Forum Internazionale dei Trasporti: quale futuro per la mobilità ciclistica?

20 Maggio 2013

Uno sguardo sul panorama ciclistico europeo in vista dell’International Transport Forum, dal 22 al 24 maggio a Lipsia. Tema: la ripartizione dei fondi per infrastrutture e progetti. La richiesta dell’ECF è mettere a bilancio politiche nazionali di sostegno alla ciclabilità. Mentre il resto d’Europa lo fa da anni, in Italia il dibattito sui trasporti non va oltre la TAV.

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Si terrà dal 22 al 24 maggio a Lipsia, in Germania, il Forum Internazionale dei Trasporti, il consueto vertice mondiale a cui partecipano i 53 Ministri dei Trasporti aderenti all’OCSE. L’edizione 2013 sarà incentrata in particolare su questioni legate al «funding transport», ovvero alla ripartizione dei fondi per programmi ed infrastrutture nel settore trasporti. A Lipsia, oltre ai 53 ministri saranno presenti organizzazioni internazionali e soprattutto rappresentanti dell’industria, ciascuno con i propri interessi da salvaguardare. Non mancherà l’ECF (European Cyclists’ Federation), che dopo il mezzo flop incassato lo scorso dicembre sull’inserimento della rete cicloturistica Eurovelo nella rete TEN-T, ha già promesso battaglia affinché i governi nazionali includano finanziamenti alle politiche per la mobilità ciclistica all’interno dei propri bilanci. L’ECF, infatti, ha ribadito recentemente che sebbene tali politiche siano attuabili – ed efficaci – anche a livello locale, solo i Paesi che hanno adottato delle strategie nazionali hanno portato a casa buoni risultati.

Le eccellenze europee. Sono sempre i soliti noti, nel vecchio continente, a tirare la carretta della mobilità ciclistica. Tutti al di là delle Alpi. Come la Danimarca, che dopo un leggero calo di utilizzo della bicicletta in ambito urbano durato fino al 2007, ha rimediato investendo 133 milioni di euro per il «Bicycle fund 2009-2014», programma che le ha consentito di tornare ad essere uno dei tre Paesi europei più accoglienti per i ciclisti dopo Olanda e Ungheria. La prima, con una popolazione dieci volte inferiore a quella italiana, impiega attualmente 21 milioni di euro all’anno di fondi statali per la sola rete di “autostrade ciclabili” – che attraversando confini regionali sarebbe ingestibile senza una regìa nazionale – e altri 80 milioni provengono dalle amministrazioni locali. A questi si aggiungono ulteriori 200 milioni sborsati dal 2007 al 2020 per la realizzazione di 300 mila nuovi parcheggi per biciclette nelle stazioni ferroviarie. In Ungheria, invece, accade il contrario: su un totale di 45 milioni di euro destinati alla mobilità ciclistica nell’arco di 7 anni, il 75% proviene dallo stato e solo il 25% dai comuni. Senza contare il mare di contributi ottenuti dall’Unione Europea, pari a 172 milioni. Budapest in particolare ha visto nell’ultimo decennio aumentare esponenzialmente il numero di ciclisti sulle strade, tanto che recentemente è stata sciolta la Critical Mass poiché si ritiene abbia esaurito la sua funzione.

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(Percentuali di utilizzo della bicicletta in Europa nel 2010, dati Eurobarometer)

Italia, mobilità ciclistica e Mobilità Nuova. In un paese in cui il tema dei trasporti si riduce sovente al dibattito tra favorevoli e contrari alla TAV, le uniche proposte sono arrivate dalla Rete per la Mobilità Nuova, che il 4 maggio ha manifestato a Milano per chiedere uno spostamento delle risorse destinate a grandi opere ed infrastrutture per l’alta velocità in favore del trasporto pubblico locale, del trasporto ferroviario regionale e di politiche per la mobilità ciclistica. La FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta) insieme alle associazioni e ai movimenti spontanei come #salvaiciclisti – complice anche il momento di grazia che sta attraversando la bicicletta – sta tentando così come in passato di sensibilizzare il governo sull’esigenza di una mobilità nuova, affinché oltre alla TAV si affronti il problema dei centri urbani perennemente congestionati dal traffico e scollegati dalle periferie. Eppure, in apparente contraddizione con la tesi sostenuta dall’ECF, gli strumenti perché le singole amministrazioni rendano più ciclabili le città esistono: vedi gli esempi di Ferrara, Reggio Emilia e Bolzano – con modal split intorno al 30% (la media nazionale è ferma al 4%) – ma soprattutto Mestre, in cui l’approvazione del biciplan del 2005 ha sbloccato finanziamenti per la rete ciclabile, interventi di moderazione del traffico e parcheggi di interscambio, decisivi per incrementare la quota di ciclisti abituali dal 7 al 20% in meno di dieci anni.

Analoga la situazione della Francia, in cui nonostante la quota di ciclisti ferma al 3% – di un punto inferiore all’Italia – alcune città sono molto attive nella promozione della mobilità ciclistica e hanno fatto significativi passi in avanti. A Nantes, ad esempio, si terrà l’edizione 2015 di VeloCity, la più importante conferenza mondiale sulla ciclabilità urbana, in riconoscimento agli sforzi dell’amministrazione che ha portato in pochi anni a raddoppiare l’uso della bicicletta, ad oggi il mezzo preferito dal 4,5% dei cittadini. A differenza dell’Italia il governo francese ha poi previsto un Piano nazionale della mobilità ciclistica con degli obiettivi molto ambiziosi: portare entro il 2020 almeno il 10% di tutti gli spostamenti in bicicletta. Certo, anche la Francia è indietro rispetto alla media europea, ma quanto meno alcuni segnali incoraggianti sono arrivati.

Tutt’altro che rosee sono le prospettive della Spagna, penultima nella classifica dei paesi europei per utilizzo della bici (meglio solo di Cipro) e ora minacciata dall’ultimo pacchetto di provvedimenti proposto dall’Autorità Nazionale del Traffico. In vista ci sarebbero l’introduzione del casco obbligatorio, l’obbligo di procedere sul lato destro della strada, il divieto di uso di rimorchi in città e sulle piste ciclabili, ed un sistema di sanzioni che sancirà la pericolosità della bicicletta al pari di quella di un veicolo a motore. Ritirato invece il provvedimento che intendeva vietare l’uso della bici ai minori di 14 anni se non accompagnati da un adulto. Per ora le associazioni iberiche in difesa del ciclismo si sono date un gran da fare per scongiurare l’introduzione delle nuove norme: sono state organizzate manifestazioni di piazza, lanciate petizioni online, scomodate organizzazioni internazionali (la stessa ECF), ambasciate e volti noti del ciclismo, e 19 consigli comunali si sono schierati in aperto contrasto con l’Autorità Nazionale del Traffico.

Chi invece potrà dire la sua tra qualche anno è la Gran Bretagna. La campagna «Cities fit for cycling» lanciata dal Times ormai più di un anno fa ha infatti influenzato sensibilmente l’opinione pubblica e, soprattutto, sollecitato l’attenzione della politica. A parte una serie di finanziamenti per interventi riguardanti in particolare la messa in sicurezza di strade e incroci, i traguardi più importanti sono stati l’approvazione del biciplan di Londra (di cui si starebbe discutendo un taglio dei fondi da 913 a 640 milioni di sterline) e – anche se ancora in attesa di ufficializzazione – la costituzione di un nuovo organismo interdipartimentale per gli «spostamenti attivi» a cui il Dipartimento del Tesoro sarebbe pronto a stanziare 1 miliardo di sterline per progetti in favore della mobilità pedonale, ciclistica, ed in generale alternativa a quella basata sull’auto privata.

Non può mancare in questa breve rassegna una menzione per la Germania. Il Paese che ospita regolarmente il Forum (“presieduto” quest’anno dalla Norvegia), è sesto in Europa per utilizzo della bicicletta, e l’obiettivo fissato dal Piano Nazionale della mobilità ciclistica è incrementare gli spostamenti in bici entro il 2020 dal 12/13 al 15%, traguardo che il Ministro dei Trasporti tedesco ha auspicato addirittura di sforare. Proprio pochi giorni fa, inoltre, l’Agenzia tedesca per l’Ambiente ha pubblicato i risultati di uno studio che dimostrerebbe come ad un aumento degli spostamenti a piedi del 10%, da qui al 2030, corrisponde un aumento del prodotto interno lordo dell’1,1% ed occupazionale dell’1,37% (29 miliardi di euro) dovuti alla realizzazione e alla manutenzione delle infrastrutture. Senza contare i benefici per l’ambiente, per salute e per la spesa sanitaria.

Il programma della 3 giorni di eventi sul sito ufficiale dell’International Transport Forum.

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