Durante questa emergenza sanitaria l’Italia ha in qualche modo dettato la linea da seguire alle altre nazioni, sperimentando sulla propria pelle gli effetti del Coronavirus e delle azioni intraprese per contrastarlo.
Mentre prendevamo misure mai viste prima nella nostra storia repubblicana gli altri stati iniziavano ad approcciarsi al problema, suggerendo deboli azioni per posticipare la diffusione del contagio.
Mentre il mondo ci guardava sbalordito e scettico sulle nostre scelte di isolamento alcune città hanno cominciato ad indicare le azioni per il contenimento di quella che di lì a breve l’OMS avrebbe dichiarato essere una pandemia di portata globale.
Tra queste Bogotà, in Colombia, come vi abbiamo raccontato qui e New York, dove il sindaco Bill de Blasio, attorno all’8 marzo invitava i cittadini newyorkesi a lavorare da casa e a scegliere di muoversi il più possibile a piedi o in bicicletta per garantire le distanze di sicurezza tra le persone. Di lì a poco anche New York sarebbe diventata una città deserta, ma nel mentre la pandemia cresceva e si diffondeva in Europa la città ha accolto l’invito del sindaco a non utilizzare il trasporto pubblico e ha così sperimentato un crescente uso della bicicletta.
Alcuni blog americani riportano che nemmeno de Blasio pensava che il suo invito all’utilizzo della bicicletta sarebbe stato accolto dalla popolazione: troppo traffico e poche ciclabili per spingere semplici cittadini ad utilizzare la bici.
E invece…
E invece è successo che il numero di biciclette circolanti per le strade di New York è aumentato del 50% in pochi giorni, riversando un numero imprecisato di lavoratori dal mezzo pubblico alla bicicletta, con un impennata nell’uso delle biciclette del bike sharing.
La bicicletta si è rivelata ancora una volta la soluzione a un problema della collettività, ma se l’aumento dei ciclisti in circolazione non può che essere un dato positivo, utile a contrastare la diffusione del virus alleggerendo il flusso di viaggiatori sul trasporto pubblico, ciò che dobbiamo evidenziare è che alla crescita dei ciclisti è corrisposto un aumento non indifferente del numero di incidenti stradali che li hanno coinvolti.
Streetblog riporta una crescita del 43% dell’incidentalità stradale tra ciclisti dal 9 al 15 Marzo, segno che le strade di New York non erano pronte ad accogliere un numero così alto di persone in bicicletta.
Non a caso solo dopo l’invito ai cittadini ad utilizzare la bicicletta il sindaco ha iniziato a pensare che forse sarebbero state necessarie iniziative straordinarie di potenziamento della rete ciclabile. De Blasio si è trovato così a dover redigere in fretta e furia un piano denominato Open Streets per andare a chiudere al traffico veicolare alcune corsie e alcune strade della città, in modo da garantire la sicurezza dei ciclisti ma allo stesso tempo ampliando lo spazio pubblico a disposizione dei cittadini e quindi garantendo un margine superiore al distanziamento di 1 metro tra le persone.
Sempre secondo Streetblog il piano ha di fatto chiuso poco o nulla, giusto alcune vie “troppo strette” nelle aree più centrali e realizzato qualche ciclabile temporanea, ma senza costruire una vera alternativa al trasporto pubblico.
Se questa pandemia è stata descritta da persone più titolate di me come “un’onda” che ha colpito prima noi, come Paese-Italia e successivamente altre realtà, è plausibile pensare, e ce lo auguriamo, che prima o poi l’emergenza finirà e saremo tra i primi a risollevarci da questa ondata, saremo tra i primi richiamati ad andare al lavoro e a tornare alla “normalità”.
Una normalità che a oggi in tanti sogniamo ma che facciamo ancora fatica a intravedere, ma quando questo momento arriverà non possiamo farci trovare impreparati. Molti di noi probabilmente saranno restii a tornare alle proprie abitudini di mobilità e allo stesso modo non possiamo aspettarci un invito dalla politica all’utilizzo massivo del trasporto pubblico, così come è improbabile che potremo permettere alle nostre città di sopportare ulteriore traffico automobilistico.
La risposta sta nell’uso della bicicletta, New York l’ha dimostrato: lasciamo metropolitane e autobus a quelle persone che quei 4-5 km in bici proprio non riescono a farli e invitiamo la stragrande maggioranza della popolazione a utilizzare le due ruote. I cittadini newyorkesi hanno risposto bene, ma le città non possono permettersi di mandare le persone in bicicletta sulle strade che conosciamo oggi.
Non sappiamo se anche la politica italiana farà un appello all’utilizzo delle biciclette e a una riduzione degli spostamenti coi mezzi pubblici.
Ma se questo dovesse avvenire, per evitare un aumento del numero degli incidenti all’aumentare dei ciclisti in strada, è necessario un piano emergenziale che ridistribuisca le strade alle persone, chiudendole più o meno parzialmente al traffico veicolare e aprendole al traffico “umano” fatto di runner, di persone in bicicletta o sul monopattino elettrico e favorire tutte quelle forme di mobilità che permettono alle persone di muoversi, mantenere le distanze di sicurezza e respirare aria pulita.
Mai come oggi gli abitanti delle città densamente popolate possono comprendere quanto valga lo spazio dell’abitare e lo spazio pubblico: passare 1 mese, forse 2, chiusi in 50/60 mq di abitazione sapendo che la strada sotto casa potrebbe essere uno spazio collettivo, un parco, un’area verde invece che un’arteria di scorrimento potrebbe avvicinarci e indurci a considerare nuove forme di mobilità alternative all’auto.
Non facciamoci trovare impreparati.
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