Giovedì 12 maggio 2016 ricevo una e-mail da parte di uno dei candidati sindaco alle elezioni di Roma, previste per giungo 2016. La e-mail contiene una serie di interviste rilasciate dal candidato in sede di campagna elettorale, e le linee guida del suo programma politico. Questi “cantieri”, come vengono definiti nel documento, riguardano ovviamente vari campi della vita pubblica su cui intervenire per migliorare una situazione che, chi vive a Roma lo sa bene, negli ultimi anni ha subito un’accelerata in termini di degrado.
Nel “cantiere” dedicato alla mobilità ritrovo la seguente frase: “ […] realizzeremo il GRAB (Grande Raccordo Anulare delle Bici), investiremo su progetti di piste ciclabili, collocheremo parcheggi attrezzati per biciclette nelle principali stazioni ferroviarie e di scambio con la metropolitana”.
Ovviamente ho preso positivamente questo riferimento al Grab; d’altronde i segnali degli ultimi mesi erano stati incoraggianti: complimenti da tutta Europa per l’iniziativa e progetto inserito nella Legge di Stabilità 2016.
Quando ho sentito parlare per la prima volta di Grab, da ex studente di Urbanistica e Sociologia Urbana, la mia mente è andata subito ad un progetto che, non paragonabile a quello romano per molti aspetti, ha fatto di “estetica forte e preciso carattere identitario” (obiettivi dichiarati da VeloLove) i propri punti di forza. Sto parlando dell’High Line. Per chi non lo sapesse l’High Line è un parco lineare che segue i binari in disuso di una vecchia linea ferroviaria di New York, snodandosi per soli 2,33 km. Nonostante le ridotte dimensioni, l’High Line è citata in tutti i testi degli addetti ai lavori, rappresenta un progetto vincente di riqualificazione urbana e, dato ancora più importante, è presa d’assalto da newyorchesi e turisti.
Pensate se quindi il Grab potesse venir realizzato nel suo potenziale maggiore: una precisa segnaletica, un logo forte, un team di persone che lavorano per la sua messa in opera e successiva manutenzione, come avviene per l’High Line?! Con la differenza che il Grab ha una lunghezza superiore ai 40 km!!
I turisti lo amerebbero, non vi è dubbio. Uno studio realizzato da Confindustria-Ancma per Legambiente e VeloLove, prevede un giro d’affari di 14 milioni di euro nel primo anno e numeri triplicati nell’arco di 4 anni.
Ma i romani? I romani lo amerebbero? Non vi è dubbio che nella Capitale la comunità ciclabile sia in continua crescita; nei miei spostamenti in bici vedo, oltre ai soliti ciclisti della domenica, sempre più persone che scelgono le due ruote come mezzo di trasporto principale per il tragitto casa-lavoro e per gli altri spostamenti quotidiani.
Il problema è che non tutti gli uffici costeggiano il Grab, non tutte le abitazioni sono vicine all’anello e molte persone hanno paura (a ragione) di girare per le strade romane in sella a una bicicletta.
Credo pertanto che, ai fini della piena e definitiva messa in opera del Grab, si ritengano necessari interventi complementari al progetto: la creazione di tutta una serie di percorsi ciclabili, sicuri e riconoscibili, che, diramandosi dalle varie tappe del Grab, possano raggiungere molte più zone urbane, sfruttando al massimo le infinite potenzialità che il progetto possiede. Il nuovo PGTU (Piano Generale del Traffico Urbano) dello scorso anno prevede già la creazione di alcune piste ciclabili, ma non le mette in relazione con il Grab (a quell’epoca ancora un progetto allo stato embrionale e pertanto non preso in considerazione).
L’interessante reportage da Copenaghen di Paolo Pinzuti fa riflettere su come in Italia ci sia un’arretratezza non solo dal punto di vista infrastrutturale, ma anche di mentalità. La “mentalità ciclabile” , come mi piace definirla, non si costruisce da un giorno all’altro, e il caso danese ne è la prova. Per ottenere in Italia risultati significativi in questi termini bisogna sì incentivare l’utilizzo della bici attraverso politiche e iniziative, ma prima di tutto bisogna mettere le persone a proprio agio mentre pedalano.
Quindi ben venga il Grab, ben vengano i parcheggi per biciclette, ben vengano altre piste ciclabili, ma tutto questo deve essere visto in un’ottica generale, una visione d’insieme che sappia stimolare e incentivare i romani a lasciare parcheggiata l’automobile, montare in sella e pedalare per raggiungere quella che, forse un giorno, diventerà una vera e propria mentalità ciclabile.
Buongiorno Dott. Fiorillo,
prima di tutto grazie mille per il Suo intervento.
Ovviamente, spero che nel mio articolo sia emerso, il progetto Grab non è in discussione. Ha una visibilità internazionale, è stato inserito nella Legge di Stabilità e, soprattutto, è troppo importante per Roma, soprattutto in questo periodo dove noi romani abbiamo bisogno di good news.
I miei “dubbi”, semmai, erano riferiti alla ormai nota mancanza di una visione d’insieme, propria dei politici italiani in generale, e delle amministrazioni romane in particolare.
Non sono pochi i casi in cui un grande progetto, come sarebbe in questo caso il Grab, abbia fatto da apripista ad una riqualificazione urbana di più ampio respiro. Ma, Lei lo sa bene, a Roma queste situazioni si scontrano sempre con altri interessi che, spesso, prendono il sopravvento facendo perdere delle opportunità uniche per quanto riguarda il contesto urbano.
Spero che invece il Grab possa rappresentare un esempio di good practice, diventando il traino di tutta una serie di altri interventi che portino ad una definitiva affermazione della ciclabilità a Roma.
Mi piacerebbe approfondire il discorso nell’incontro di domani pomeriggio presso la Casa del Parco della Riserva dell’Aniene dove ho visto che sarà presente.
La ringrazio nuovamente
Gabriele
I due spunti di riflessione proposti dall’articolo sono interessanti: il parallelo con l’HighLine di New York e la necessità che il GRAB sia accompagnato da una “serie di interventi complementari al progetto.
Sia il primo che il secondo, dall’inizio, sono due elementi fondanti dell’idea GRAB. Il primo, lo scrivevo già oltre un anno fa, è quello di creare rigenerazione urbana e qualità territoriale sul modello di altri interventi che hanno valuto sia valore in sé, nel preciso spazio che hanno interessato, sia funzionato da traino per una valorizzazione complessiva della più vasta area in cui sono inseriti (“Attenzione – scrivevo nel maggio 2015 – chiarisco subito: il GRAB non è una ciclabile. Come l’Highline di New York e la ciclovia del Danubio (che genera ogni anno un indotto turistico di 200 milioni di euro) hanno costruito un nuovo immaginario dei luoghi e nuova ricchezza creando un diverso stile di mobilità e un diverso punto di osservazione da cui guardare l’esistente, così il GRAB (…) prima ancora che una strada per le bici, è un grande raccordo tra il passato e l’innovazione, tra la cultura italiana e un modo originale di valorizzare i centri urbani, capace di attrarre nuovi turismi e di generare green economy e green jobs…).
E il GRAB – fa sempre parte del testo che accompagna la presentazione dell’idea di questa ciclovia urbana – è anche “la colonna vertebrale della futura rete ciclabile capitolina e dell’intermodalità bici-trasporto pubblico su ferro (come si può vedere nella mappa su http://www.velolove.it/grab), un progetto di rigenerazione di spazi marginali e aree periferiche. La multidimensionalità della proposta GRAB prevede sicuramente fasi realizzative diverse, ma non è affatto necessario che siano diverse anche le tempistiche. Mentre la ciclopedonalizzazione del tracciato tra l’Arco di Costantino e l’Appia Antica è davvero la precondizione per l’avvio dei lavori del GRAB, il completamento dell’anello per i pedoni e le bici può viaggiare di pari passo (anzi la contemporaneità delle opere sarebbe di gran lunga preferibile) con la trasformazione e la riqualificazione dei luoghi che la greenway attraversa e con la realizzazione di corsie ciclabili lungo le grandi direttrici della mobilità capitolina interne ed esterne al raccordo”.
Alberto Fiorillo, coordinatore progetto GRAB