In risposta a Susanna Tamaro: noi ciclisti, sempre dalla parte del torto

beatrice-gorgonzola

Questa mattina, poco dopo essermi svegliato, mi sono ritrovato sotto gli occhi l’articolo/confessione di Susanna Tamaro sul Corriere della Sera che potete trovare per esteso qui.

Nel pezzo in questione, la Tamaro coglie l’occasione del brutale assassino della giovanissima Beatrice investita a Gorgonzola pochi giorni fa, per rievocare il brutto incidente che le occorse nel 2005 e da cui riuscì a uscirne sana e salva, seppure piena di lividi e ed escoriazioni. L’autrice di Va’ dove ti porta il cuore racconta del suo investimento, avvenuto al tramonto, quando la luce troppo bassa del sole aveva impedito all’automobilista di riconoscere la presenza di una bicicletta in controluce a bordo strada.

Da qui, poi, la Tamaro racconta della propria vita da automobilista: 35 anni senza una multa, né un incidente, seppure in diversi casi abbia rischiato di trasformarsi, suo malgrado, in un’assassina perché pedoni, joggers e ciclisti hanno la spiacevole abitudine di andarsene in giro senza luci, senza giubbotti rifrangenti o catadiottri che li rendano visibili anche nell’oscurità. Fine delle trasmissioni.

Il sottotiolo del quotidiano milanese è emblematico: “La legge impone alle biciclette di notte fanali e catadiottri”. Per carità, nulla di più vero, ma c’è qualcosa che non mi convince: c’è un assassino là fuori che, dopo aver distrutto la vita di Beatrice e della sua famiglia, si è vigliaccamente dato alla fuga e invece di augurare il peggio a quel farabutto (mi sono autocensurato), stigmatizziamo i comportamenti di chi muore dicendo che sì, beh, insomma, se la sono andata a cercare?

Forse la Tamaro e i titolisti di via Solferino non sanno che il picco degli incidenti non si registra di notte, e non a causa di guidatori ubriachi e drogati (come invece sembra suggerire l‘articolo), ma nel tardo pomeriggio dei giorni infrasettimanali, quando persone normalissime e in totale possesso delle proprie facoltà mentali hanno magari troppa fretta di tornarsene a casa dai propri figli o di andare al bar a fare l’aperitivo con gli amici.

Ma la Tamaro lo dice: “Per fortuna, [il mio investitore] viaggiava a una velocità moderata, altrimenti non sarei qui a raccontarvelo.” “Appena ieri, andando in bicicletta, sono stata sfiorata da due bolidi che correvano a una velocità folle per una strada piena di curve a gomito” e ancora “Troppi bambini, troppi adolescenti sono vittime, in Italia, di incidenti causati dall’eccesso della velocità degli adulti”

La velocità smodata è un problema, quindi, ma intervenire per ridurla è impossibile (???) e quindi la soluzione resta in capo a chi si muove sulle strade senza armature o protezioni di sorta.

Dopo aver finito il pezzo della Tamaro, mi sono quindi imbattuto in  un articolo di cronaca: ciclista investito e ucciso nel napoletano. La notizia qui è che l’automobilista si è fermato a soccorrerlo, ma il cronista non ha dubbi: la mancanza del caschetto protettivo è il vero motivo del decesso (anche se poi si parla di emorragie interne causate dall’impatto). Ci risiamo: è colpa tua che ti sei messo sulla traiettoria di tiro.

napoli

Cambiando contesto, sembra di tornare a quando, un po’ di anni fa, preti, editorialisti e benpensanti tendevano a concedere le attenuanti morali agli stupratori perché le vittime erano vestite in modo troppo provocante.

Indossare vestiti riflettenti, montare luci sulla bici, dotarsi di catarifrangenti, oltre a essere misure previste dalla legge (proprio come rallentare in prossimità degli attraversamenti pedonali), sono buone norme di igiene stradale che non andrebbero mai disattese, ma non dobbiamo mai dimenticarci che esiste una netta differenza tra chi preme il grilletto e chi si becca la pallottola al centro della fronte.

Per concludere, vi lascio alle parole del ciclopoeta Alessandro Ricci:

borracce

Commenti

  1. Avatar Riccardo ha detto:

    tutta questa retorica sul casco l’hanno sparsa a piene mani ad ogni incidente in moto/motorino. Magari un povero cristo se ne tornava tranquillo a casa in Vespa, d’estate dopo essere stato al mare, in maglietta a maniche corte e senza casco perché non era ancora obbligatorio, su una strada in mezzo alla campagna, con poco traffico. Poi arrivava un cerebroleso al volante di una portaerei che, siccome era occupato a grufolare con le mani tra le cosce della fidanzata seduta accanto a lui, non vedeva il povero cristo e lo stirava come una piadina. Il giorno dopo, in cronaca, si leggeva che l’uomo, alla guida di una POTENTE VESPA, non indossava il casco. Inutile soffermarsi su costole rotte, emorragie interne, fegato spappolato e colonna vertebrale maciullata. Non si era messo il casco, L’INCOSCIENTE. E il povero decerebrato sulla portaerei avrà dovuto passare un sacco di guai – inclusa la sospensione della patente per due o tre mesi – per colpa del suo (del vespista senza casco) comportamento irresponsabile…

  2. Avatar ROSANNA ha detto:

    Devo dire che in altri paes (ritorno da Strasburgo)i il rispetto per il ciclista è una cosa che lascia ammutoliti. Venendo dall’Italia non ti rendi conto e ti senti sempre dalla “parte sbagliata” mentre vedi quelli locali che sfrecciano indisturbati per qualsiasi strada vietata alle automobili grazie ai veri cartelli stradali: Interdetto alle automobili e non alle biciclette!Si tratta di mentalità che non riusciamo a cambiare, purtroppo. Ciclista da sempre, Rosanna da Padova

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