La chiusura del ciclo

La chiusura del ciclo

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E all’improvviso ti rendi conto che il giro è finito.

Non ancora con-cluso, chiuso su sé stesso, ma finito.

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Che quei due gradi di temperatura corporea in più a metà della pedalata tra Manresa e Barcellona ti stanno avvertendo. “Non ti mentire. Torni nel posto morto senza sepoltura, come la crozza della canzone delle parti tue”, ti dice la febbre.

Che il fresco improvviso di Madrid dopo l’uterino caldo di Cuba tutta ti segnala il declino del sole e della luce, ché è il tempo suo.
Che ora sai mangiare meglio con le bacchette e sai fare un barbecue con un secchio bucato pieno di segatura compressa, e hai finalmente bevuto latte fermentato di cavalla. Hai anche molti semi di tabacco e inchiostro sensato sulla pelle.

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Come tappi di sughero saltano fuori immagini del percorso, legate dalla stessa storia. Lo fanno in uno dei cento letti, in uno del tanti metri.
Non finisce niente continua tutto.
Ho spesso ripensato ad una frase che circa un anno fa mi disse uno splendido cicloviaggiatore, Matteo Scarabelli, mentre si parlava di questo viaggio e di qualche dettaglio meccanico. “Comunque la cosa più difficile è mettere la ruota anteriore fuori di casa”. È così.

Era lo scorso inverno. La bici era pronta e il piano era andare a Barcellona, Madrid, Cuba eccetera.

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Poi ho fatto il contrario. E da Cuba a Madrid e Barcellona. E ora l’eccetera altro.
In Spagna, dove ero venuto nel prodromo di questo lungo aprile, si chiude una delle due ruote del giro, la posteriore. L’anteriore non è ancora rientrata.

Nella piazza di Barceloneta bevo alla continua chiusura del cerchio che gira e gira.
Pieni gli occhi di bici intorno, idealmente mi rimbocco le maniche per contribuire a vedere la pace delle ruote sottili, silenziose, ogni giorno.
Ricordando il motto No Tav, “sarà dura”. Ma per me e noi.

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Fonte | escoafareungiro

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