Ancora sull’omicidio stradale

OMICIDIO_STRADALE_IN_EVIDENZA
La legge sull’omicidio stradale recentemente approvata, rappresenta un passaggio decisamente rappresentativo della gerarchia di valori e dei sistemi delle responsabilità individuali e collettive secondo le quali è organizzata e regolata la vita sociale nel nostro paese.

La legge infatti accentua molto gli aspetti repressivi legandoli da una parte agli esiti del sinistro e, dall’altra, alla presenza di fattori aggravanti legati al comportamento tenuto dal responsabile o dal corresponsabile del sinistro stesso.

Tale accentuazione è così severa da aver suscitato in molti commentatori più di una critica, con particolare riferimento alla sproporzione rilevabile tra le pene previste dalla nuova legge ed eventi che derivano da comportamenti che non sempre vengono percepiti come ad alto livello di rischio da chi li pratica, o che magari si accompagnano al sinistro in modo fortuito. Comportamenti in definitiva che, anche qualora causino incidenti con esiti gravi, dovrebbero più propriamente integrare un reato di tipo colposo.

A nostro avviso esiste un altro e più profondo ostacolo che impedisce di tracciare un confine chiaro tra comportamenti pericolosi e non, come sarebbe invece necessario poter fare per fondare in modo certo e equilibrato una azione repressiva.

L’auto infatti è un oggetto intrinsecamente pericoloso, esattamente come un’arma, ma che consente, contrariamente alle armi, modalità d’uso strutturalmente incapaci di garantirne la sicurezza.

Anche osservando le regole stabilite cioè l’auto è in grado di uccidere, e le migliaia di persone che ogni anno muoiono sulle nostre strade lo testimoniano al di là di ogni ragionevole dubbio. Basti pensare al fatto che qualunque intersezione, immissione o passo carraio non consente, in presenza di sosta, a garantire le distanze minime di visibilità necessarie per l’arresto; e questo avviene a 50 km/h, che pure è la velocità ‘legale’ consentita in ambito urbano.

È allora chiaro che, forse, l’aspetto repressivo avrebbe dovuto seguire o quantomeno accompagnare una azione primaria ben più forte e incisiva sulle modalità d’uso dell’auto a partire dall’aggiornamento delle ‘regole’ e dal controllo estensivo dei comportamenti, come oggi sarebbe possibile fare con strumenti di elevata efficacia (pensiamo solo alla regolazione automatica delle velocità).

Questo è però un tema che, curiosamente, non si vuole mai affrontare, anche a costo di dover scontare da una parte le migliaia di morti che si continuano a provocare sulle strade e, dall’altra, gli anni di galera promessi dalla nuova legge.

Perché quegli anni di reclusione, più che essere uno strumento per ridurre l’incidentalità, rappresentano il prezzo che la nostra società decide di pagare piuttosto che mettere in discussione i valori (di libertà? di piacere? di cosa?) che ancora ci ostiniamo a voler attribuire all’automobile per come è fatta e per come è usata.

Chi scrive ha, a suo tempo, sottoscritto l’appello per la legge sull’omicidio stradale e ancora lo rifarebbe: nella speranza che la palese ‘iniquità’ di quella legge ci costringa ora a fare quel che da tempo andava fatto.

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