Girodiruota, un libro sull’Italia oltre il Giro d’Italia
Lunedì 16 giugno, nel quartiere romano del Pigneto, un pomeriggio isterico e molto variabile ha visto incontrarsi un bel po’ di cose belle, il ciclismo sportivo storico, quello urbano, la parola scritta e quella cantata, tutte unite da quel gusto di raccontare, di trasmettere, che si va perdendo nelle trame delle nuove generazioni.
Già, perché Girodiruota (ed. Stampa Alternativa) è un libro che parla di bicicletta, ma da un punto di vista piuttosto inedito: una sorta di rincorsa autonoma e gregaria del Giro d’Italia, un viaggio in bici da Napoli a Brescia nel microcosmo dei bar sport della sterminata Provincia italiana, alla (ri)scoperta degli amanti del ciclismo sportivo e dei loro aneddoti farciti di dettagli.
Accompagnato da un eccellente Pino Marino alla tastiera, nonché all’ironia e alla lettura di qualche passo del libro, Giovanni Battistuzzi apre con una celebre citazione da Albert Einstein: “La vita è come andare in bicicletta, se vuoi stare in equilibrio devi muoverti”.
Poi nasconde il filo di imbarazzo di trovarsi al centro dell’attenzione partendo dall’immediato: “Oggi ero piuttosto teso, così uscito dal lavoro prima di venire qui mi sono fatto un giro in bicicletta, anche se il tempo non era dei migliori: e girare in bicicletta ti cambia una giornata brutta, di pioggia, in una giornata bellissima […] Se vai in bici non puoi non amarla, quando fatichi e sudi, e magari anche un po’ puzzi”
Di colpo la tensione si scioglie come una catena ben oliata, e l’asta del(l’unico) microfono passa a Pino Marino, per la sua splendida “L’uomo a pedali“, che canta di scuse alle ruote, di dubbi lasciati indietro correndo e di scelte sul punto del mondo più adatto per scendere.
Girodiruota nasce per raccontare com’è l’Italia al di fuori dal Giro d’Italia, oltre la festa e la parata delle bici da gara. Al giorno d’oggi, dice Giovanni, la bici è ancora molto amata, ma al di là del contesto del Giro: anzi, quell’attenzione e quel gusto per l’epica competizione che era un tempo sono diventati diletto per pochi. Da qui l’indagine pedalante nei bar dello sport, dove questa dimensione fatta di racconti, grappini e bestemmie è rimasta. Il Barsport dove è cresciuto, nel provincia del trevigiano, era alla fine di una curva che segnava il suo ritorno a casa, e dove l’unica costante era il caffè pessimo: caffè pessimo, perché ci si andava solamente per bere prosecco, o per gli innumerevoli racconti.
Man mano che le parole si fanno suono dalle righe del libro, ci si ritrova senza preavviso in una dimensione atopica e acronica, quasi leggendaria, eppure di riferimenti, date e nomi ce ne sono in abbondanza. E intanto la ruota posteriore della bici di Pino, capovolta sul manubrio, continua a ruotare priva d’attrito. Centratura perfetta.
La bici diventa quasi pretesto, un mezzo (pur mantenendo il suo ludico e catartico ruolo di fine) per raccontare lo Stivale e la frammentazione del nostro Paese.
Partendo dal 1914, quando si correva per fame e si andava là al Giro senza soldi per farne, fino alle vicende del Pirata Pantani, vengono snocciolati con leggerezza aneddoti e tappe storiche del Giro, tra suggestioni quasi mitologiche che ricordano i racconti nostalgici e scintillanti di Marc Augé e i tempi in cui davvero l’acciaio cigolava sullo Zoncolan o sui Pirenei.
Una microstoria del ciclismo dal delizioso gusto affabulatorio, unito all’amore (peraltro da me condiviso, sono di parte) per la geografia. All’interno della carrellata di campioni vecchi e nuovi si susseguono i racconti di beffe, glorie epiche e vizi conviviali, si parla di gregari, “proletariato del ciclismo”, e di tante altre cose ancora che solo a fatica sottraggo al demone dello Spoiler.
Solo una citazione va immolata a questo articolo: “Scegliere come muoversi è scegliere come vivere”.
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