Riflessioni su cosa sia lo spirito gravel e perché stia conquistando sempre più persone
C’è un detto ironico che spopola tra i ciclisti: “Il gravel non esiste”. Mi fa sorridere, perché tecnicamente è vero: il termine gravel, di per sé, significa semplicemente ghiaia e non indica uno sport preciso, piuttosto una moltitudine di modi di vivere la bicicletta raggruppati in un solo mezzo, la bici gravel per l’appunto.
Ed è forse per questo motivo che quello che viene definito movimento “gravel” mi ha conquistato, perché è prima di tutto sinonimo di libertà di usare una bicicletta esattamente come si vuole, andando ovunque e senza limiti, regole e impostazioni precise.
Si può percorrere qualsiasi strada asfaltata o sterrata, qualsiasi argine o campo anche ricoperto d’erba, qualsiasi sentiero di terra o di ciottolato senza doversi preoccupare di tenuta delle ruote o senza dover fare corsi per imparare e gestire l’equilibrio in posizioni strane o a superare ostacoli.
Tutto quello che c’è da fare è semplicemente pedalare, godendosi quello che si incontra lungo il proprio tragitto, qualsiasi cosa ci sia. Credo per questo che la bici gravel sia l’espressione concreta del “vivere nel presente” tanto decantato da filosofie new age, spirituali e di mindfulness.
Bici gravel: versatilità e scoperta
Scendendo più nei dettagli tecnici, infatti, la bici gravel è una tipologia di bici versatile, che si può usare per coprire lunghe distanze, ma anche fare sentieri sterrati, perdersi nei boschi così come caricarla di bagagli e visitare città con il ritmo lento del cicloturista.
Ed ecco la sua seconda caratteristica, che mi ha fatto innamorare: è la bici perfetta da viaggio, che permette di esplorare un territorio in tutte le sue forme civilizzate o selvagge. E non solo: grazie alla sua versatilità, permette di vivere la dimensione del viaggio anche a casa, allontanando il ciclismo dalla concezione di alte prestazioni sportive e avvicinandolo più al concetto di “scoperta”.
Cambiare prospettiva
Non a caso, il gravel in Italia si è diffuso proprio durante il periodo della pandemia, quando tutti siamo stati costretti a riscoprire la bellezza delle zone vicino casa nostra guardandole da prospettive diverse. Grazie al gravel, in quel periodo, abbiamo potuto esplorare golene, boschetti, campi dietro casa che prima snobbavamo, attirati da mete più esotiche e lontane.
Viaggiare, in fin dei conti, significa lasciarsi stupire dalla vita scoprendo novità e diversità e questa tipologia di bici riesce benissimo nell’intento di far cambiare il punto di vista del ciclista spostandolo dai classici allenamenti alle sorprese che si possono trovare anche nei luoghi più conosciuti.
Non adatta a competere con una bici da strada in velocità (le gomme sono troppo grandi) e con una mtb per le prestazioni tecniche (sarà sempre poco ammortizzata per chi vuole fare trail e discese impegnative), la gravel mantiene una sua identità lontana dall’agonismo duro e puro, avvicinandosi più a quello che è il ciclocross. Vero, ultimamente si è cercato di etichettare il fenomeno gravel anche con gare per professionisti. Ma anche queste ultime, sono molto diverse da loro: c’è il Mondiale Gravel, che prevede una competizione di velocità su strade sterrate semplici con una traccia non troppo lunga, e ci sono le gare di ultracycling che prevedono invece di coprire distanze lunghissime su terreni molto scoscesi e tecnici. Insomma, anche in questo caso è difficile dire cosa sia esattamente una gara gravel.
Manifestazioni: scoperta, socializzazione ed enogastronomia
Si stanno poi moltiplicando manifestazioni, raduni, eventi non competitivi, che forse sono gli unici che riescono a unire insieme più elementi della dimensione gravel: scoperta di un territorio, socializzazione, goliardia ed enogastronomia con ricchi ristori a base di prodotti tipici di quella zona.
Anche questi due ultimi punti sono fondamentali per comprendere cosa sia il gravel: le chiacchiere tra ciclisti amatori e le fermate a bere tutti insieme una birra fresca tra una fatica e l’altra sono fondamentali tanto quanto il ciclocomputer e il misuratore di watt per un professionista.
Ed è proprio grazie a questi momenti di condivisione che la bici gravel è riuscita a creare vere e proprie comunità di appassionati, che si danno appuntamento in giro per l’Italia non solo per pedalare, ma anche per ritrovarsi e divertirsi insieme. Una dimensione equiparabile al “terzo tempo” rugbistico che prima, nel ciclismo da strada e nelle gare mtb, non esisteva.
Il Gravel come esperienza meditativa
Ultimo punto, non meno importante, è la dimensione meditativa che può essere raggiunta grazie a una pedalata in solitaria su una bici gravel: ci si immerge nella natura spegnendo il cervello e concentrandosi sulla fatica della pedalata e sulla meraviglia dei panorami che si incontrano.
Non si deve stare attenti al traffico, così come non si deve rischiare la vita per provare grande adrenalina: apre uno spazio di libertà mentale che esalta la creatività e le grandi idee. Se devo ragionare seriamente su qualcosa, personalmente prendo la mia gravel, pedalo spegnendo il cervello, perché poi tutte le risposte arrivano da sole.
Forse, più che dire che “Il gravel non esiste”, dovremmo dire “Il gravel è tutto”. Quella che viene definita bici gravel è semplicemente il mezzo di chi non vuole un’etichetta, ma vuole vivere serenamente la sua passione sulle due ruote, attribuendole in completa libertà il valore che più gli piace e più sente suo. Liberando il ciclista dal proprio ruolo, permette di essere chiunque liberandolo da ogni aspettativa.
Trovare una definizione standard, quindi, sarebbe sempre e comunque una risposta sbagliata, perché ogni ciclista può vivere lo spirito gravel in tutti i modi che preferisce.
Mi piace che oggi si sente parlare di “Gravel” come se fosse uno sport venuto dall’altro mondo.
In realtà lo abbiamo sempre fatto, fin da ragazzini, quando si scorrazzava in giro per le strade di campagna a bordo di biciclettine Graziella (le femmine) o bici “da cross” (i maschi), i più fortunati con qualche mezzo ereditato da un genitore o nonno che al più avevano il cambio con (udite udite) ben 3 rapporti; insomma, dei ferrazzi che ci voleva un coraggio da leoni solo a metterli in movimento!
Eppure si andava e ci si divertiva! A volte a qualcuno capitava la foratura, ma era così che s’imparava a portarsi sempre dietro la pompa ed il “magico” kit di riparazione (e soprattutto ad usarlo).
Oggi uno dice “io faccio Gravel” e sembra chissà cosa, ma in realtà sta solo sottolineando il fatto che non teme di avventurarsi fuori dal solito asfalto: quello che fa la differenza non è il nome dello sport, e nemmeno il mezzo, sono la voglia ed il coraggio di abbandonare la via più comoda!
Detto da uno che ancora oggi usa una vecchia bici “da strada” col manubrio “a condor” del 1958 e senza cambio per mordere impavidamente gli sterrati intorno alla città (ammortizzatori? e cosa sono?).
Certo, in salita arranca e in discesa è meglio non esagerare, ma quelle sono le “sue” strade!
Semplicemente, da quando è nata, le strade inghiaiate sono molto diminuite nel numero, forse è quello che fa del Gravel un’attività particolare.