Una vita in sella: intervista ad Alberto Fiorin

Nel 1975 un ragazzino di quindici anni prende la bici e gira mezza Italia. Alla fine degli anni ’80 le spedizioni in Cina, in Siberia, il primo incidente. Dalla collaborazione con Ediciclo ai reportage, un uomo che della passione per i viaggi in bicicletta ne ha fatto una professione. Oggi Alberto Fiorin è diventato grande, ma a pedalare si diverte ancora come il quindicenne di un tempo. E adesso ci va anche con la famiglia.

1975: a 15 anni parti per il tuo primo viaggio in bicicletta. Come è venuta l’idea?
foto_AlbertoBeh, devo subito fare una premessa essenziale. Io abito a Venezia, l’unica città al mondo in cui è proibito l’uso della bicicletta, e già questa è una considerazione importante per capirmi. Ebbene, forse proprio questo divieto, questa impossibilità, mi ha stimolato all’uso anche perché, fin da piccolo, ho sviluppato una sorta di avversione ai motori (anche quelli nautici) e alla benzina: mi piaceva vedere vogare e non amavo le barche a motore su e giù per la laguna. Di conseguenza che non ho mai sviluppato il bisogno di possedere un motorino e il mio desiderio di libertà di movimento l’ho sublimato attraverso la bicicletta. E infatti ricordo ancora le sensazioni esaltanti di indipendenza lungo le strade dell’Umbria e della Toscana, l’avvicinamento di Colle Val d’Elsa, San Gimignano, Spello. È stato proprio il mio primo viaggio, nell’estate della quinta ginnasio. Ancor oggi non ho la patente. Per scelta: ciclista non per caso.

vento-dei-fiordi-fiorinIn famiglia qualcuno ti ha trasmesso la passione per la bicicletta?
No, né mio padre né mia madre sono mai stati particolarmente appassionati alla bicicletta. C’è però da dire che mio nonno Natale, che però non ho mai conosciuto essendo deceduto 12 anni prima che io nascessi, era invece un grande appassionato ed è stato nel 1913 uno dei fondatori della Società Ciclistica Pedale Veneziano, di cui adesso sono vice-presidente. Corsi e ricorsi storici, i cromosomi evidentemente vorranno significare qualcosa… In effetti l’ho a lungo ricordato nel libro “Il vento dei Fiordi. In bicicletta da Venezia a Capo Nord lungo la rotta del baccalà” perché durante quel viaggio l’ho sentito come una sorta di ispiratore e protettore.

Cosa dicevano i tuoi coetanei e i tuoi genitori: “sei pazzo“?
A dire il vero se ripenso ai miei genitori che a 15 anni mi lasciavamo andare in giro per l’Italia e per l’Europa in bicicletta, pur con altri coetanei (e a volte con la supervisione di mio fratello maggiore), mi stupisco ancora della naturalità con cui acconsentivano. Adesso, che ho un figlio sedicenne e mi trovo dall’altra parte della barricata, sinceramente non avrei la stessa leggerezza. E dire che i miei genitori non erano certo dei permissivi. C’è però da specificare che 35 anni fa il traffico sulle strade era diverso, molto meno invasivo e di conseguenza circolare lungo le strade, anche statali, era assai meno pericoloso. Per quanto riguarda i miei coetanei, invece… Erano anni in cui l’originalità era una dote apprezzata e viaggiare in maniera alternativa ed economica (in autostop ad esempio) rientrava in una certa logica. No, allora nessuno mi dava del pazzo. Con gli anni, invece, ho trovato un numero maggiore di persone che accoglieva con diffidenza (e uso un eufemismo) questo mio modo di muoversi.

Dove ti informavi, allora che internet non c’era?
Beh, certamente l’organizzazione del viaggio era una parte esaltante probabilmente più del viaggio stesso (d’altronde lo è tuttora, anche ai tempi del web). Noi quattro amici, compagni di liceo, ci trovavamo nelle sere d’inverno a individuare il possibile percorso, acquistavamo le carte stradali più dettagliate (possibilmente in scala 1:200.000), leggevamo nell’enciclopedie di casa e nelle guide turistiche le caratteristiche principali delle cittadine per valutare le soste, scrivevamo ai vari ostelli per prenotare i posti in quel determinato giorno, ci informavamo sulla presenza di eventuali conventi atti ad ospitare viaggiatori, correggevamo il tiro nel caso ce ne fosse bisogno, andavamo in cerca delle salite più importanti da affrontare lungo il percorso, cercavamo di documentarci sulle stesse. Mi ricordo che, quando facemmo la Venezia, Salisburgo, Vienna, Graz e ritorno uno dei problemi principali era accertarsi se la strada a pagamento del Grossglockner richiedesse o meno il pedaggio anche ai ciclisti. Eravamo preoccupati del fatto che per far tutta quella fatica, avessimo anche dovuto pagare… Per fortuna i casellanti, quando ci hanno visto, ci hanno fatto un cenno sbrigativo del tipo: circolare, circolare…

Incontravi altri viaggiatori in bici in Italia? E all’estero?
A dire il vero non ho il ricordo di tanti incontri con altri viaggiatori in bicicletta, ma all’epoca devo dire che comunque non ci sentivamo delle mosche bianche, degli eroi, per noi era una scelta abbastanza naturale e la vivevamo nella piena consapevolezza della sua normalità. E tuttora il viaggiare in bicicletta lo vivo come una naturale espressione di viaggio, il voler conoscere il mondo con lentezza e spontaneità, senza voler caricare il tutto di troppi significati. Certamente oggi, per fortuna e soprattutto in determinate rotte e nazioni, s’incontrano moltissimi altri “colleghi” con cui approcciarsi e scambiare informazioni.

strade-d-oriente-fiorinNel 2003 il primo libro con Ediciclo: come è nata la collaborazione?
La collaborazione è nata subito dopo la conclusione della grande avventura da Venezia a Pechino, che io tra l’alto ho dovuto interrompere dopo una sola ora di viaggio e 25 dei 12.000 chilometri previsti per una caduta. A me è sempre piaciuto tenere dei diari di viaggio ed ero già partito con l’idea che mi sarebbe piaciuto pubblicare qualcosa a riguardo (nel caso avessi veramente avuto qualcosa da dire) anche se ancora non sapevo che quel viaggio da me sognato e organizzato si sarebbe trasformato in una grande impresa incompiuta. Così con l’amico Aldo, colui che ha tenuto il diario di bordo trascritto quotidianamente nel nostro sito internet, abbiamo contattato Vittorio Anastasia, l’anima di Ediciclo Editore, che conoscevamo bene come l’editore di punta nel settore della bicicletta, ed ecco che è nato il nostro “Strade d’Oriente“, il primo delle mie nove pubblicazioni con la casa editrice di Portogruaro, compresi libri di narrativa e guide di piste ciclabili.

E’ facile far conciliare lunghi periodi fuori casa per i viaggi con le esigenze di una famiglia?
alberto-fiorinDevo dire che a me piace condividere la passione per questo tipo di viaggi con la famiglia e ancora prima di diventare genitori con la mia compagna Tiziana abbiamo effettuato lunghi viaggi in bici (Irlanda e Olanda tra gli altri…) o anche a piedi (Cammino di Santiago di Compostela) perché la dimensione dello spostamento lento e legato all’uso esclusivo delle proprie forze l’abbiamo condivisa fin da subito. Poi è nato Fausto (sic!, omen nomen) e il primo viaggio a famiglia allargata lo abbiamo fatto che il piccolo aveva un anno e mezzo, sulla pista ciclabile del Danubio da Vienna a Budapest. Ovviamente seduto sul suo seggiolino posteriore. Quindi questi viaggi, che abbiamo continuato a realizzare e tuttora ci godiamo, hanno un ritmo rilassato, viaggiamo con le bici e le sacche, ci portiamo dietro la nostra casa. Invece viaggi più impegnativi, hanno delle modalità e dei ritmi diversi, prevedono anche dei momenti ufficiali di incontro e sono un po’ meno “liberi”. Detto questo, devo ringraziare pubblicamente la mia famiglia che non mi ha mai ostacolato nel progettare e realizzare anche queste avventure che mi hanno portato ad “abbandonarli” per periodi abbastanza lunghi, anche una quarantina di giorni.

Che tipo di viaggiatore eri, e sei adesso? Organizzi tutto prima di partire o ti affidi più al caso? Sei cambiato nel tempo?
Adesso, quando viaggio con la famiglia, mi piace abbandonarmi al caso, andare ad intuito, stabilire cioè un programma di massima che però è una sorta di palinsesto che può essere modificato anche in modo sostanziale durante il viaggio stesso. È lui che ci conduce per mano, con i suoi incontri casuali, compresi gli imprevisti e le difficoltà che sono il sale dell’avventura. Da questo punto di vista sono un po’ cambiato, mi documento ma non troppo. Ecco, mi piace soprattutto, prima, leggere resoconti di viaggio su quello stesso itinerario, quando ne esistono. Meglio ancora se storici, se legati a tempi andati. Anzi, mi piace spesso leggere tali libri proprio durante il viaggio, custoditi nelle sacche.

La presentazione di Ciclomundi e Il Giro Prima per Repubblica.it: da viaggiatore a divulgatore e reporter. Cosa ti piace di più tra le tre cose?
Per me la bicicletta è diventata qualcosa di più che una passione, quasi una filosofia di vita e sto cercando in questi anni di trasformarla anche in una professione. Quindi tutte le diverse occasioni per declinare il viaggiare su due ruote sono stimolanti. Organizzare gli eventi a Ciclomundi è stato un modo per venire a contatto con tantissimi individui che condividono le stesse pulsioni e mi ha consentito di apprezzarli di persona. Esperienza importantissima. Anche girare l’Italia presentando i diversi libri in biblioteche, librerie, sedi di associazioni, comuni, è stata ed è tuttora un’opportunità unica, il modo di venire in contatto con tantissime persone simili a me e con moltissimi punti in comune.
Scrivere un reportage di viaggio su Repubblica.it è stato altrettanto affascinate, anche se molto duro dal punto di vista fisico e professionale. Per la prima volta in vita mia sono rientrato da un’esperienza di viaggio veramente affaticato per i ritmi che sono stato costretto a rispettare: a parte il pedalare per 180 o 200 o anche 240 chilometri al giorno, spostarsi in macchina alla sede di partenza della tappa successiva, trovare la sistemazione, lavarsi gli indumenti di viaggio, cenare e poi, solo dopo tutto questo, concentrarmi sulla scrittura e sulle avventure di giornata, da inviare la mattina successiva. Insomma, una faticaccia ma ne è valsa la pena. Anche perché, da quando scrivo di bicicletta, ho sempre avuto presente il rischio di scrivere molto e pedalare poco. Cioè di allontanarmi dall’oggetto del desiderio, insomma di diventare un “banale” esperto. Un enologo astemio…

Il cicloturismo in Italia è un fenomeno in crescita. L’Italia secondo te si sta attrezzando?
Decisamente stiamo facendo dei piccoli passi per avvicinarci agli standard, al momento ancora irraggiungibili, dei paesi del Centro-Nord Europa. Ovviamente è soprattutto un problema di cultura e non è certo un caso che le regioni che più stanno lavorando in questo senso siano le regioni di confine, come il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige. Ci sono dei percorsi ciclabili veramente stimolanti, in collegamento tra loro, dei veri e propri circuiti virtuosi in cui fare turismo sostenibile è facile e divertente. Penso alla Valle dell’Adige, alla Val Pusteria, alla Lunga Via delle Dolomiti, alla Alpe-Adria. Bisogna rendersi conto che copiare non è un reato, anzi, e fare proprie le esperienze decennali portate avanti da altre nazioni per proporre qualcosa di positivo è diventato quasi un dovere. alberto-fiorin-famigliaCerto che quando vedrò, se mai ci riusciremo, una pista ciclabile che collega ininterrottamente le sorgenti del Po a Pian del Re con la sua foce a Gorino, sarà il giorno più bello della mia vita. E pensare che sarebbe così semplice…

Il primo aprile parti per la “Bassano del Grappa – Dakar in bicicletta”. Fai sul serio o è un pesce d’aprile anticipato?
No, non è uno scherzo, è la prossima avventura, legata a un bel progetto di solidarietà, cioè la costruzione di una scuola e di un ambulatorio presso il villaggio senegalese di Nenette, progetto portato avanti da anni dalle scuole del circolo didattico di Bassano del Grappa. Assieme ad altri 14 ciclisti attraverseremo Francia, Spagna, Marocco, Mauritania e Senegal per giungere, dopo 6250 km in 46 tappe, ad inaugurare queste strutture che sono in fase di ultimazione. Devo però dare una spiegazione, i miei compagni partiranno in 8 da Bassano e altri 7, tra cui io, li raggiungeremo a Tangeri, Marocco, all’inizio del tratto africano, per pedalare tutti assieme negli ultimi 3500 chilometri.
Era troppo anche per me, in questo periodo, stare 46 giorni distante da casa. A volte si devono fare delle mediazioni. Ma presumo sarà un’esperienza esaltante. Al ritorno vi riferirò molto volentieri e comunque vi invito a seguirmi nei diari quotidiani sul sito ilsognodinenette 

Alberto Fiorin

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