Ci sono momenti in cui è importante esserci per testimoniare la propria vicinanza a un’idea, per sostenere in prima persona una battaglia, per dedicare del tempo a un’iniziativa che rompe gli schemi e ti dà una carica di energia positiva perché senti di appartenere a quel mondo e che quel mondo ti appartiene: per questo sono stato al Bike Pride di Bologna dei “ciclisti selvaggi” che per un intero pomeriggio hanno colorato la giungla d’asfalto di bici e di bellezza.
Dopo la Bicifestazione del 28 aprile ai Fori Imperiali di Roma, a metà strada tra il Bike Pride di Torino e la Ciemmona di Firenze, domenica 13 maggio il futuro della mobilità nuova pedalava a Bologna. Non è stata una semplice pedalata in libertà o soltanto una festa, è stata una parata gioiosa di persone in bicicletta che si sono mescolate al di là delle appartenenze: tante tribù che hanno fatto fronte comune per ribadire il concetto che stare zitti e buoni nella riserva indiana delle ciclabili (quando ci sono) o ai margini della carreggiata non è concepibile se la viabilità della città non diventa realmente accogliente per chi pedala.
Le tappe di avvicinamento alla pedalata di domenica pomeriggio con arrivo e partenza dal Parco della Montagnola, sopra alla Velostazione Dynamo e a due passi dalla Stazione Centrale, mi hanno portato a conoscere angoli remoti della città come i Prati di Caprara: un’ex area militare dismessa di 47 ettari su cui per 40 anni è cresciuto un bosco spontaneo e che l’amministrazione comunale, d’intesa con i privati, vorrebbe urbanizzare costruendo una scuola e non si sa ancora quante altre volumetrie, disboscando un polmone verde accanto all’Ospedale Maggiore.
Ho avuto il piacere di mescolarmi in bici tra la folla nei Tdays: via dell’Indipendenza e via Ugo Bassi che nel weekend diventano integralmente ciclopedonali, constatando che l’idea di aprirla ai taxi snaturerebbe la loro funzione che è quella di dare a tutti la possibilità di passeggiare e godersi il centro della città senza doversi preoccupare dei mezzi a motore.
In via Giacomo Matteotti ho visto una corsia “scooterabile” a centro strada: una lingua d’asfalto ben delimitata con il pittogramma di un centauro riservata a moto e motorini, accanto a una corsia preferenziale che i ciclisti sono tenuti a percorrere condividendo lo spazio con gli autobus e schivando i tombini.
Non ho potuto fare a meno di notare, alloggiando un po’ fuori dal centro in zona Fiera, che una mobilità più a misura di persona si costruisce partendo dagli incroci: dalla possibilità di attraversarli in sicurezza in sella e a piedi, non lasciando praterie per correre ai motori e curve così larghe da poter essere facilmente tagliate aumentando il rischio di collisioni.
E poi è arrivata domenica: se ci fosse stato un video in timelapse avrebbe mostrato l’arrivo alla spicciolata dei partecipanti che hanno a mano a mano riempito il Parco della Montagnola di biciclette. Foto e video della giornata mostrano la grande presenza di famiglie con bambini, mamme e papà in cargobike, tanti piccoli ciclisti in erba che hanno pedalato per 10 chilometri in lungo e in largo aprendo il corteo.
I cosiddetti “ciclisti selvaggi”, in realtà, hanno dato una lezione di mobilità nuova nella giungla d’asfalto perennemente immersa nel traffico: la maggior parte degli automobilisti ha atteso pazientemente i 5 minuti buoni di blocco al passaggio della ciclocarovana bicifestante, salvo qualche eccezione di chi non sopportava di dover dare la precedenza alla bellezza che gli scorreva placidamente davanti in bicicletta, rintanato nel suo abitacolo chiuso e raffrescato dall’aria condizionata senza avere il gusto di godersi il vento in faccia come i 5.000 partecipanti del Bike Pride bolognese.
L’evento di domenica 13 maggio ha definitivamente cambiato l’accezione dell’espressione “ciclisti selvaggi”, coniata da qualcuno che voleva etichettare il comportamento scorretto di chi pedala “sotto i portici e sui marciapiedi”: da ieri nell’immaginario collettivo i ciclisti selvaggi di Bologna sono quell’orda colorata, divertita e divertente che riempie le strade travestita da personaggi dei Flinstones ma che ha ben presente le priorità per il futuro e ciò di cui abbiamo bisogno per uscire da un presente fossile che sa di petrolio.
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