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L’Ultracycling secondo Omar Di Felice

L’Ultracycling secondo Omar Di Felice

Omar Di Felice è una persona che non ha bisogno di presentazioni. Amante dell’estremo e atleta infaticabile, è sempre alla ricerca di nuove sfide. Lo abbiamo intervistato per capire come vive questo amore per la bicicletta estrema, come prepara le sue avventure e quale sarà, secondo lui, il futuro di una disciplina come l’ultracycling.


foto Luigi Sestili @6stili #6stili

Ciao Omar, anche se non hai bisogno di presentazioni: chi sei e cosa fai?

Da qualche anno ho dato libero sfogo alla mia passione per l’estremo lanciandomi nell’ultracycling. Una disciplina che non ha ancora dei veri e propri “canoni” di definizione ma lascia libero spazio alla fantasia interpretativa di ogni atleta. Forse è questo il bello ed è il motivo per cui in Italia, aldilà delle competizioni già esistenti e che si stanno sviluppando molto velocemente (alcune purtroppo a “briglia sciolta” mancando una vera e propria federazione che le regolamenti) ho lanciato il filone delle avventure in solitaria e delle imprese estreme che, ogni anno, realizzo e che stanno diventando sempre di più il cuore della mia attività.


foto Luigi Sestili @6stili #6stili

Cos’è l’ultracycling per te?

Definirla una disciplina sportiva sarebbe riduttiva. Per me è una vera e propria filosofia di vita. Per me ormai l’estremo è un modo di interpretare la vita e tutto ciò che le ruota intorno. Le avventure e i challenge in cui mi lancio sono il cuore pulsante delle mie giornate e delle mie stagioni. L’aspetto agonistico, ormai, è una piccola componente di tutto ciò. Ho avuto la fortuna e la capacità di vincere la maggior parte delle competizioni esistenti in Italia ed Europa, ma ora, finché non arriverà una Federazione che regolamenti il tutto, il concetto di “competizione” sarà sempre meno presente nella mia attività. Stiamo vivendo in un limbo in cui ormai chiunque pensa di poter organizzare un evento dandole i connotati di gara pur non possedendoli. Per questo per me il concetto di “estremo” va ben oltre qualche gara.


foto Luigi Sestili @6stili #6stili

Come ti prepari per le tue avventure? Per esempio come hai gestito la preparazione atletica e logistica per la tua avventura in Canada?

Vista da fuori la mia attività è molto semplice. Qualcuno crede sia solo questione di “sponsor” ma non comprende che questi sono solo la diretta conseguenza di un lavoro silenzioso che da anni, insieme ai miei ragazzi, il team di fedelissimi che dal primo giorno hanno creduto nel mio concetto di avventura, stiamo portando avanti. Organizzare un’avventura non è affatto semplice, i mille aspetti da considerare sono il dietro le quinte invisibile che solo gli occhi più attenti sono in grado di cogliere. La parte atletica è forse la meno importante nonché la più facile. Ho un background come atleta per cui è quasi “naturale” per me pedalare. Ben più difficile è trovare, ogni volta, progetti ambiziosi che catturino l’interesse anche dei miei partner con cui, negli anni, si è creata una bellissima sintonia e che ormai mi lasciano carta bianca quando decido di lanciarmi in un evento così difficile come l’ultima impresa canadese.

foto Luigi Sestili @6stili #6stili
Inoltre queste avventure sono anche il banco di prova per i materiali nonché la “piattaforma” per testare nuovi prodotti e mettere a punto accorgimenti tecnici che verranno poi riprodotti su larga scala. Basti pensare che proprio in Canada abbiamo portato un nuovissimo prototipo di gravel bike Wilier Triestina che, dopo aver ricevuto questo ultimo “Ok”, verrà messo in produzione e presentato per il grande pubblico nei prossimi mesi.

Perché un ciclista dovrebbe provare ad affrontare una competizione di ultracycling?

Non credo si debbano elencare motivi specifici. Credo che ogni forzatura sarebbe superflua e stupida. L’estremo è qualcosa che ti chiama da dentro, e come dico sempre, “se non sentite quella voce, evitate!” Non è un gioco, così come per tutte le discipline estreme, si finisce con il fare cose veramente dure come privarsi del sonno, pedalare ore ed ore, se non giorni, con forti dolori fisici. Descritta da fuori sembra più una tortura e a volte non sono d’accordo con quegli “atleti” che la descrivono come tale. Probabilmente perché in realtà il loro background non è sportivo, ma hanno riversato nella disciplina insoddisfazioni e motivazioni di vita diverse. Io, invece, credo che lo sport debba essere motivo di felicità e di realizzazione del proprio “io”, per cui se è qualcosa che ti rende felice lo capisci subito “provando”. Per quanti “sacrifici” si possano fare, il “dolore” non deve mai superare quello che è il godimento, altrimenti non ha alcun senso. Ci sono molte cose nella vita che possono riempirci il cuore.

Quali sono le tecniche che usi per sopportare la fatica e le sensazioni negative che pedalare per così tante ora comporta?

Per riallacciarmi al discorso di prima posso affermare di non provare sensazioni negative. Fatica, stanchezza, sonno, fame, sono solamente sensazioni passeggere, alleviate dalla felicità con cui faccio ciò che più amo: pedalare. Non ho mai applicato tecniche per la sopportazione di tutto ciò. Nel verbo “sopportare” è insita la risposta alla domanda. Se dovessi “sopportare” tutto ciò, probabilmente, farei altro.


foto Luigi Sestili @6stili #6stili

Quale sarà il futuro dell’ultracycling secondo te?

Se intendiamo ultracycling inteso come “competizione” credo che, finché non ci sarà una federazione forte che detti regole ben precise (un po’ come accade nel circuito di Triathlon “Ironman” per intenderci) non si andrà molto lontano. Nella corsa a piedi e nel triathlon siamo già ad un buon punto, nel ciclismo, ahimè, assistiamo al crescere e proliferare di gare che, ad esempio, non possono forgiarsi di tale titolo essendo annoverate come “eventi”. Mi è capitato di vincere competizioni e di veder riscritto l’ordine d’arrivo sulla base delle preferenze di un organizzatore, di aver fatto ricorsi persino al TAS senza che venissero riconosciute le competizioni come tali. Per quanto mi riguarda serve una netta presa di posizione delle federazioni e l’istituzione di un vero e proprio circuito ufficiale, dove vengano separati, possibilmente, i “Pro” dagli “Amatori” altrimenti si rischia di generare una grandissima confusione. Negli ultimi anni ho vinto svariati titoli di campione italiano, ad esempio. Titoli che, all’atto pratico, però, non sono “riconosciuti ufficialmente”. Motivo per cui, durante il 2018 resterò alla finestra per capire che strada prenderà il movimento e, soprattutto, se ci saranno i margini per una tavola rotonda tra federazioni, organizzatori e maggiori esponenti tra noi atleti.


foto Luigi Sestili @6stili #6stili

Puoi anticiparci qualcosa della tua prossima sfida?

Di rientro dal Canada sarò subito in pista per la prossima sfida “Appennino Bike Tour”. Una pedalata di 2800 km in 10 tappe attraverso la nuovissima ciclovia inaugurata lo scorso anno e realizzata grazie agli sforzi di Vivi Appennino, di tutti i comuni della dorsale appenninica e soprattutto del Ministero dell’Ambiente. Pedalerò lungo la ciclovia cercando di promuovere al meglio il concetto di ciclomobilità. Un onore per me essere stato coinvolto, come maggior esponente del movimento in Italia, dal Ministero, dalla Federazione Ciclistica Italiana e dal CONI che già durante il 2017 avevano patrocinato ufficialmente la mia avventura estrema “Italy Unlimited”. La partenza del Tour sarà il 4 Aprile

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