Autoscuole esentate dall’IVA, ma i soldi per le ciclabili non si trovano mai
Questa settimana si è tenuto lo sciopero delle autoscuole italiane.
Il motivo della mobilitazione è il pronunciamento dell’Agenzia delle Entrate che ha stabilito che ai corsi di teoria e pratica per il conseguimento della patente di guida bisogna applicare l’IVA al 22% poiché questi non sono corsi assimilabili a quelli scolastici o universitari che, invece, ne sono esentati.
A partire da oggi, quindi, le scuole guida di tutta Italia dovranno iniziare a versare l’IVA sulle proprie attività e questo significherà un aumento conseguente del costo per conseguire la patente di guida.
Paolo Colangelo, presidente di Confarca Autoscuole, ha dichiarato a quifinanza.it come stanno le cose: “se un corso di scuola guida costava mediamente 380-450 euro, oggi con l’Iva al 22%, che siamo obbligati ad applicare, arriva a costare circa 460-550 euro”. Significa che per ogni nuovo patentato lo Stato fin’ora ha perso tra gli 83 e i 99 euro di IVA.
Nel solo 2018 sono state 1.866.969 le nuove patenti distribuite attraverso le 6.910 autoscuole che operano sul territorio italiano (fonte MIT).Basta fare due conti veloci per rilevare come solamente l’anno scorso sono mancati all’appello delle casse dello Stato tra i 155 e i 185 milioni di euro.
Ribaltato il concetto, però, questo significa che nel 2020 l’erario italiano potrà disporre di oltre 150 milioni di euro in più ogni anno da utilizzare come meglio crede.
Proprio in questi giorni è in corso a Roma la grande battaglia tra le forze politiche della maggioranza per redigere la Legge di Stabilità 2020 che, come sempre, distribuirà denari in alcuni ambiti e ne lascerà fuori degli altri con la scusa della mancanza di coperture.
L’esperienza ci insegna che quando si parla di biciclette e mobilità sostenibile le coperture non si trovano mai perché le priorità sono sempre altre. Quest’anno però la questione IVA sulle lezioni di scuola guida offre un’opportunità irripetibile per lo Stato di decidere in quale direzione vuole che si sviluppi la mobilità del futuro.
Ma con 150 milioni di euro all’anno si può fare molto: si possono offrire sgravi fiscali per l’acquisto di biciclette per il bike to work, si possono formare i tecnici comunali affinché imparino finalmente come vanno progettate e gestite le strade, si può sperimentare un programma di prescrizione medicale dell’uso della bicicletta per alcune categorie di malati, si possono finanziare progetti di messa in sicurezza delle strade per i soggetti deboli.
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E ai proprietari e gestori delle scuole guida mi sento di rivolgere una domanda: invece di chiedere di essere esentati dall’IVA, perché non chiedete che il rinnovo della patente preveda dei corsi di aggiornamento obbligatori? Significherebbe più lavoro, maggiori entrate e maggiore sicurezza sulle strade.
Il settore delle automobili è al centro, grazie ad una pubblicità falsa, e ubiquitaria, dei sogni, in particolare dei giovanissimi. Inoltre, in Italia, esiste anche una pubblicità negativa relativa al ciclismo urbano, in cui si vede il ciclista urbano che arranca, spesso in salita o sudato, confermando alcuni stereotipi negativi. Per non parlare di alcuni penosi articoli come quello apparso su Rolling Stones.
Il ciclismo urbano sarebbe invece uno degli strumenti per far ripartire l’economia.
L’investimento in piste ciclabili fatte bene è nell’ordine dei milioni di euro. Copenaghen ne ha spesi 200 negli ultimi anni, creando addirittura delle sopraelevate per evitare delle zone trafficate.
Per adeguare una grande città italiana occorre spendere poche decine di milioni, senza arrivare al livello di Copenaghen.
Tuttavia occorre considerare anche i benefici monetari: il solo risparmio economico per chi cambia abitudine e sceglie la bici al posto dell’auto si può stimare mediamente in almeno 500 euro netti all’anno a testa, almeno questa è la stima del mio risparmio, che da 12 anni mi muovo in bici. Il solo costo di benzina e manutenzione dell’auto, SENZA CONSIDERARE:
– benefici ambientali
– effetti benefici sulla salute e sull’umore
– minore inquinamento locale (PM10, NO2, CO…) e globale (CO2)
-minori congestioni e minori perdite di tempo anche per gli automobilisti
giustificherebbe tali investimenti. Se 10 milioni di italiani cambiassero abitudine si tratterebbe di almeno 5 MILIARDI all’anno di risparmio privato aggiuntivo, senza dover sottrarre nulla a nessuno, ma soltanto effettuando dei (relativamente) piccoli investimenti. Quindi il gioco vale la candela, con POCHI investimenti pubblici si avrebbero benefici duraturi, a livello privato (nell’ordine dei miliardi di euro).
Ovviamente occorrerebbe partire da città dove già esiste un buon numero di ciclisti urbani, o dove esiste una cultura favorevole all’utilizzo della bici come mezzo di trasporto.
Mi chiedo: se nella maggioranza dei paesi europei lo fanno, perché non dovremmo effettuare tali investimenti in Italia, dove ne avremmo maggior bisogno a causa della situazione finanziaria a dir poco DISASTROSA?
SOLO per favorire una “generosa” e cieca cultura dell’auto e del suo uso e sopruso. Perché sia un mercato virtuoso quello che vede tanti bei giovanotti affollare le aule di lezione prima e le strade dopo.
Non sono contrario alle patenti d’auto, vedo solo che l’italiano medio stravede per l’auto e tutto quello che gira attorno. Sei un pezzente se ti fai la patente a 40 anni, solo perché ormai davvero ti serve o se con tanto di patente dai 18 anni, vivi una vita libera e serena con la tua bici e i mezzi pubblici.
Tutte le nazioni d’Europa lo fanno, noi siamo più bravi però…
Non sono d’accordo con questo modo di ragionare. Perché bisogna trovare i soldi a “scapito” di altri? I finanziamenti dovrebbero arrivare per cultura popolare, perché ci si crede. In questo modo le cose (ciclabili ) sarebbero fatte tra l’altro meglio.
Perché a scapito? Per quale motivo i corsi di guida dovrebbero essere esentati dall’IVA e quelli di inglese o informatica no?