La mobilità urbana, tra spot e realtà
Una strada libera, pulita, piena di verde, con segnaletica ben visibile e senza una buca. Questo è lo scenario ideale di quasi tutti gli spot di automobili, quelli in cui si vuole convincere il potenziale acquirente a comprare l’ultimo modello in listino con promesse di mirabolanti avventure urbane, idealizzando le città come grandi parchi giochi a motore dove l’esperienza di guida è sempre giovane, dinamica e soprattutto divertente. Ma la realtà, sotto gli occhi di tutti, è molto diversa dall’idillio comunicato nelle pubblicità: le strade sono congestionate dal traffico, hanno strisce pedonali sbiadite e cartelli illeggibili, presentano un manto stradale in molti casi dissestato e sono soffocate dallo smog proprio a causa dello spropositato numero di mezzi a motore in circolazione.
Le tangenziali all’ora di punta, gli ingorghi che si formano per un’auto in doppia, gli incidenti stradali che ogni anno causano migliaia di morti e centinaia di migliaia di feriti, l’enorme costo sociale imputabile al traffico motorizzato è come se non esistessero o, meglio, vengono dati per scontati: sono l’enorme “non detto” di una realtà che tutti conoscono e che molti subiscono ogni giorno sulla propria pelle, guai a parlarne apertamente cercando di approfondire: si rischia di passare per disfattisti e nemici del progresso. Ma vale la pena di correrlo questo rischio se anche una sola persona sarà indotta a riflettere sul proprio modo di spostarsi e, magari, prenderà in considerazione di cambiarlo in meglio.
In queste settimane a Roma e nel Lazio si stanno gettando le linee guida per ridisegnare la mobilità ciclistica in tutta Italia: come riporta l’agenzia di stampa politica e parlamentare Public Policy, la Commissione Trasporti alla Camera ha incardinato la proposta di legge Pd “per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica” e nell’illlustrarla il relatore Paolo Gandolfi ha ricordato che il nostro Paese ha il maggior indice di motorizzazione privata in Europa, con 61 veicoli ogni 100 abitanti (dati Euromobility, 2012). Intanto alla Regione Lazio la proposta di legge per la “Mobilità Nuova” presentata dalla consigliera Cristiana Avenali prosegue il suo iter verso la realizzazione di un sistema strutturale e intermodale, con particolare attenzione all’uso trasportistico della bicicletta e si sta lavorando insieme con l’assessore regionale Michele Civita perché nel nuovo contratto di servizio con Trenitalia – previsto per settembre – nel Lazio trovi spazio anche l’abbonamento bici+treno.
Nel 2013 il movimento #Salvaiciclisti – nato per chiedere città a misura di bicicletta e maggiore sicurezza per chi pedala – veicolò sul web una piccola campagna pubblicitaria che non prometteva chissà che cosa ma poneva una semplice domanda: “Vuoi guadagnare uno stipendio in più? Chiedimi come”. A questo claim si accompagnava l’immagine stilizzata di una bici e un buon numero di sottintesi: il ciclista urbano risparmia soldi perché pedala e, mese dopo mese, alla fine dell’anno si ritrova con una mensilità in più a disposizione. D’altra parte i costi connessi al mantenimento di un’auto di media cilindrata, secondo una ricerca dell’Eurispes, ammontano in media a circa 4.500 euro l’anno.
I vantaggi di pedalare per spostarsi in ambito urbano non si riducono soltanto al mero risparmio economico: i benefici della bici sul corpo e sulla mente sono tanti, ciascuno può scegliere tra diverse tipologie il modello più adatto al proprio modo di pedalare, ai dislivelli di dove abita e all’uso che vuole fare del mezzo-bici, anche nel tempo libero. Senza contare il fatto che chi sale sul sellino per provare spesso poi non scende più – con ricadute positive per tutti – perché si rende conto che lo sforzo di pedalare è ampiamente ricompensato. Sapere che per percorrere 5 chilometri s’impiegano sempre 20 minuti non ha prezzo. Il tutto senza problemi di parcheggio e senza stress, al netto di quello provocato dalle insidie della strada cui prestare sempre la massima attenzione. In attesa che il germe positivo della mobilità nuova contagi le amministrazioni più lungimiranti, quelle che non hanno come obiettivo l’orizzonte temporale delle prossime elezioni, ma guardano più in là: alle generazioni che verranno. Un percorso in salita che dobbiamo affrontare senza paura, pedalando insieme.
Francamente credo che il problema non siano propriamente le grandi città, o meglio, le grandi città, in quanto grandi, hanno una bella fetta della popolazione italiana e quindi sono quelle “in proporzione” più a rischio, ma il problema sta soprattutto nelle città medie e piccole, dove per arrivare a lavoro, se ci vai in auto, ci metterai 20 minuti, se va male 25 e il parcheggio lo trovi quasi sempre, quindi, apparentemente, non c’è una valida giustificazione a far fatica usando la bici; è su queste città che si dovrebbe fare perno per poi avvalersene sulle grandi.
Altrimenti si corre il rischio di avere un’Italia a più velocità (come in tutto, del resto) ossia, la velocità delle metropoli su cui sono puntati tutti i riflettori, e quella delle città normali che invece passano in secondo piano perché tanto non sono loro il problema…
Per fare un esempio pratico: io abito a Lucca, in Toscana, una città di quasi 90.000 abitanti spalmati su un territorio tutto sommato grande (a causa di piani regolatori mai rispettati), le piste ciclabili si possono contare sulle dita di una mano: circonvallazione (per altro ancora in fase di completamento, da 20 anni), viale S.Concordio, Sarzanese (in fase do completamento, forse), Via Barsanti e Matteucci, Viale Castracani e il Parco Fluviale; fine, tutte ciclabili molto giovani create restringendo le carreggiate delle strade (per fortuna, ma con i problemi delle centinaia di piccoli incroci delle vie vicinali). Ora, in Toscana abbiamo una regolamentazione molto chiara in materia di ciclabili, ossia, ogni volta che viene ristrutturata o “aggiornata” (qualunque cosa voglia dire) una strada vi è l’obbligo di progettarvi una ciclabile ben separata dal traffico, questa cosa è avvenuta solo nei casi sopradetti (parco fluviale escluso, per ovvie ragioni), in altri casi semplicemente non si è fatto nulla.
Questo perché, per quanto congestionata, la nostra viabilità permette di non perdere troppo tempo nelle brevi distanze anche con l’auto, portando quindi a pensare che non ci sia bisogno di fare le ciclabili…
Tutto ciò per dire che evidentemente molte piccole città hanno questo problemi, e forse farebbe bene partire da queste per poter portare esempi pratici alle grandi città, e per migliorare la vita di chi sta in centri più periferici o semplicemente meno caotici.
Cordialmente
Ciao Nicola,
ti ringrazio per il tuo contributo che mi consente di rilanciare il tema: da che cosa è provocato il traffico nelle grandi, come nelle piccole, città? Dalla presenza pervasiva e in molti casi eccessiva dei mezzi privati a motore, che spesso trasportano una sola persona. Nello specifico non conosco la viabilità di Lucca ma sono convinto che se ogni amministrazione comunale puntasse seriamente sul trasporto pubblico e disincentivasse l’utilizzo dell’auto privata se ne trarrebbero enormi benefici per tutti. Per coprire distanze inferiori a 5 km in ambito urbano la bici è il mezzo ideale, senza contare il fatto che l’inquinamento prodotto dai gas di scarico dei motori peggiora notevolmente la qualità dell’aria e la vivibilità delle città. Le ciclabili “tappabuchi” e non collegate tra loro spesso non servono e sono addirittura dannose: su questo concordo con te. Le strade dovrebbero essere progettate per tutti gli utenti che ne usufruiscono – con una particolare attenzione a pedoni e ciclisti – mentre oggi la maggior parte di esse sono concepite/realizzate a uso e consumo dei mezzi a motore.
Manuel Massimo