Eurobike 2015: la sfida dell’ultracycling

Eurobike 2015: la sfida dell’ultracycling

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“Un uomo solo è al comando” è una frase scolpita nel cuore degli italiani (pronunciata da Mario Ferretti per descrivere l’impresa solitaria di Fausto Coppi al Giro d’Italia del 1949), che rimanda immediatamente a scene di fatica, sforzo, di quando il ciclismo era sudore e abnegazione e i corridori diventavano eroi degni dell’antichità classica. Se da una parte le atmosfere, l’abbigliamento e le bici di quell’epoca rivivono negli eventi dell’Eroica, dall’altra lo spirito di sacrificio e di fatica trova nuova vita nel fenomeno dell’ultracycling. Con questo termine inglese si indica una tipologia di ciclismo a lunga percorrenza, con eventi di endurance che vanno dalle randonnée di 100km a gare in solitaria come la Transcontinental Race, una pedalata di 2.000 e più chilometri da Londra a Istanbul in totale autonomia. Il fenomeno dell’ultracycling sta creando notevole fermento negli appassionati e la popolarità raggiunta da atleti come Juliana Buhring e Omar Di Felice che, seppur “esclusi” dai canali di comunicazione ciclistica più famosi, sono seguiti da numerosi fan sui social ne è la testimonianza diretta. Un aspetto che le case ciclistiche non possono più trascurare: ed è per questo che alcune aziende – non tutte e poi vedremo il perché – sembrano essersi accorte di questo trend e hanno cominciato a studiare soluzioni tecniche adatte alla sfida dell’ultracyling.
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Tra le proposte viste visitando i padiglioni di Eurobike 2015, vi è il modello Solacio Disc della Koga, azienda indirizzata da sempre verso il mondo dell’avventura a pedali. Si tratta di una bici con telaio in fibra di carbonio, con chiare geometrie corsa ma con una disposizione di tubi in grado di accogliere le borse da bikepacking (le più utilizzate per l’ultracycling), freni a disco idraulici e ruote con raggiature consistenti per resistere allo stress del viaggio. Completa il quadro un’appendice a manubrio della Pro, in puro stile Triathlon, che non nasconde la ricerca della velocità che contraddistingue il mezzo. Con questa bici l’inglese Mark Beaumont ha compiuto l’impresa “Africa Solo”, pedalando da Il Cairo a Kape Town in solitaria.

Un’altra proposta interessante è stata fatta da Salsa, che si è presentata con la bici che più di tutte ha colpito noi inviati a Eurobike: la Cutthroat Carbon Rival. Telaio in composito monoscocca alto modulo, manubrio da corsa, ruote da mtb 29er con coperture da 2″ di larghezza, freni a disco idraulici e un assetto predisposto per il bikepacking. Alla mia domanda sulla destinazione di tale bicicletta, il direttore di Salsa Mike “Kid” Reimer ha risposto dicendo di essere stata pensata per le infinite sfide dell’ultracycling statunitense come la “Great Tour Divide”, dove si parte dall’Alaska e si arriva in Messico, tutto su sterrato. L’utilizzo della fibra di carbonio, che non mi ha immediatamente convinto, sembra invece essere la scelta giusta per il grado di comfort richiesto, parola di “Kid”.
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Infine l’azienda belga Ridley ha messo al centro del suo stand a Friedrichshafen due bici da viaggio in stile ultracycling pensate l’una per l’asfalto e l’altra per il pavé e l’offroad.
È significativo, dunque, constatare che alcune case ciclistiche propongano dei modelli progettati e studiati per l’ultraciclismo, con assetto da bikepacking, posizione in sella aggressiva ma anche elevato confort e resistenza. Girando per gli stand abbiamo visto che questa scelta non è stata condivisa da molte altre case ciclistiche (soprattutto dalle italiane, ndr) che vedono nel ciclismo su strada e nell’esaltazione dei campioni di tali disciplina l’unico modo di vivere la bicicletta.

In realtà l’ultracyling sta spostando il concetto di ciclismo verso la sfida con sé stessi più che con gli altri, dove non vince chi arriva primo ma solo chi riesce ad arrivare, superando chilometri, salite, stanchezza, paura, solitudine e fatica. Nelle lunghe ore di una corsa di ultracycling ciò che diventa importante è la testa e non i muscoli, che sicuramente si esauriranno prima di vedere il traguardo. Quello che conta è avere la testa per andare avanti, spingere sui pedali, affrontare l’ennesima salita e tutto questo ridona al ciclismo quell’aura mitica che l’ha reso popolare e che l’esasperazione tecnologica, gli scandali del doping, l’ossessione del peso del telaio e le tattiche di gara hanno logorato, allontanando tanti appassionati.
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Gli ultracyclists sono i nuovi “eroi antichi” del ciclismo, persone comuni che non hanno dietro contratti di sponsorizzazione, manager e curatori d’immagine e uno stuolo di tecnici a supporto ma che solo grazie al proprio coraggio riescono a raggiungere il traguardo. Portando a termine un evento di ultracycling si riesce a essere felici e soddisfatti a prescindere dalla posizione raggiunta, dal tempo impiegato o dalle logiche di gara.

È l’essenza stessa del ciclismo che viene reclamata a gran voce dagli appassionati e sembra che qualche casa ciclistica l’abbia capito. Vedremo se lo faranno anche le altre.

Commenti

  1. Francesco ha detto:

    L’ultracycling se fatto a ritmi non “ultra” è un gran bel modo di viaggiare, cicloturismo veloce e leggero1
    ciao

    1. Omar Gatti Omar Gatti ha detto:

      Ciao Francesco,
      hai pienamente ragione ed è per questo che ci piace che venga promosso!

      Buone pedalate

      Omar

      1. Mirko ha detto:

        Per chi è in zona questa sera ore 19.00 presso il frantoio Turri a Cavaion veronese ospitiamo due biker che hanno appena concluso la Transcontinental race flanders//Istanbul per condividere grandi emozioni…

  2. giovanni ha detto:

    bell’articolo. Dai anche in Italia qualcuno non cieco c’è, segnalo questa produzione 100% italiana che fa ottimi prodotti. missgrape.net

    1. Omar Gatti Omar Gatti ha detto:

      Ciao Giovanni,
      grazie per la tua testimonianza!

      Omar

  3. Cristi ha detto:

    Articolo chiaro e semplice con efficace descrizione degli sviluppi dell’andare in bicicletta, vivere la bicicletta. Sviluppi che ciascun pedalatore è libero di seguire o meno seguendo il proprio istinto e la propria anima. Si vede ancora una volta la cecità delle aziende italiane (di pochissimi decenni fa è il rifiuto della Campagnolo di approffitare dell’arrivo, e della diffusione eccezzionale, della mtb dagli USA, e vediamo ora la Campagnolo andare i Romania per sopravvivere!) . Segnalo il blog di un grande libero pedalatore: http://musseu.blogspot.it/
    Ciao
    Cristiano

    1. Omar Gatti Omar Gatti ha detto:

      Ciao Cristiano,
      grazie per la tua testimonianza e buone pedalate!

      Omar

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