Se la Thailandia del Nord che abbiamo visitato finora è stata poco turistica e un paradiso per il cicloturismo, l’Isan, ossia le 19 province del Nord-Est in cui siamo entrati a partire da Loei, ci regalerà paradisi naturali ancora più remoti e persone calorose come poche prima di loro. Questa è la zona più povera della Thailandia, dove la popolazione è di etnia lao e vive principalmente di agricoltura. È conosciuta nel mondo per l’utilizzo degli insetti nella propria cucina e di certo non lo possiamo smentire visto che ad ogni food market troviamo almeno una bancarella con vasta scelta di parassiti croccanti.
I confini di questa regione sono definiti a Nord e ad Ovest dal Mekong ed è proprio questo maestoso fiume che disegnerà, con le sue anse e le sue rapide, la nostra rotta verso la Cambogia.
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Lasciamo la bella Nong Khai con il cattivo tempo e riusciamo a fare parecchi chilometri senza che il sole ci cuocia. In uscita dalla città seguiamo una pista ciclabile vicino al Mekong, sulla via 3040, incontrando diversi ciclisti su bici da corsa, mountain bikes e fat bikes: la popolazione si sta avvicinando sempre di più allo sport sulle due ruote grazie alle iniziative di mobilità sostenibile che le province stanno promuovendo da alcuni anni. Imbocchiamo la 212, che è un’arteria piuttosto grossa, a quattro corsie, senza scorci sul fiume. La manteniamo per molti chilometri, ma, dopo Pak Kat il traffico e le corsie diminuiscono e il margine stradale si fa rurale, a tratto coperto da piantagioni di alberi da gomma.
Avevamo previsto di pedalare oltre 130 km e raggiungere Bueng Kan, capoluogo dell’omonima provincia, ma al numero 105 rimaniamo affascinati da uno strano tempio buddista – wat a Hong Silawas – circondato da formazioni rocciose e giardini in stile zen, il tutto affacciato sul Mekong. Chiediamo informazioni e scopriamo che si tratta di un luogo per la meditazione: lo scenario si presta perfettamente allo scopo e i monaci in arancione che passano di tanto in tanto aggiungono un’atmosfera magica e serena al luogo. Questo posto è chiamato “l’ombelico del Mekong”, qui il fiume raggiunge la sua massima profondità, quasi 200 m.
La pedalata successiva ci vede raggiungere Bueng Kan la mattina presto su un tratto della 212 che è trafficato e poco scenografico. Proseguiamo ancora per 25 km circa e poi voltiamo a destra sulla 3009 per assaporare uno scenario diverso: la strada si insinua in una zona paludosa e le nuvole dense che ci portiamo dietro da Nong Khai si specchiano sugli stagni con riflessi mozzafiato.
Dopo una decina di chilometri appare sulla nostra destra il massiccio Wat Phu Thok, una collina isolata alta 360 m attorno a cui si avvolgono una serie di livelli di piattaforme fino al tempio buddista ricavato all’interno di una grotta vicino alla sommità.
Proseguendo verso Sud raggiungiamo il lago di Khong Long, che vanta ristoranti affollati e attività acquatiche nella zona Sud-Ovest. A Sud-Est, invece, il paesino di Bueng Khong Long è tranquillo e gode di una posizione ottimale. Trascorriamo qui la notte, sotto un’altra tempesta di pioggia e vento che arriva in largo anticipo rispetto alla stagione monsonica.
La tappa successiva è incerta a causa delle condizioni meteorologiche ballerine: facciamo ritorno sulla 212 e pedaliamo per una cinquantina di chilometri vicino al confine laotiano, scegliendo stradine secondarie quando possibile, perché la principale è stretta e piatto trafficata. Quando le nuvole si fanno davvero minacciose scegliamo la prima guest house e guardiamo la pioggia scendere asciutti e riparati nel nostro bungalow. Al risveglio il cielo è limpido e la temperatura appena qualche grado più fresca. Ci avventuriamo su una strada secondaria a ridosso del Mekong che attraversa diversi piccoli villaggi. Dei 35 km che percorriamo i primi 5 sono sterrati, poi troviamo l’asfalto, perfetto nelle zone abitate, dissestato appena fuori. Il paesaggio attraversato, comunque, vale la lentezza con cui procediamo: ci gustiamo le verdi campagne, i pascoli, gli scorci sul Mekong e la vita pacifica dei piccoli paesini periferici.
A Chai Buri una ciclabile lungo il fiume collega una serie di luoghi sacri e templi molto affascinanti.
Di qui riprendiamo la 212, che attraversa zone dalla vegetazione molto rigogliosa alternate ad altre industriali e con traffico intenso di mezzi pesanti.
A 13 km da Nakhon Phanom si erge l’imponente Thai-Lao Friendship Bridge e sotto ad esso ha inizio una bellissima ciclabile che porta fino al centro della città. Sono tantissimi i ciclisti thailandesi che la utilizzano.
La città è davvero viva e piacevole, con diversi chilometri di lungofiume attrezzati per lo sport o per il gioco dei più piccoli, ristoranti alla moda, bancarelle che vendono cibi di ogni tipo e templi da lasciarci a bocca aperta.
Riprendendo la 212, visto che non esistono alternative più vicine al fiume, pedaliamo in uno scenario di monotona periferia e poi campagna. Affrontiamo solo una sessantina di chilometri perché il caldo ha ricominciato ad essere fastidioso e preferiamo trovare una sistemazione prima di pranzo, quando il termometro sfiora i 40°C. Ci fermiamo a That Phanom, che è una versione più piccola e spenta di Nakhon Phanom, con una serie di specchi d’acqua attorno al Phrathat Phanom Temple che svetta al centro della città.
Nei successivi 60 km verso Mukdahan ci godiamo una bellissima strada secondaria, la numero 3015, che corre poco distante dal Mekong. Dove possibile ci spingiamo ancora più a ridosso del fiume, a volte su percorsi ciclabili, altre su sentieri sterrati, immersi nell’assoluta pace e nel silenzio di quest’area.
Anche Mukdahan, altro capoluogo di provincia, vanta un ponte di collegamento con il Laos. Sulla sponda opposta, infatti, si trova Savannakhet, la seconda città più grande del Laos dopo la capitale Vientiane. A metà giornata il tempo torna a fare scherzi e ci becchiamo l’ennesimo acquazzone con lampi e tuoni di accompagnamento. A Mukdahan notiamo alcuni negozi di biciclette piuttosto forniti.
In uscita dalla città, sulla 2034, troviamo una ciclabile con sede separata dalla carreggiata per circa 13 km, fino all’ingresso del vicino parco nazionale. All’altezza di Ban Po Sai ci spingiamo verso il fiume su strade secondarie davvero desolate. Non c’è nessuno oltre a noi e attraversiamo zone verdissime a ridosso del pacifico Mekong. Passiamo Don Tan e poi decidiamo di fermarci a Chanuman, dopo 50 km, per lo scorcio irresistibile che offre sulle isolette verdi in mezzo al Mekong con le barche di pescatori che fischiettano.
Comunque non ce la godiamo troppo perché Riccardo nota due grosse crepe nel cerchio posteriore della bicicletta, in corrispondenza, probabilmente, di un raggio troppo teso. Scopriamo già dalle prime ricerche che in Thailandia i cerchi da 700c adatti al cicloturismo sono rarissimi, così come quelli da 29 per le mountain bike. Noi abbiamo i raggi rinforzati, quelli utilizzati nelle biciclette elettriche perché la ruota sopporti meglio il peso che trasportiamo, quindi vorremmo sostituire solo il cerchione e non cambiare l’intera ruota.
Troviamo un passaggio per tornare a Mukdahan, ma qui i cerchi delle nostre dimensioni, per di più con 36 fori per i raggi, sono introvabili. Mobilitiamo i negozi di biciclette di mezza Thailandia tra messaggi Facebook e telefonate, finché da Bangkok arriva una buona notizia: un negoziante ci spedisce gratuitamente il vecchio cerchio della propria touring bike come soluzione temporanea. Poi saltiamo su un autobus per Ubon Ratchathani, capoluogo di provincia sul fiume Mun, dove un meccanico ci ricostruisce la ruota. Tre giorni di pausa dalle selle e la visita ad una bella città finiscono per essere un imprevisto piacevole.
Lasciamo Chanuman la mattina presto, entusiasti di tornare a pedalare, ma anche agitati per la performance della nuova ruota e le sorprese che potrà riservare. Tutto fila liscio negli 80 km che ci portano a Sam Phan Bok: i primi 15 sono sulla 2034, poi svoltiamo in direzione di Khemarat sulla 2242, dove l’asfalto non è dei migliori, ma il paesaggio è verdissimo e il traffico inesistente. Nella città facciamo rifornimento di viveri perché Sam Phan Bok sarà solo un piccolo villaggio con poche e piccole attività e poi imbocchiamo la 2112 che, con i suoi sali-scendi, ci porta attraverso le campagne e la vegetazione selvaggia. Poco prima della meta ci ripariamo in una guest-house e decidiamo di fermarci qui per la notte perché il tempo minaccia di nuovo temporali, che infatti non tardano a raggiungerci. La nostra visita alle “3000 pietre” sul fiume Mekong, a 3 km da Sam Phan Bok, è rimandata al giorno seguente. Il fiume crea in questo sito uno spettacolo naturale insinuandosi tra le curve arrotondate di un’infinità di massi e formazioni rocciose.
Alla mattina presto la luce è incredibile e gioca con i riflessi sull’acqua del fiume. Dopo questa piacevole parentesi torniamo in sella per la lunga tappa di oltre 100 km che ci aspetta, con 900 m di dislivello positivo. La bellissima strada che percorriamo, la numero 2112, si distacca per decine di chilometri dalla sponda del fiume, ma si infila attraverso i boschi del parco nazionale Pha Taem, che nella giusta stagione vanta alcune incredibili cascate. All’altezza di Khong Chiam, poi, si trova un altro sito davvero degno di nota, cioè il “fiume di due colori”: dove il Mekong incontra l’affluente Mun si notano le tonalità diverse dei due fiumi, giallo/marrone il primo e blu il secondo. In questo punto panoramico ha trovato sede un bel tempio con un giardino curatissimo.
Salutiamo qui il Mekong che ci ha tenuto compagnia nelle ultime settimane e proseguiamo verso la diga di Sirindhorn, circa 15 km più a sud, dove riceviamo del rifornimento medico per la gestione del diabete di Chiara. La diga offre un bello scenario, ma le strutture ricettive non lo sfruttano appieno, almeno non dove alloggiamo noi, nella piccola Kham Khuean Kaeo.
Ora che il Mekong è entrato in terra laotiana abbandonando il confine thailandese, anche noi decidiamo di non continuare a seguire la frontiera, ma ci spostiamo verso ovest in vista del nostro prossimo ingresso in Cambogia dal valico di Choam Sa Ngam/Anlong Veng. Facciamo tappa a Ubon Ratchathani, dove abbiamo già trascorso una notte in attesa del cerchione per Riccardo. La raggiungiamo per vie secondarie, sterrate o asfaltate, vicino al corso del fiume Mun. La città offre un grande parco vicino al centro dove centinaia di persone fanno attività fisica nel tardo pomeriggio, chi in gruppo a tempo di musica e chi in solitaria. A poche centinaia di metri il night market offre bancarelle per tutti i tipi di palato e tavolini dove consumare la cena tra le famiglie thai. La passeggiata sul lungofiume fa bella mostra di ristorantini e pub alla moda con vista sul ponte illuminato.
Ci dirigiamo poi verso un’altro capoluogo di provincia, Sisaket, distante una sessantina di chilometri. Questa volta non cerchiamo viuzze paesaggistiche perché i nuvoloni che ci sovrastano minacciano pioggia imminente: prendiamo la strada 226 che è una grossa arteria a quattro corsie e in men che non si dica siamo a Sisaket, tra le sue viuzze brulicanti di attività. Incrociamo pochissimi stranieri, così come nella maggior parte delle città dell’Isan, e riceviamo un’ospitalità sincera fatta di sorrisi, saluti e gentilezze. Continuiamo poi a spostarci verso il punto di confine con la Cambogia e, attraverso stradine secondarie nelle campagne verdissime, raggiungiamo Khu Khan per l’ora di pranzo. La piccola cittadina non ha nessuna particolare attrattiva, anzi ci sembra più che altro un agglomerato di case e attività sorte lungo la strada principale.
A questo punto solo un giorno di pedalata ci separa dalla Cambogia e siamo emozionati come di fronte ad ogni confine. Prendiamo la strada 2157 che poi si immette sulla 2341 subito prima di entrare nel bacino del lago Huai Sala: questo posto è uno spettacolo della natura con la sua forma tentacolare e la fitta vegetazione che lo circonda. Superato il maestoso tempio di Phrai Phatthana e il mercatino adiacente svoltiamo a sinistra sulla via che ci porterà dritti al confine, la 2201. Gli ultimi 20 km in territorio thailandese ci sorprendono ancora una volta, con una bella salita nel verde e un punto panoramico in cima da cui godere della vista sul lago Huai Samran.
Arrivederci Thailandia, saremo felicissimi di rincontrarti presto!
Siamo Chiara e Riccardo; abbiamo lasciato Cesena venerdì 10 giugno, direzione Singapore! Il nostro progetto si chiama ‘For a piece of cake’, perché la torta, per Chiara, diabetica di tipo 1 dall’età di 11 anni, è un piacere da conquistare con dosi extra di insulina o attraverso l’esercizio fisico, l’ingrediente principale di questa lunga avventura.
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