Le parole sono importanti: lettera aperta ai direttori di giornale

Le parole sono importanti: lettera aperta ai direttori di giornale

Le cronache di questi giorni impongono una riflessione sulla missione della professione giornalistica che è quella di informare e utilizzare un lessico appropriato. La strage quotidiana sulle strade viene troppo spesso sottaciuta o comunicata utilizzando espressioni fuorvianti che tendono a minimizzare le responsabilità e a sottovalutare il problema.

Il testo che segue è stato scritto da due giornalisti professionisti che preferiscono restare anonimi: è firmato da realtà attive per la sicurezza stradale e il rispetto della vita sulla strada. La testata giornalistica Bikeitalia.it è al loro fianco in questa battaglia di civiltà: di seguito il testo condiviso.

Le parole sono importanti: lettera aperta ai direttori di giornale

Caro direttore,

la sicurezza in strada è un argomento che non può essere considerato come una derivata di sole normative e infrastrutture: è anzitutto un tema antropologico, e dunque culturale. Siamo coscienti del ruolo fondamentale, primario, dell’informazione italiana nel trattare anche questo tema.

La narrazione degli eventi negativi in strada, a volte mortali, continua a essere offerta come se il comportamento umano non avesse alcuna influenza sulle dinamiche di ciò che si continua a chiamare incidente stradale ma che in realtà accade con una frequenza preoccupante e in crescita: definire questi eventi “incidenti” evoca la casualità, la sorpresa, il fatto eccezionale. Invece niente di più costante sulle nostre strade, luoghi pubblici per eccellenza. La causa prima è il comportamento umano e vorremmo che questo semplice dato fosse finalmente evidenziato con chiarezza. La lettura delle cronache ci dimostra invece che questo semplice accorgersi del “re nudo” non è ancora strumento professionale di chi fa informazione. Le scriviamo proprio per iniziare un dialogo che ci auguriamo riporti dentro parametri più oggettivi questo tema doloroso.

Nessuno più di chi, come lei, è al timone di una testata sa quanto sia importante la scelta delle parole, non solo nelle cronache ma anche nel resto dell’informazione in tutte le sue sfaccettature. Come utenti fragili della strada siamo certi di poter dare il nostro contributo per superare i luoghi comuni e avvicinarci all’obiettivo, che sappiamo ideale ma a cui si tende, dell’oggettività giornalistica.

Partiamo dal principe degli equivoci: “strada killer”. La strada è inerte e non ha coscienza. Definirla “killer”, luogo comune nelle cronache, è un ribaltamento logico che aiuta a rimuovere l’elemento umano, ad allontanare da sé la responsabilità dell’accaduto, che è sempre -almeno nella sfera antropica- una derivata delle nostre azioni. Né è l’unico luogo comune: le presentiamo alcune espressioni su cui riflettere, contrarie alla realtà dei fatti.

“Auto impazzita”: come può un oggetto inanimato perdere la ragione? Vale quanto detto per la strada killer, e va esteso a guardrail, pino/platano/altro albero, dosso, curva: tutti parimenti “assassini”, come se chi guida sia un passeggero impotente, prigioniero delle circostanze.

“Cause in corso di accertamento”: direttore, quando un’auto decolla e si ribalta la causa è solo una: la velocità eccessiva.

“Rocambolesco/spettacolare”: così viene spesso definita una collisione in cui però non c’è nulla di divertente né una prova di abilità.

“Pirata della strada”: il pirata è un personaggio ormai romantico, mitizzato, un simpatico e coraggioso furfante; chi ammazza per strada e scappa è invece un vigliacco criminale. Nel giornalismo anglosassone è definito “hit-and-run driver”, in quello francofono “chauffard”, traducibile in “automobilastro”.

“È stato sottoposto ad alcol/droga test”: spesso negli occhielli, alla ricerca di cause eccezionali per farsi una ragione dello scontro. Anche in questo caso si crea la sensazione che l’accaduto sia imputabile a una tipologia umana marginale o disagiata (leggasi “ubriacone/drogato”), mentre le brave persone sarebbero implicitamente immuni dal commettere episodi del genere.

Dalla stampa italiana traspare il tentativo, forse istintivo e non cercato, di “perdonare” il comportamento umano trasferendo la responsabilità altrove. Come anticipato sopra, questo è un tentativo di aprire un dialogo con i professionisti dell’informazione, testata per testata. Certi di aver ottenuto la sua attenzione, le chiediamo di condividere questa nostra lettera aperta con la sua redazione e con chi segue la sua testata. Potrebbe essere l’inizio di una campagna sociale per cambiare le brutte abitudini di tanti e migliorare la vivibilità delle strade.

Salvaiciclisti
Bikeitalia.it
Fiab
Fondazione Michele Scarponi
Bike Pride
Bike to school
Alleanza Mobilità Dolce
Napoli Bike Festival
Rete #VIVINSTRADA
Massa Marmocchi (Milano)
Genitori Antismog (Milano)

Commenti

  1. andrea casalotti ha detto:

    Sono naturalmente a favore della motivazione e del testo della lettera. Un commento :
    Non metterei per primo l’esempio “strada killer” – spesso le strade sono progettate (o lasciate che diventino) per il solo scopo di favorire la circolazione automobilistica senza rispetto per la sicurezza e il comfort di tutti noi che camminiamo e andiamo in bicicletta.
    Il comportamento umano viene influito da come l’ambiente si presenta
    Se vogliamo cambiare il comportamento umano dobbiamo cambiare come progettiamo le strade.
    Andrea
    Vision Zero London
    .

  2. Maurizio Lombardo ha detto:

    Articolo illuminato che propone una questione spinosa, cioè la libertà d’informazione.
    Dovete scusare il mio scetticismo, ma sulla questione etica del giornalismo ho forti dubbi, visto che gli stessi sono al soldo di lobby o padroni.
    Un esempio su tutti e proprio questo articolo, di cui condivido le tematiche ma non l’anonimato dietro cui si celano gli autori.
    Ciò mi fa comprendere come sia limitata la libertà d’espressione in questo paese e quanto individualismo ci sia nella società italiana, dove giornalisti volenterosi cercando di comunicare un messaggio forte e propositivo non trovano la spalla dei colleghi e si devono celare dietro l’anonimato.
    La strada é ancora lunga e accidentata ma c’è speranza e poi noi andiamo in bici prima o poi…….

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