilità lenta non è un tecnico qualsiasi ma Alberto Magnaghi, padre del Piano paesaggistico della Puglia, individuando questa pista come asse di un nuovo sistema per gli stessi cittadini pugliesi, prima ancora che per il potenziale turistico. E dunque non è difficile immaginare questa Ciclovia, che già abbraccia e unisce tutta la Puglia da Nord a Sud, come un asse su cui sviluppare bretelle e circuiti per collegare i maggiori centri urbani e i più affascinanti siti sotto il profilo ambientale e turistico.

Infine, il terzo è l’“epopea dell’Acquedotto Pugliese”, tra storia e archeologia industriale, messo a fuoco più nitidamente dall’esperienza del Coordinamento dal Basso che fin dalle prime battute delle sue azioni ha chiamato a partecipare alla progettazione della Ciclovia l’Aipai, l’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale.

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Mentre in altre esperienze (da Vento alla Ciclovia dell’Adige) si cerca di costruire una grammatica del paesaggio da narrare, qui un grande punto di forza c’è già, non bisogna inventarlo. Gli elementi base di questo paradigma sono ben individuati innanzitutto nelle emergenze di archeologia industriale: le targhe segnachilometri, le fontanine, le fontane, i ponti canale, le case cantoniere, i torrini, gli impianti di sollevamento, i serbatoi, i cippi, la centrale idroelettrica sono i “naturali” punti di riferimento di chi pedala, costruendo passo dopo passo quel percorso narrativo che ognuno di questi straordinari elementi evoca.

C’è poi il filo del paesaggio storico, quello che collega i borghi e i monumenti dell’Italia interna del Sud (da Castel del Monte a Leuca Piccola), ma non meno importante è la Puglia rurale di jazzi, masserie, pajare e grotte con i sentieri segnati dai muretti a secco, oggi patrimonio dell’Unesco. Il tutto inquadrato in una straordinaria via verde, con una serie di aree naturali (parchi, a iniziare dal Parco nazionale dell’Alta Murgia, aree Sic, oasi Wwf, siti Unesco, ecc.).

Qui non si tratta, insomma, di costruire una ciclabile come un’altra, magari replicando soluzioni delle ciclovie del Nord Europa. Si deve costruire proprio la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese. E dunque il progetto complessivo deve essere tarato su misura, ripartendo dalla suggestiva narrazione. Cioè dall’itinerario narrativo. Solo così si potranno individuare soluzioni che esaltino la meraviglia di questo percorso che già di per sé evoca una delle pagine più entusiasmanti (e forse non adeguatamente conosciute) della storia del Sud e della Puglia. Soluzioni che alimentino lo stupore e l’incanto per una delle più perfette macchine di ingegneria idraulica del mondo che un secolo fa è riuscita a strappare alla schiavitù della sete un intero popolo e che ancora oggi assolve in modo magistrale al suo dovere. Si tratta insomma di scoprire il Genius loci della Ciclovia.

Quali possono essere queste soluzioni? Per un progetto così innovativo nessuno ha la soluzione in tasca. Ma certo l’esperienza del Coordinamento dal Basso per la Ciclovia dell’Acquedotto, che in questi ultimi quattro anni ha contribuito in maniera determinante a definire e promuovere il tracciato, qualcosa la indica. Tra gli attivisti delle oltre cento associazioni e imprese che partecipano a questa esperienza, per esempio, c’è una certa apprensione per il destino della storica pista di servizio: trasformarla tutta in strada bianca come è accaduto nei 15 chilometri rimessi a nuovo in Valle d’Itria? I tratturi di Puglia sono rossi come la terra rossa compatta che salda le pietre amare dello sterrato percorso da oltre un secolo senza particolari problemi dagli acquedottisti. Non sarebbe meglio pensare a una manutenzione leggera della pista senza stravolgerne i connotati storici? Le strade bianche lasciamole alla Toscana.

Al di là degli standard indicati dal Ministero delle Infrastrutture, le soluzioni tecniche sono importanti ma bisogna evitare un approccio meramente ingegneristico. “Una ciclabile o un cammino disegnati senza un progetto di territorio sono un legame muto”, afferma l’urbanista Diana Giudici nel recentissimo volume “Ciclabili e cammini per narrare territori” (Ediciclo editore). Le emozioni di chi pedala vanno sostenute e alimentate con una segnaletica non solo formale: colori diversi del fondo stradale per indicare le diverse emergenze storiche e paesaggistiche, come è stato fatto nel Parco lineare di Caltagirone (Ct) dove i colori diversi del percorso suggeriscono in che modo guardarsi intorno. E ancora una segnaletica orizzontale “artistica” che può raccontare i luoghi attraversati, sul modello del Muro di Sormano (Co), una salita epica per il ciclismo italiano. Per non parlare delle fontanine (le mitiche “cape de firr” che popolavano a ogni angolo tutti i paesi di Puglia), che potrebbero tornare con la loro eleganza ad abbeverare i viandanti lungo il percorso.

Sono solo degli esempi, certo. Ma le Cicloesplorazioni che nel 2015 e nel 2016 hanno fatto scoprire il percorso, permettendo di inserirlo tra le quattro ciclovie di priorità nazionale, vanno proprio in questa direzione. Ricostruire la narrazione dei territori, come è anche avvenuto con la pubblicazione della guida “Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese” che di questa esperienza partecipativa è figlia. Sarà pure una piccola nicchia di visionari che guarda alla Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese come a un sogno possibile, ma è una nicchia che indica una strada nuova per tutti, aprendo nuove frontiere per il turismo nel Mezzogiorno e sollecitando il protagonismo dei territori e delle comunità.

Insomma, qui non si tratta di immaginare solo un progetto per pedalare in sicurezza, ma offrire un’esperienza immersiva (magari anche con l’ausilio della realtà virtuale offerta dalle app) nella storia del Sud, sul filo della bellezza. Ecco perché c’è da aspettarsi molto dai progettisti, ma anche dalle Regioni Puglia, Basilicata e Campania e dai loro assessorati al Turismo e alla Cultura, chiamati a un’importante e nuova opera di promozione. C’è da scoprire il Genius loci di questa infrastruttura. Perché la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese non sia una mera strada ciclabile e non nasca come una delle tante cattedrali nel deserto che la storia ha consegnato al Sud.

di ROBERTO GUIDO
(Coordinamento dal Basso per la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese
e autore della guida “Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese”)

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