Ieri sera ero Stanko

IO-SONO-STANKOAncora stasera e domani, al Teatro Aurelio a Roma, va in scena Io sono Stanko, di e con Giovanni Maria Buzzati e Giselle Martino. Io l’ho visto ieri e il racconto mi ha affascinata e sorpresa, divertita e commossa, offrendomi una chiave di lettura dei rom e delle guerre balcaniche assai meno parziale di quella – mediata e distratta – prodotta dagli organi di informazione sui conflitti nella ex Jugoslavia e di quella – immediata e piena di pregiudizi – che costruiamo quotidianamente quando incrociamo gli zingari per la strada.


Non ho intenzione di raccontarvi nel dettaglio la trama di Io sono Stanko (andate a vederlo piuttosto). Posso solo darvi un accenno dicendo che una parte dello spettacolo ripercorre le vicende, reali, di Stanko Lazendic, fondatore di Otpor!, movimento serbo di opposizione al regime di Milosevic. Più che raccontare, dicevo, riassumo alcune impressioni. Il centro di tutto è il senso di comunità e appartenenza, la voglia di comprendere la diversità, il sentimento necessario della ribellione e quello altrettanto necessario della pace.

Da una parte c’è una comunità, artificiale finché si vuole, ma pur sempre comunità, popoli che facevano parte di un unico stato federale che alla morte di Tito “scoprono” di non essere più fratelli e si ritrovano separati da divise, armi e confini. Dall’altra una comunità, quella nomade, che non ha mai smesso di essere e sentirsi tale, ma che è trattata come se non lo fosse ora e non lo fosse mai stata. I due attori-narratori, con straordinaria efficacia, ci fanno vedere in entrambi i casi quello che non abbiamo voluto o potuto vedere: la genialità di una resistenza creativa, ironica e non violenta (ma non per questo meno pericolosa e meno repressa) allo stato militare e all’ultranazionalismo di Milosevic, la solidarietà e il senso di appartenenza di una cultura verso cui non siamo solidali e che riteniamo che non ci appartenga.

Alla fine dello spettacolo ti resta un’emozione e la voglia di saperne di più. E non solo sui fatti raccontati in scena. Ma di saperne di più su tutto. Di non fermarti all’apparenza e a quello che ti rifilano e, ancor, di più, come dice Stanko in un monologo, di coltivare la certezza che tutto è possibile, anche dove l’odio, la brutalità e la morte sembrano aver ucciso e sepolto le relazioni, l’umanità e il senso della comunità.

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