In bici nelle terre di Matilde di Canossa

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Periodicamente visito il mio amico Rocco, passo a salutarlo settimanalmente, una chiacchieratina mentre lavora. Si parla un po’ di tutto, inevitabilmente di tempo libero e della comune passione per la bici. Porto con me alcune idee, propongo uscite giornaliere, fughe di più giorni, lui contraccambia con altre mete.
Il giorno in cui mi appresto ad esporre il mio progetto dell’Adda mi blocca, si dirige in ufficio e ne esce con una rivista specializzata del settore bike… aperta su delle pagine.
“Qui mi devi portare… per andarci ho bisogno del tuo aiuto, della tua capacità organizzativa e senza ombra di dubbio della tua partecipazione.” dice porgendomi il periodico.
Dopo una rapida visione rispondo allettato dalla stimolante richiesta:
“Va bene!…leggo l’articolo e mi adopero per organizzare”

Spazzo via dalla mente tutti i progetti concentrandomi sulla preparazione della nuova ed entusiasmante avventura.
Leggo attentamente la descrizione del percorso, ammiro l’affascinante documentazione fotografica, cartina geografica alla mano inizio a studiare per definire la logistica: combinare gli spostamenti auto-bici per far coincidere partenza e arrivo.
Contatto l’ufficio turistico, richiedo materiale cartaceo per riuscire nella pianificazione in maniera soddisfacente e raccogliere consensi… mi gratifica molto organizzare con successo imprese, anche se piccole.
La zona è quella dell’appenino Reggiano… la nostra bella Emilia… le terre Di Matilde di Canossa.
Tre giorni a disposizione in luoghi che ne richiederebbero un numero indefinito per deliziare la gioia di frequentarli.
Dopo lo studio e l’elaborazione dei dati sono giunto a codesto teorico, sottoposto ed approvato dal commissionario.

Giorno 1

Eccoci di nuovo, ci risiamo: io, Rocco, Marco, Filiberto.
Impegnati in un altra avventura, non un viaggio, non un percorso lineare,ma una margherita con tre petali, uno per ogni dì: m’ama, non m’ama, m’ama! Oggi 28 maggio in un bel parcheggio di Carpineti ci apprestiamo a staccare il primo petalo.
Con cura e delicatezza scarichiamo dall’auto e assembliamo le fedeli compagne, riempiamo le borracce, facciamo scorta alimentare, indossiamo il vestiario e il casco. Ultimi indugi – questo lo prendo o lo lascio in auto? No meglio prenderlo non si può mai sapere – tutte le volte l’indecisione… sempre manca quel che ho lasciato… e quel che ho preso non serve.

Si parte! Direzione Ciano D’Enza.
In discesa usciamo dal paese per affrontare immediatamente la salita per Casina.
Il panorama è incantevole, soave è il suono delle campane, sono le 10 00, i grilli cantano ancora come pure gli uccelli, nessun’altro rumore si ode se non il frusciare delle ruote.
La vista spazia tutt’intorno, ondeggianti e verdi colline dissolvono ogni frenesia di vita cittadina, purificano anima e corpo, la via è deserta… un paradiso!
Disseminati lungo il percorso un susseguirsi di cartelli con indicazioni turistiche. Uno di questi recita: “Borgo Medioevale”; non resistiamo ed imbocchiamo il viottolo in ciottolato che conduce a Vercallo. “Parla il silenzio” si legge sul cartello alla porta di questo angolo suggestivo. Curato impeccabilmente, il piccolo agglomerato di case offre al visitatore: piccoli giardinetti, folti cespugli di fiori dai vivaci colori, ballatoi, sottoportici, scalette, portoncini lavorati, inferriate… stupendo e tanto coccolo.

Su uno di questi usci mi faccio fotografare, innanzi alla porta sul minuscolo spazio antistante… fingo di entrare… fingo di essere il padrone di casa. Ancora molto ci sarebbe da descrivere, ma procediamo.
Bivio Rossena-Canossa, via a destra in salita verso il castello di Canossa. In una curva un sentiero si stacca sulla destra, è un invito, vertiginosamente scende e noi pure. Il fondo è tremendo: mosso con dei solchi profondi, massi staccati rotolano rendendo difficoltosa la discesa anche a piedi. In breve siamo ai calanchi, singolare scenario di argilla modellata dall’acqua piovana che precipita a valle solcando il declivio.
Altrettanto ripida la rampa in salita per il castello (chiuso) sono le 12 35; dietrofront e sosta al bar-ristorante “La Rupe”nelle immediate vicinanze, dove consumiamo un leggero pasto.
Dopo pranzo nuovamente in sella alla volta di Rossena situata sul colle antistante. A vista la distanza sembra consistente, ma la percorrenza sminuisce l’impressione, ma non la fatica. Da una ripida discesa ci troviamo ad affrontare una ripida salita per giungere in cima ad ammirare tutte le dolci ondulazioni del territorio ed il colle appena lasciato.

È così! Un saliscendi intenso che incita a sfogare l’energia, a godere di tutto l’impeto e delle innumerevoli sensazioni percepite dai nostri sensi: il tatto che stringe possentemente le manopole, l’olfatto inebriato dai profumi della terra, l’udito che oltre al canto della natura ascolta la velocità attraverso il sibilo dell’aria, la vista allietata dal verde che predomina il panorama, il gusto… l’abbiamo soddisfatto prima!
Addio asfalto,inizia il percorso sterrato: via! Giù, in discesa, per la terra tra sassi, solchi e pozzanghere, affronto in velocità una pozza di fango… non rallento prevedendo ciò che accade.
Il fango mi squilibra, un solco di consistenza diversa mi devia… in questa confusione direzionale mi trovo in volo, atterrando in prossimità di un grosso albero che tento di abbracciare per attutire l’impatto, lo scambio affettuoso è intenso, con voluttà l’enorme radice sporgente mi bacia… ahi!!!

Rimango disteso a terra.
“Romeo tutto a posto?”
“Romeo! Romeo! tutto a posto?”
Urla Marco da dietro, io non rispondo impegnato come sono nell’analisi del caso: scintigrafia ossea, situazione odontoiatrica, controlli vari… ok, a parte il labbro gonfio e tagliuzzato, mi sembra di essere illeso:
“Si! Tutto a posto, grazie!”
“Mi sono spaventato… eri per terra che boccheggiavi come un pesce….” continua Marco
“Mi stavo leccando la ferita e cercando ulteriori malanni” dico io, mentre mi rialzo con le ginocchia sbucciate e tinto di fango… Grazie al cielo è andata bene.
Non mancano le risate e le battute, allegria si continua all’insegna del divertimento e del buon umore, che mai venga meno!

Il sentiero prosegue impegnandoci in un guado, documentato dal servizio fotografico che ci immortala uno ad uno, come pure documentata è l’arrancata a piedi lungo il pendio arato e in altri vari punti di estrema pendenza. Ritorniamo sulla strada asfalta a Faieto Alto, il cielo si oscura, le nubi si spremono scaricano una notevole quantità di acqua, costringendoci a riparare in un fienile a bordo strada. Approfittiamo per rifocillarci e per aggiungere uno strato al vestiario, visto il violento abbassamento della temperatura.
Nel giro di mezz’ora risplende il sole per dar gioia al divertimento sul bagnato…che divertimento sarà? Non lo so, eppure è divertente.
Sull’asfalto asciutto o bagnato cambia poco, ma quando appoggiamo le ruote sulla terra la diversità di aderenza si nota considerevolmente.

Visitiamo esternamente il castello di Sarzano accompagnati dal custode: un cane pastore bianco. Mancano pochi chilometri per concludere a Carpineti, ma noi, imperterriti seguiamo la freccia rossa del sentiero Matilde, consapevoli delle conseguenze. Scendiamo la collina su una traccia mimetizzata tra l’erba alta e bagnata, con forte pendenza che rende problematico il rallentamento. È bellissimo tutto questo colore intorno a noi, questo dolce precipizio, abbandonarsi all’ebrezza fisica e spirituale. Singolare cresta erbosa raccolta tra monti totalmente boschivi, tanti alberi fitti di un verde intenso, sgargiante. Un rustico cartello ricavato da un pezzo di balcone porta la scritta dipinta a mano: “Ovunque lo sguardo giro – O Dio – Ti ammiro”
Come gode la mia anima ed anche quella di Rocco che desidera raccogliere questa visione con una foto. Osserviamo entrambe come questo paesaggio sia simile alla terra d’Abruzzo, terra natale di Rocco che nostalgicamente vive nel suo cuore.

Un piccolo intermezzo d’asfalto, in centro paese, per prendere un bel vialetto ciclopedonale immerso nel parco alla fine del quale inizia un sentiero. La vegetazione s’infittisce siamo in mezzo ad un bosco e la traccia quasi svanisce quando usciamo nella radura.
“Romeo sei sicuro che sia giusto di qua?” chiede qualcuno con perplessità; cosa dovrei rispondere… non sono mai stato in questi luoghi, ma come mia abitudine, un po’ per istinto, un po’ per curiosità, un po’ per orientamento e soprattutto per non retrocedere:
“Certo!… seguitemi!”

Riappare il sentiero che si inoltra nuovamente nel folto degli alberi, offre dei passaggi suggestivi, parapetti in legno che proteggono dal dirupo, un ponticello che permette di attraversare il corso d’acqua proveniente dalla piccola cascata generata dalla diga che forma un laghetto.
Impegnativo, per non dire qualcos’altro, è il percorso dopo il lungo lago: non c’è nessun indizio da seguire, il maltempo ha cancellato il viottolo, presumo, a fianco del torrente, attualmente rimane il corso d’acqua ed il fango ai bordi, inoltre parecchi alberi sradicati ostruiscono il passaggio, occorre scavalcare e quando arriviamo in punto paludoso da attraversare, dove qualcuno sprofonda nella “palta,” scoppia la rivolta:
“Non è possibile… hai sbagliato strada… Romeo dove ci porti?”

Effettivamente sono dubbioso e penso che abbiano ragione, ma il fatto che Marco si faccia una gran risata vedendo Rocco scomparire nel fango fino al ginocchio, mi rincuora:
“È questa la strada!” affermo con sicurezza divertito, ma quanto è delizioso il buonumore, ma quanto è bello divertirsi in questi frangenti in cui, devo ammetterlo, nel mio intimo non c’è convinzione? Molto piacevole! Anche perché alla fine di questo passaggio ci arrampichiamo nel bosco su terreno franato, trasciniamo le bici tra sassi e ramaglie:
“Insomma Romeo…”
“Dai, dai! lassù è finita… Forza che non manca poco” e si ride.

Un’altra radura, corriamo in mezzo all’erba finché finalmente una carrareccia ci conduce in asfalto – ce l’ho fatta – penso dentro di me, soddisfatto di essere uscito da questa fase “delicata” con successo. Un sospiro di sollievo e allentamento della tensione quando compare la piazzetta dove sono parcheggiate le nostre auto. Alla svelta carichiamo le bici e dirigiamo all’albergo Miramonti a Toano, base operativa per due notti.
Dopo l’ottima cena ci intratteniamo con il proprietario, fra le tante illustrando il programma di domani chiedendo informazioni. Sarà lui a consigliarci e farci variare meta.
Alle 22 50 a letto.

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Giorno 2

Lungo la strada provinciale, percorsa in auto diretti a Civago, parecchi sono i panorami che rapiscono la vista ed invitano a soffermarsi, inoltre infinite sono le possibilità di introdursi all’interno del territorio attraverso sentieri. A Gova la chiesetta sul bordo del monte offre un belvedere a cui non possiamo rinunciare. Il paese è piccolissimo, parcheggiamo sul piazzale a fianco della chiesa, addobbata per un matrimonio, unico spazio possibile. Indosso indumenti da ciclista:
“Buongiorno, è il fotografo lei?” chiede Elsa
“No, sono il ciclista” rispondo meravigliato della domanda, visto l’abbigliamento. Non immaginavo di sembrare un fotografo soltanto perché tenevo in mano la fotocamera.

La donna è in agitazione per la cerimonia: il fotografo non arriva, noi occupiamo il parcheggio, inoltre l’emozione…
“Tranquilla ce ne andiamo subito”.
A queste parole si rilassa, addirittura ci chiede di fotografare gli addobbi della chiesa, momentaneamente vuota, per dar soddisfazione a chi si è prodigato nell’allestimento. Promettiamo di inviargliele quanto prima, mentre lei ci racconta la storia del paese semi disabitato, ma che una volta all’anno si anima e si affolla per la festa del patrono.

Elsa, insegnante in pensione, abita in loco, si occupa della chiesa e di una sala attrezzata per ospitare piccole comitive anche per più giorni.
Scappiamo prima che arrivino gli sposi, rallegrati dall’incontro.
A Civago parcheggiamo, inforchiamo le nostre amate compagne di avventura e via verso il rifugio Segheria. Ho dei dubbi sul sentiero, chiedo conferma ad un anziano indigeno:
“Buongiorno, per il rifugio va bene di qua?”
“Si, va bene”
“Si può andare in bici?”
“Certo!”

Procediamo e la via inizia a restringersi diventando sempre più sconnessa fino al punto di appiedarci anche per la pendenza. Sarà un breve tratto, penso. Se ci ha detto che è praticabile in bici… avanti continuiamo, ma la situazione peggiora. Il sentiero che ormai è solo pedonale, abbondantemente difficoltoso, per giunta è franato, per procedere siamo costretti ad attaccarci sugli alberi e passarci le bici uno con l’altro. Non mancano le ingiurie per l’informatore che a rigor di logica ci ha imbrogliato. Dopo varie peripezie conquistiamo l’ampio piazzale del rifugio. Con sorpresa c’è parcheggiata un’auto ed un fuoristrada.

Ironicamente faccio i complimenti a Romano, gestore del rifugio, per esser riuscito a salire con l’auto… capisce la battuta e mi indica la strada forestale. Trattengo lo sfogo rabbioso, aiutato dal pensiero della discesa agevole. Ci gustiamo il pranzo succulento allietati dalla simpatica compagnia di Romano che non finisce di farci gustare prelibatezze preparate dalla timida moglie nascosta in cucina, raccontandoci divertenti aneddoti. Solo in un secondo tempo la donna vince la timidezza e posa per una foto. Unici ospiti dell’esercizio prolunghiamo la piacevole sosta.

La via del ritorno, una bella strada sterrata larga, ci regala l’emozione e il divertimento della discesa che conclude in località Case di Civago. Un monumento alla resistenza fa da sfondo alla foto di gruppo, gentilmente scattata da una signora che assieme al marito sta sistemando la casa per le vacanze.

Due biker in transito cortesemente ci conducono, lungo un percorso alternativo, al parcheggio. Quest’ultimo tratto ci diverte per il suo snodarsi in single trak tra poderi e corsi d’acqua. Il secondo petalo della margherita è staccato, il percorso odierno, variato su consiglio dell’albergatore, ci diverte nonostante l’arrampicata, grazie alla felice conclusione e a gli immancabili incontri con persone simpatiche, cordiali, disponibili che rinnovano il sentimento di fratellanza… calore umano. Nel rientro in auto silenziosi, stanchi, ripercorriamo i momenti della giornata con il sorriso nel cuore, proiettati nelle ore a seguire La doccia, la cena, il passeggio con i commenti, la consultazione per il terzo ed ultimo petalo da staccare, il coricarsi, concludono la soddisfacente giornata.

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Giorno 3

A fianco della Pieve di Santa Maria di Toano, sulla sinistra, si stacca un percorso ciclopedonale. Contenuto in un fitto bosco, scende pericolosamente tortuosamente tra gli alberi, la pendenza e le radici emergenti impegnano notevolmente. Sono meravigliato dalla difficoltà del percorso, in certi punti ammetto di spaventarmi e di temere per l’incolumità. Fortunatamente il tratto termina quanto prima e la radura offre sollievo e rilassamento, anche se ora dobbiamo combattere con l’erba alta e bagnata che, a stento rende visibile la traccia. Buon umore e imprecazioni si mescolano ai profumi non sempre gradevoli… abbiamo appena aggirato un porcile.

Saliamo faticosamente un sentiero in mezzo al bosco dove incontriamo un simpatico alpino ultraottantenne che periodicamente si fa questo giretto. Lo salutiamo e procediamo. Raggiunte le sorgenti di Quara, dopo aver superato dei caratteristici ponticelli e una zona paludosa, ci dobbiamo accontentare delle foto con il cellulare. Purtroppo io ho esaurito la scheda e Marco… boh! Non so quale problema abbia, ma niente foto. È un peccato il luogo è suggestivo e di interesse storico. Le acque sono solfuree e nell’antichità, nel periodo dell’impero romano, in questa zona sorgevano le terme, mantenute in uso fino ai primi del 1800, ora in stato di abbandono. Notiamo la piccola costruzione dell’acquedotto. Ci divertiamo ad incastrarci, con le bici, tra le rocce del torrente Dolo che scorre ai bordi della piccola valle. È Ora di andare, ma Rocco ha perso gli occhiali e qualcuno ipotizza il ritrovamento da parte dell’alpino. Mentre Rocco retrocede alla ricerca, noi incontriamo il simpatico amico:
“Ne avete perso uno?” chiede
“No… è tornato a cercare gli occhiali”
“Sono Questi?” estraendo dalla tasca l’oggetto in questione
“Si… penso di si… aspettiamo il suo ritorno per conferma”
sarà in questo lasso di tempo che sapremo che il buon uomo è un alpino.

Ci intrattiene raccontandoci di lui, della sua passeggiata, dell’appuntamento annuale con i commilitoni che tristemente diminuiscono anno per anno. Non si perde D’animo anzi ci scherza, si compiace di esserci e della sua forma che gli permette ancora di arrampicare e concludere il suo percorso montano. Sconfortato e affaticato, per la vana ricerca, Rocco ci raggiunge:
“Niente… non gli ho trovati”
“Tu no ma il signore si”
“Oh!… Grazie!!”

Felici e contenti riprendiamo la via allietati dall’incontro. Interrompiamo la discesa in asfalto per la foratura di Marco… qualcuno sfrutta la sosta per sdraiarsi e recuperare energie, mentre il mal capitato si dedica alla riparazione, brontolando sommessamente. Siamo contenti nulla ci infastidisce, se non il pensiero che volgiamo alla conclusione dell’avventura.
Sole, colline, fitta vegetazione, cielo, acqua, ruderi, persone… quanti ricordi, quante sensazioni, quanta fantasia. Fra tante fantasie ricordo con particolarità quella di Rocco: si è impossessato di un rudere lungo la via, si è affacciato alla finestra esclamando:
“Questa è casa mia!”… bella sensazione… è sempre un’emozione forte il volo della fantasia, quando tutto scompare e lo spazio, per un istante, è colmato dal pensiero di una piacevole situazione creata da noi stessi.

Staccato quest’ultimo petalo non rimane che rincasare.
Altre pagine da aggiungere al taccuino della mia esistenza, pagine felici, pagine di evasione e di ricerca, pagine di conoscenza e di amicizia.
Grazie Marco, grazie Filiberto e in particolar modo grazie a Rocco che ha acceso la miccia per far esplodere l’idea.

Dopo qualche tempo, stimolato da Filiberto che di tanto in tanto mi ricorda le tre giornate Emiliane, mi sono dedicato alla narrazione. Aiutato da uno manoscritto, trovato tra le mie scartoffie sparse di qua e di là, che riassume la prima giornata, dalla cartina, con l’agenda diario, con le foto e rovistando nella memoria, sono riuscito a comporre il racconto. Spero di divertire, coinvolgere e alimentare la voglia di fuggire dal quotidiano.

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