Lasciamo aperte le alzaie
In un recente intervento Alessandro Folli, presidente del Consorzio Est Ticino Villoresi ritorna sul tema della sicurezza delle alzaie lungo i canali d’acqua. Il costante numero di morti (13/14 l’anno) nei tratti da loro gestiti impone sicuramente una seria riflessione sul tema e interventi adeguati.
Innanzitutto ricordiamo che il consorzio, al di là del nome, gestisce l’interno sistema dei navigli milanesi (Grande e Pavese compresi); su questi, scorrendo le cronache, si vede come gli incidenti mortali abbiano riguardato per lo più comportamenti sconsiderati da parte delle vittime.
Si tratta soprattutto di persone che hanno fatto il bagno dove non si poteva, o di chi si è gettato in acqua per seguire il proprio cane o per sfuggire alla polizia dopo un furto. Pochissimi sono gli eventi che riguardano cicloturisti ed escursionisti.
Certo i morti sono morti e, anche se siamo su numeri completamenti diversi da quelli che riguardano le stragi quotidiane sulle nostre strade, è obbligo intervenire sulla sicurezza. In questo senso, al di là delle sintesi giornalistiche («Le alzaie non sono piste ciclabili») l’intervento di Folli non parla di chiusure o blindature ma sembra più una chiamata verso una responsabilizzazione sia dei gestori che degli utenti.
L’uso plurimo delle alzaie (strada di servizio e gestione del canale, accesso ai campi e, appunto, percorso fruitivo) da un parte limita la possibilità e l’opportunità di realizzare protezioni verso il canale e dall’altra impone regole di convivenza responsabile.
In un tempo in cui gli incidenti stradali sembrano essere causati da un’entità, l’auto, che, senza responsabilità di alcuno, miete vittime quasi fossero scarti necessari di un qualsiasi processo produttivo, ci sembra importante ribadire che, al di là dei compiti che spettano ad un gestore di una infrastruttura, è il comportamento delle persone che fa la differenza.
Non possiamo infatti immaginare di “proteggere” e “parapettare” tutti i nostri canali come nessuno ha mai pensato di fare, ad esempio, lungo le “Voies vertes” francesi o i canali olandesi. Si tratta di mettere in sicurezza i tratti più esposti, pensare a sistemi di autosalvataggio (come le corde o scalette per risalire sull’alzaia in caso di caduta in acqua) e soprattutto di informare degli eventuali pericoli e delle buone regole di comportamento.
Il consorzio ha da tempo realizzato una segnaletica dedicata alle norme comportamentali ed esistono vari esempi virtuosi anche in Italia. Niente di trascendentale, a leggerla si ritrova solo del buonsenso: moderare la velocità, prestare attenzione verso chi è più debole (ad esempio i bambini) e sentirsi responsabili delle proprie azioni. Oh toh, ma non son le stesse regole che potrebbero trasformare le nostre città in spazi per le persone? Vabbè ma questo, forse, è un altro discorso.
In questo campo il Piano della Mobilità Ciclistica della Lombardia prima e le linee guida per la progettazione delle ciclovie turistiche poi, hanno introdotto la possibilità di indicare all’inizio dei percorsi con simbolo colorato, il grado di percorribilità e quindi di attenzione da prestare durante la pedalata. Una sorta di graduatoria, simile a quella adottata sulle piste da sci, che possa indicare comportamenti adeguati.
Resta sicuramente la necessità di creare sicurezza senza buttare vie esperienze di riqualificazione ambientale e di fruizione consapevole che si sono sviluppate lungo i nostri fiumi e i nostri canali. In questo, non a caso, a fianco del consorzio si sono schierati i comuni rivieraschi, che vedono nelle ciclovie lungo i navigli e i canali anche una grande opportunità economica.
Infatti il cicloturista di prossimità, quello che si muove con la famiglia per la gita domenicale o per il week end è una ricchezza per le tante attività disseminate lungo le alzaie, dal piccolo bar che resterebbe chiuso la domenica, all’agriturismo o alla fattoria didattica.
— vedi anche: Corso di Formazione sulla Progettazione e Promozione di Itinerari Cicloturistici —
Resta quindi la necessità di dettare poche chiare regole per poter sviluppare, con la tranquillità di gestori, progettisti e utenti, anche le grandi ciclovie nazionali, che spesso passano in questi ambienti. Su questo la nuova legge quadro sulla ciclabilità fornisce una indicazione netta prevedendo la formazione della rete nazionale di ciclovie “Bicitalia “ anche attraverso il “recupero a fini ciclabili, per destinazione a uso pubblico, di strade arginali di fiumi, torrenti, laghi e canali”.
Anche lo Stato quindi può e deve essere presente uniformando le normative regionali e promuovendo tavoli di coordinamento in modo da preservare un patrimonio di percorsi turistici che , faticosamente, sono stati aperti in questi anni.
Il tema, come tutti quelli che riguardano la vita delle persone, è delicato ma non ci deve far perdere di vista che spesso le infrastrutture ci sono e non serve stravolgerle, basta usarle in modo adeguato e consapevole.
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