A Stevenage (UK) ci sono le piste ciclabili ma non i ciclisti

27 Febbraio 2013

Stevenage

Quando si parla di incentivare la mobilità in bicicletta ci si riferisce spesso ad interventi infrastrutturali, tradotto piste ciclabili e moderazione del traffico. Le piste ciclabili in particolare hanno un maggior potere seduttivo sui cittadini ciclisti, specie se pronunciate da qualche amministratore a caccia di consenso, ma spesso non rientrano in un piano più ampio il cui obiettivo ultimo è il disincentivo dell’auto privata negli spostamenti quotidiani e quindi non servono a molto in termini di ripartizione modale.

Un esempio eloquente è quello di Stevenage, una delle prime “New town” inglesi, di circa 80 mila abitanti, situata a 50 chilometri da Londra. Stevenage ha subìto una riprogettazione del tessuto urbano verso gli inizi degli anni ’70 (cominciata molti anni prima), un’opera fortemente voluta dall’ingegnere Eric Claxton che, affascinato dalle prime esperienze olandesi di città a misura di bicicletta, ha deciso di dotare Stevenage di una maxi-rete di piste ciclabili, ponti e sottopassaggi ciclopedonali.

La cura però, pare non abbia funzionato. Dopo un primo picco del 14% degli spostamenti quotidiani in bicicletta (comunque negli anni successivi alla prima crisi energetica, quindi anche per motivi economici) il dato è progressivamente diminuito scendendo oggi addirittura sotto il 3%. Quel che più stupisce è che molti cittadini preferiscano usare l’auto anche per spostamenti di 2 o 3 chilometri. Inspiegabile – commentava Claxton – gli abitanti di Stevenage hanno una strana logica, usano le macchine come i cestini della spesa o i cappotti.

Ma cos’è che non ha funzionato nella strategia di Stevenage? E quale insegnamento possono trarne le nostre amministrazioni? Forse il modello olandese è ormai superato? Qualche risposta ha provato a darla l’ECF, secondo la quale Claxton, che pure era un ciclista urbano con le migliori intenzioni, con la sola realizzazione di piste ciclabili non ha affrontato il problema dell’uso dell’automobile: l’auto infatti è rimasta il mezzo più veloce per andare da A a B, la rete di piste, di 40 chilometri, non è stata ammodernata, sono stati costruiti centri commerciali di facile accesso alle auto e, soprattutto, alle auto non è stato interdetto l’ingresso nel centro città.

La conclusione, sempre secondo ECF, è abbastanza ovvia: non è sufficiente una singola misura per portare più persone in bicicletta, è necessario invece un insieme di interventi che perseguano degli obiettivi prefissati a monte, e dai quali emerga una visione chiara della mobilità, a partire dalla moderazione del traffico motorizzato (separazione solo su grandi arterie) passando per le corsie ciclabili in carreggiata, disincentivo dell’auto privata e riduzione del parco auto, bike sharing, intermodalità e miglioramento del trasporto pubblico, campagne di sensibilizzazione sulla convenienza dell’uso della bicicletta e sulla sicurezza in strada, facilities per i ciclisti. Eccetera, eccetera, eccetera.

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