Linda Ceola lavora in un negozio di articoli sportivi a Padova da 6 anni come Sport Leader Ciclismo, dove la possibilità di parlare con tantissimi ciclisti e altrettanti neofiti curiosi che vogliono approcciarsi alla pratica non solo finalizzata allo sport ma anche alla mobilità urbana. Linda ha conseguito una laurea triennale in Storia e Tutela dei Beni Culturali, a seguito della quale ha svolto un Master in Organizzazione Eventi Artistici e Culturali a Firenze.
Ho avuto il piacere di conoscere Linda tanti anni fa e ora vorrei che la conosceste anche voi.

Quando hai iniziato ad andare in bici e cosa ti ha ispirato a scegliere questo sport?
Il mio rapporto con la bici si è evoluto nel tempo. Pedalo da sempre. Prima per andare a scuola e in palestra dove ho giocato a pallavolo per anni, poi per andare all’università, ora con la bici mi sposto quotidianamente tra casa e lavoro, mi alleno e quando posso viaggio. Ho 35 anni e non ho mai posseduto un’auto. Nessuno in casa è appassionato di ciclismo perciò fatico a trovare delle radici in questa passione che ora è anche sport. Pedalare significa per me attraversare un caos di emozioni e sensazioni contrastanti. È una lotta tra la gamba che non gira, il vento che non spinge, il fiatone che non si placa, il sudore che ti riga il volto e le volte invece in cui la pioggia è una carezza, le salite te le mangi e il rientro a casa non è eterno. Credo di scegliere il ciclismo ogni giorno per questo.
Quali sono stati i momenti più importanti o le gare più memorabili della tua carriera?
Ripercorrendo le avventure fatte ne cito una strepitosa che risale al 2017 e che porta il nome “The Lighthouses”. Nel periodo della Festive 500, sfida ciclistica che Rapha propone dal 2010, abbiamo ideato e percorso tra amici 545 km, dal faro di Goro (FE) al faro di Porer in Istria, in tre giorni tra Natale e Capodanno. Non avevo nessun allenamento e nemmeno l’abbigliamento idoneo. Che dolori! Per la prima volta ho raggiunto il mio limite e ho capito che la sofferenza in bici viaggia su due binari paralleli: fisico e mentale. Mi sono fatta spingere in salita quando le ginocchia sembravano spezzarsi, perso ogni speranza e poi ritrovata, in quello scantinato delle forze residue di cui credevo di avere perso la chiave.
Il momento più forte però che ho vissuto in bici è stato al termine di NorthCape4000, un evento di ultracycling senza supporto con una destinazione leggendaria che è Capo Nord. Partire dalla Reggia di Venaria Reale di Torino e pensare per 4400 km a quel puntino magico lassù, sopra il Circolo Polare Artico, dove il sole d’estate non tramonta mai. Raggiungere finalmente Capo Nord, dopo 20 giorni passati in sella, di cui 10 sotto una pioggia incessante. Toccare Il Globo con le mani e sentire il cuore fondersi lentamente di fronte alla vastità di quell’orizzonte rosato. Il silenzio immobile a bocca aperta di mio padre, in videochiamata, alla vista del celebre promontorio, sembrava un urlo di gioia senza fine. Ho riattaccato e pianto.

Invece i problemi meccanici come li risolvi? Hai le conoscenze di meccanica ciclistica per risolvere i problemi in emergenza?
I problemi meccanici sono inevitabili e imparare a gestirli, perlomeno i più semplici, è importante per sentirsi tranquilli quando capita di doverli affrontare. Per dirne uno, durante Northcape4000 ho tagliato il copertone e perso tutto il lattice. La stessa pioggia battente che aveva contribuito a rovinare la ruota tramite accumulo di detriti sulla strada, mi ha aiutato a pulire il cerchio e il copertone, per poter mettere la camera d’aria. Dopo due giorni di continue perdite di pressione ho dovuto cambiare copertone posteriore, ormai forato in vari punti. La mia bici montava inoltre dei cerchi hookless, che non ospitano qualsiasi copertone ma fortunatamente ero ad un paio di giorni da Oslo, dove ho trovato un negozio e un copertone compatibile e il tubeless è stato ripristinato. Mi mancavano ancora 2000 km e in quelle condizioni non sarei arrivata alla mèta.
Non sono di certo un’esperta di meccanica ma ho fatto un paio di corsi di formazione sul tema e ho imparato tentando e sbagliando tanto. Una volta che hai individuato quali sono le casistiche più frequenti che possono verificarsi in un viaggio di più giorni, capisci quali tool ti servono e ti attrezzi. Tutto quello che puoi provare a fare comodamente a casa, arricchirà il tuo manualetto di skills utili, pronte all’uso.
Quali sono le sfide principali che affronti come ciclista, sia dal punto di vista fisico che mentale?
Finché pedali esclusivamente per piacere e non hai nessun obiettivo sportivo in vista, vivi la bici senza preoccuparti della tua performance ma quando individui una sfida che ti interessa, fissi una data nel tuo calendario e le dai un nome, questo cambia tutto. Per preparare il fisico allo sforzo devi allenarlo a resistere e questo significa impostare una routine settimanale che sulla carta è stupenda e motivante ma calata sulla realtà, si scontra con gli inganni della mente che ti portano altrove per evitare la fatica. Gestire questa danza continua tra lavoro, commissioni, obiettivi sportivi chiari, ciclo mestruale, palestra, voglia di trasgredire, progressi lenti e tempo che scorre è come stare su un tagadà. Ci sono momenti in cui scegli di stare sul bordo del disco, seduto e attaccato fisso allo schienale a braccia aperte e non vedi l’ora che finisca di girare e altri in cui senti il ritmo della musica e ti alzi in piedi, dominando il tagadà. Questa per me è la difficoltà più grande e al contempo più soddisfacente dell’essere ciclista.
Quali allenamenti o strategie utilizzi per migliorare le tue prestazioni in bici?
Sono seguita da un amico, che oltre ad essere adeguatamente formato, ha una lunga esperienza di lunghe distanze. Lui mi aiuta nella pianificazione degli allenamenti a seconda dell’evento o gara di mio interesse. A questo abbino sempre la palestra due volte a settimana perché credo fortemente nell’utilità di allenare il corpo anche senza bici, con carichi pesanti perlopiù nel periodo invernale, abbinati all’allenamento del core e della parte alta, che sembra poco coinvolta nella dinamica ciclistica ma è indispensabile nella tenuta della posizione del corpo in sella. Il corpo va usato senza paura di romperlo.

Come gestisci l’equilibrio tra la tua vita personale e le tue responsabilità come atleta/ciclista?
Il lavoro che svolgo mi impegna per 25, talvolta 30, ore settimanali, su turni che cambiano di settimana in settimana quindi riesco tranquillamente a gestire gli allenamenti senza dover aspettare il weekend e concentrare tutto su due giorni. Mi ritengo fortunata da questo punto di vista. In ogni caso non sento di avere delle responsabilità nei confronti di nessuno ad eccezione di me stessa rispetto agli obiettivi che mi prefisso. Non ho legami formalizzati con alcuno sponsor quindi faccio quello che mi piace e mi fa stare bene con gioia e dedizione.
Hai un modello o un’ispirazione nel mondo del ciclismo o dello sport in generale?
Il mio modello è sempre lo stesso da quando lo conosco. Non è ancora stato detronizzato. Si chiama Giona Uccelli, come il profeta, e un po’ lo è. Ciclista non professionista, votato alle lunghe distanze in bici ed esperto di panificazione. Dopotutto una gara di endurance in bici è perfettamente pareggiabile al lento processo di lievitazione che si cela dietro una pagnotta fumante e alveolata. È una lenta cavalcata in cui mentre il nastro del paesaggio scorre devi ricordarti di prenderti cura di te per garantire al tuo corpo e alla tua mente di essere sempre in forze per arrivare alla mèta. E quanta soddisfazione dà? Comunque è un profeta perché quando gli chiedi un consiglio risponde (quando risponde), dicendoti ciò che non vorresti sentirti dire, ti mette in difficoltà, ti disturba. Eppure ha sempre ragione. La sua esperienza è maestra. Pedala tanto e con naturalezza e non ho ancora incontrato qualcuno in grado di farlo bene come lui. In bici non molla mai! Motivante senza volerlo, ti spinge oltre i limiti senza chiedertelo, quando l’imprevisto si manifesta lo gestisce con pacatezza e ironia. Da grande vorrei diventare come lui.
Come vedi il futuro del ciclismo femminile? Ci sono cambiamenti che vorresti vedere in questo sport?
Vedo grandi miglioramenti in termini di attenzione nei confronti del ciclismo femminile e questo mi conforta. A livello professionistico noto ancora una disparità ingiustificata tra uomini e donne per quanto riguarda il riconoscimento economico e di investimento da parte dei brand e degli sponsor, dove il margine d’azione credo sia rilevante e il ritorno di immagine attualmente sottovalutato. Mi piacerebbe ci fosse più attenzione mediatica disinteressata, nei confronti di queste ragazze, delle loro storie, di come vivono le loro vite da atlete. Vorrei che si raccontassero di più anche loro stesse.
Se generi curiosità, arricchisci il vivaio e se c’è vivaio c’è futuro.
In ambito amatoriale noto che gli eventi di ciclismo di lunga distanza vedono, di anno in anno, una maggior partecipazione femminile. Posso dire di aver conosciuto e pedalato con donne davvero forti di gamba e di testa, che non hanno nulla da invidiare all’altro sesso. Mi piace il modo in cui molti eventi unifichino l’ordine di arrivo al traguardo finale senza suddivisione di genere e come dedichino pari attenzione a tutti gli atleti fino agli ultimi arrivati.
Puoi parlarci di un momento in cui hai affrontato una sconfitta o una delusione e come l’hai superata?
Badlands è una sfida di ultracycling non supportato che parte da Granada e si svolge lungo un percorso di 800 km attraverso alcune catene montuose impegnative e l’unico deserto europeo, Tabernas, con un guadagno totale di circa 16.000 metri di dislivello positivo. Ho partecipato a questo evento nell’estate del 2024 con un unico obiettivo, fare del mio meglio. Il percorso è arduo e i più veloci lo chiudono in due giorni. Avendo alle spalle come unico riferimento Northcape4000, che si compie per intero su strada, non sapevo esattamente cosa significasse pedalare per tanti km su sterrato a livello psicofisico ma anche di tempistiche e di reperibilità dei rifornimenti.
Il primo giorno rappresentava per me un grande ostacolo, ossia affrontare di notte una delle aree iconiche del percorso, il quasi deserto di Gorafe. Tutti mi avevano caldamente suggerito di tenere duro e arrivare dopo 230 km fino al Café Bar Hogar del Pensionista di Gor, aperto tutta la notte e io ho focalizzato le mie energie per trovare quel calore accogliente che mi era stato raccontato. Partita alle 8 da Granada, sono arrivata a Gor alle 3:30 del mattino con la palpebra calante ma senza grandi difficoltà. Mi sono lavata le mani e il viso, ho mangiato un ovetto strapazzato con del pane preparato con amore, tirato fuori un powerbank per caricare telefono e Garmin e sfoderato l’occorrente per “dormire” su un marciapiede sotto le stelle.
Dopo circa tre ore tormentate sono ripartita. Davanti a me c’erano 100 km di nulla, che mi avrebbero portato prima fino all’Osservatorio di Calar Alto immerso in una nebbia apocalittica e poi giù fino a Velefique dove ho iniziato ad avere una sensazione di nausea che mi ha accompagnato fino a Lucainena del Las Torres, terra che ospita un gigantesco impianto di pannelli fotovoltaici. Ho trovato una stanza in un hotel tutto bianco. Ero in tabella di marcia.
E poi cos’è successo?
Ho pianificato la tappa del terzo giorno ma la notte non mi è stata amica. Ho vomitato diverse volte senza riuscire a dare riposo al corpo e mi sono svegliata con il ciclo. Mi sentivo piuttosto male e ho scelto di non proseguire con grande, grandissimo rammarico. Quando partecipi a questi eventi devi pensare a tutto, anche a riportarti a casa se la tua sfida termina prima del previsto, così mi sono messa in sella per raggiungere Gádor, la prima città vicina per rientrare in treno a Granada. I rigurgiti non sono cessati nemmeno pedalando. Non mi sono mai sentita così.
Ad oggi non so scientificamente spiegare cosa sia successo di preciso al mio organismo, so però di avere fatto la cosa giusta per me in quel momento.
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi o sogni sia a breve che a lungo termine?
Ho adocchiato un evento in Norvegia con partenza il 3 agosto 2025. Mother North è il suo nome, con un percorso di circa 950 chilometri e 16.000 metri di dislivello su un terreno misto. Di sicuro potrebbe diventare un obiettivo a lungo termine interessante per il prossimo anno ma al momento è ancora tutto sul tavolo e non ci ho ancora messo la testa. Chissà!
Se volete seguire Linda (e le sue avventure in bici) potete trovarla su Instagram: @LindaCeola
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