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La stretta sul Ponte

La stretta sul Ponte
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Il Ponte sullo Stretto è un’opera sulla carta che ha assunto ormai una dimensione mitologica: periodicamente, da decenni, fa la sua apparizione nelle dichiarazioni di chi occupa pro tempore la carica di presidente del Consiglio, riaccendendo a tutti i livelli un dibattito che sembrava ormai sopito ma che continuava a covare sotto la cenere. Non si è ancora spenta l’eco dell’annuncio che Matteo Renzi ha fatto il 27 settembre scorso a Milano, alla festa per i 110 anni del Gruppo Salini-Impregilo: un’apertura netta e decisa al Ponte come opera prioritaria per il corridoio Napoli-Palermo, per togliere la Calabria dall’isolamento e avere la Sicilia più vicina. Un’uscita che ha rimesso al centro dell’agenda politica un tema caro al centrodestra di Berlusconi, corroborando l’annuncio anche con una stima sui posti di lavoro che la grande opera garantirebbe: 100.000.

Una stretta sul Ponte che se fosse stata annunciata a Ferragosto avrebbe avuto almeno il sapore di una boutade estiva e che, invece, ha sparigliato le carte e segnato il punto di svolta verso l’autunno caldo caratterizzato dal Referendum Costituzionale del 4 dicembre. Se il ponte è metafora di dialogo e incontro, quello che – sulla carta – dovrebbe unire lo Stretto è invece motivo di divisioni e scontri: non si tratta soltanto di essere “favorevoli” o “contrari” all’opera, perché gli schieramenti sul tema sono quantomai eterogenei e mutevoli; la questione centrale e dirimente è, a mio avviso, legata all’opportunità e alle priorità.

Davvero è opportuno dare il via ai lavori del Ponte sullo Stretto in un’area ad elevatissimo rischio sismico? Il costo finale dell’opera – si parla di 8 miliardi di euro – davvero non può essere speso meglio per migliorare la mobilità del Belpaese al netto di 3 km e rotti sospesi tra Scilla e Cariddi? Se lo è chiesto anche Iacopo Melio, che ha stilato una lista di possibili utilizzi “più propri” della somma, utilizzandola per abbattere i muri che ogni giorno relegano ai margini della società migliaia di portatori di handicap non garantendo loro una vita autonoma e dignitosa, altro che Ponte sullo Stretto.

Spiace constatare che anche il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio – già sindaco di Reggio Emilia, ciclista urbano e fautore della mobilità nuova – sostiene il progetto del Ponte sullo Stretto. Certo, lo fa cercando di smarcarsi dalla versione berlusconiana dell’opera che viene in mente quasi come un riflesso condizionato, essendo stata per anni il cavallo di battaglia del Cavaliere: Delrio parla di corridoio ferroviario Napoli-Palermo e individua nel Ponte sullo Stretto un pezzo di questo progetto per abbassare i tempi di collegamento tra le due città dalle attuali 9 alle future 5 ore.

Trovo surreale che proprio oggi, quando è ormai evidente che abbiamo un enorme problema di mobilità “dentro” le nostre città, ci si ostini a cercare una grande opera unita alla “cura del ferro” come panacea di tutti i mali e come deus ex machina che risolverà gli enormi problemi di logistica frutto di decenni di scelte orientate al trasporto su gomma e alla motorizzazione di massa. Perché è necessario foraggiare una Chimera come il Ponte sullo Stretto anziché pianificare una solida politica di investimenti pubblici per migliorare l’infrastruttura viaria nazionale e la sicurezza di tutti?

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