Bologna: se la mobilità nuova cambia verso

Bologna: se la mobilità nuova cambia verso

Dall’avanguardia della mobilità nuova alla retroguardia dell’immobilità vecchia il passo è breve: può passare per il mancato rinnovo di una carica strategica come quella dell’Assessore uscente, com’è accaduto recentemente a Bologna. Già, proprio a Bologna: città che negli ultimi anni è stata più di altre laboratorio in cui sono state sperimentate buone pratiche per creare spazi a misura di persona e bicicletta, ad opera di Andrea Colombo, proprio l’assessore che il rieletto sindaco Virginio Merola ha lasciato fuori dalla Giunta.

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Che cosa sta accadendo nella Città delle Due Torri? Questa inaspettata defenestrazione ha lasciato spiazzati soprattutto gli elettori felsinei, visto che Colombo ha ottenuto 1.795 preferenze – risultando il secondo più votato in assoluto nella lista del Pd e primo in cinque quartieri su sei – attirando grazie al suo nome tanti voti che hanno contribuito alla rielezione del sindaco uscente Merola, poi vittorioso al ballottaggio. Resta l’amaro in bocca perché la riconferma dell’assessore Colombo avrebbe significato “più mobilità nuova per tutti” mentre invece al momento la delega alla mobilità è rimasta nelle mani del sindaco che parla di “evitare le contrapposizioni” e “ricomporre la frattura in città”.

Dichiarazioni che, dall’esterno, è difficile digerire perché le cose che sono state fatte in questi anni sul fronte della mobilità nuova a Bologna hanno avuto sì un carattere “di rottura”, ma hanno rappresentato uno shock positivo: le ciclabili, la tangenziale delle biciclette, le zone 30, la velostazione Dynamo, le pedonalizzazioni… qui non si vuole fare il panegirico della gestione Colombo, ma si stanno cercando di capire quali siano le ragioni profonde che hanno portato alla mancata riconferma dell’assessore.

La sensazione, che parlando con qualche addetto ai lavori diventa più di una sensazione, è che la figura dell’assessore “amico dei ciclisti” non piaceva a qualcuno: qualcuno che evidentemente ha interessi a che la mobilità nuova pensata e praticata in questi anni a Bologna non intacchi più di tanto lo status quo, non dia troppo fastidio a chi sta ancora pagando le rate dell’automobile insinuandogli il dubbio che quell’antiquato mezzo col motore a scoppio non gli serve e che quando l’accende avvelena l’aria e parcheggiando occupa spazi che andrebbero destinati alla collettività e alla socializzazione. Concetti alti che guardano al futuro e mal si sposano con una logica al ribasso di gestione del presente.

La defenestrazione di Colombo non è passata inosservata sui social network dove, tra gli altri, la presidente della Fiab Giulietta Pagliaccio ha affidato a Facebook il suo pensiero a riguardo: “Un grande assessore alla mobilità con una visione chiara del futuro e capacità di attuazione… ma il Comune di Bologna ha deciso che è troppo. Questo episodio è emblematico di come la politica sia ancora ‘immatura’ per non dire altro. Ma questo episodio è ahimè pericoloso per tutti quegli amministratori pubblici illuminati che avessero voglia di mettersi in gioco: che speranze possono avere di portare a termine il loro lavoro sulla mobilità sostenibile?”.

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A mio avviso, un altro problema riguarda il concetto stesso di “mobilità nuova” che è il risultato di pianificazioni competenti e pratiche quotidiane e non può essere declassato a opinione e/o a chiacchiera da bar sport (con tutto il rispetto per i bar sport): la politica del “secondo me” legata all’implementazione di una ciclabile o alla pedonalizzazione di un’area è qualcosa di deleterio che finisce per sminuire la portata di un’innovazione per cercare di inseguire meri interessi di bottega, preferendo il piccolo cabotaggio anziché la navigazione a vele spiegate per l’alto mare aperto. In questo anche certa stampa locale, che dà spazio alle “voci dei lettori” – indirizzando di fatto il comune sentire verso alcuni provvedimenti e spesso alimentando le polemiche – non contribuisce a creare un clima sereno di confronto e dialogo, soprattutto su un tema come la mobilità che resta un nervo scoperto di tutte le grandi città italiane, per troppi decenni concepite solo come territori in cui costruire arterie di scorrimento e parcheggi a cielo aperto.

La dimostrazione plastica di quello che è accaduto a Bologna è l’esempio che un partito che governa – a tutti i livelli – deve fare i conti con gli interessi in gioco e scegliere da che parte stare: sulla battaglia della mobilità nuova all’ombra delle Due Torri il Pd, con la mancata conferma di Colombo, sembra sostenere il “cambia verso” ma di fatto sta compiendo un passo indietro rispetto a quanto fatto sul tema. Sarebbe davvero triste se anni di innovazioni e buone pratiche venissero immolate sull’altare di una presunta governabilità: non è questa la politica che sogniamo, non è dagli accordicchi al ribasso che nasce il cambiamento vero, che si muove e pedala grazie a gambe, cuore e polmoni di chi non si risparmia e continua a crederci, nonostante tutto.

Commenti

  1. irene ha detto:

    Vorrei provare a dire la mia, perchè credo che dare corpo e spessore a un dissenso qui liquidato con l’attaccamento anacronistico alla propria auto possa aiutare a capire meglio le ragioni della scelta del Sindaco. E perchè no, a lavorare ancora per una mobilità nuova, ma in modo più inclusivo.

    La politica di Colombo non lo è stata, non per tutti, non per me, persona con disabilità motoria che si è vista chiusa in casa dai T days (perché anche un disabile può vivere in via Indipendenza, e pure se non ci vivesse avrebbe diritto di andarci come chiunque altro).

    Molti dei piccoli traguardi che ho raggiunto nella vita sono stati possibili grazie a una macchina (ah, che parolaccia!), non perché sono nata negli anni 80, quando i mezzi adattati erano solo un’idea, ma perché per via del mio handicap (ho le ossa di vetro) sul bus non ci posso proprio salire a meno di non rischiare spintoni, urti, perdita di equilibrio con tutti i danni che ne conseguono. L’auto mi è servita non solo per coprire distanze risibili altrimenti fuori dalla mia portata, ma per farlo anche in sicurezza, senza timore di scivolare quando piove o di essere urtata per sbaglio da chi mi cammina accanto. Già, perchè un disabile motorio può anche camminare, solo che lo fa con tempi, resistenze e modalità diverse dagli altri.
    Il diritto alla mobilità, al contrario, è di tutti.

    Per me è stata una sconfitta, umana e non solo materiale, vedere una strada come via Indipendenza diventare da un giorno all’altro impraticabile non per problemi di architettonica, ma perchè un’ordinanza me l’ha resa inaccessibile. Un’ordinanza redatta da quell’organo (il Comune) che le barriere dovrebbe abbatterle invece che costruirne di nuove. Applicare, magari, le leggi, quelle del codice della strada che affermano come nelle zone pedonali possano passare le auto a servizio di persone disabili (SALVO ulteriori limitazioni che le amministrazioni locali possono sì adottare, senza però capire il peso che comportano a chi di un’auto non può fare a meno). O le sentenze di cassazione che dichiarano l’auto a servizio di un disabile un ausilio protesico e non un mezzo di trasporto. O la convenzione Onu per le persone con disabilità, diventata legge in Italia col DL 18/2009, che impone agli stati contraenti di facilitare la mobilità delle persone disabili nei tempi e nei modo da LORO scelti. Perchè non esiste uno standard unico di accessibilità, esistono solo diritti per tutti.

    Ma la chiusura dell’assessore è stata totale. In nome della mobilità nuova, le leggi che ho qui riportato sono diventate carta straccia, nessun’apertura, nessun compromesso, i disabili sono troppi, se passano le loro auto la pedonalizzazione muore. Perchè sia chiaro: la pedonalizzazione conta più delle persone. Vogliamo una città più bella, più pulita, più a misura d’uomo, ma ci scordiamo di dire che quella città è a misura dell’uomo che ce la fa, che ha “gambe, cuore e polmoni”, come se averceli sia poi scontato per chiunque. Ci scordiamo di dire che non c’è bellezza dove c’è discriminazione, e che c’è discriminazione dove una sola persona è discriminata.

    Ma è poi così inconcepibile che una mobilità nuova si fondi sulla pluralità dei mezzi, nel rispetto delle singole esigenze? Lottare per auto non inquinanti, invece che costruire un ghetto che ne sia privo in assoluto? Pensare sì ai mezzi accessibili, ma anche a coloro che non possono coprire la distanza che separa la propria meta da una fermata (ah, già… non tutti i disabili motori vivono su una carrozzina, elettrica magari)?

    Per alcune persone la distanza rappresenta una barriera architettonica al pari di uno scalino o un ascensore troppo stretto. Chi chiacchiera al bar può ignorarlo, ma un Assessore no. E allora concordo con Lei, è una questione di competenza. Non solo sull’ecologia, però. Anche sul diritto, le leggi, l’accessibilità non come concetto ma sistema, che si realizza solo per via integrata.

    Se il nuovo non è per tutti, io preferisco il vecchio.

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