Dopo il Myanmar, con le sue zone remote e la sua gente straordinariamente accogliente, è tempo di pedalate thailandesi per ‘For a Piece of Cake’. Al confine terrestre di Myawaddy-Mae Sot, sul Myanmar-Thailand Friendship Bridge un semaforo inverte il senso di marcia: ora si guida a sinistra e si supera da destra.
Dal 31 dicembre 2016, entrando in Thailandia via terra, gli italiani (e diverse altre nazionalità) ottengono 30 giorni di permesso on arrival senza richiedere alcun visto, per un massimo di due volte in un anno. In pochi minuti sbrighiamo queste procedure e poi ci lanciamo in direzione di Mae Sot, distante appena qualche chilometro. La strada è ampia e in buono stato, un sogno per noi che abbiamo trascorso l’ultimo mese tra le buche birmane.
Entrando in Thailandia facciamo un salto in avanti nel tempo, verso la modernità ma anche verso la globalizzazione: ritroviamo brand a noi familiari, ci gustiamo il caffè espresso fatto da macchine italiane e pernottiamo in strutture dagli standard decisamente più alti rispetto agli ultimi cinque mesi. La rotta che abbiamo pianificato per questa prima parte di Thailandia, però, incrocia il turismo di massa solo nella grossa città di Chiang Mai; per il resto dei chilometri saremo immersi tra le montagne del Nord-Ovest e i loro villaggi.
Mae Sot, nonostante la sua posizione sul confine, è una città tranquilla e piacevole, con un’ampia offerta di alloggi e un ottimo rapporto tra qualità e prezzo delle strutture. Il mercatino locale è pieno di frutti tropicali, verdura colorata, pesce fresco, fritture di ogni genere e rospi venduti ancora vivi.
Dopo la nottata a Mae Sot, tra un assaggio di papaya salad e un pad thai, siamo curiosissimi di partire per l’esplorazione del Nord-Ovest thailandese e ci dirigiamo verso Nord, sulla via n.105, che fino a Mae Ramat è molto ampia e trafficata, con un profilo altimetrico leggermente ondulato. In seguito la nostra rotta si fa più desolata e si incanala tra i rilievi verdissimi che segnano il confine con il Myanmar. Nei pressi di Mae La pedaliamo a margine di un esteso ed impressionante campo profughi birmani delimitato da filo spinato e guardiole militari. Non ci sono molti servizi o attività in questo tratto, quindi è bene arrivarci in autosufficienza. Ci fermiamo a Tha Song Yang per la notte, dove dei graziosi bungalow di legno costano appena 12€. La natura, tutt’attorno, la fa da padrona con palmeti, boschi e stagni; questo piccolo villaggio, così come tutti i successivi, pur non offrendo alcuna attrattiva specifica, è un’ottimo luogo dove trascorrere mezza giornata in relax e spensieratezza.
La tappa successiva è di nuovo breve, prima di avventurarci sulle montagne: percorriamo 51 km costeggiando la sponda est del fiume Moei, che segna il confine tra Myanmar e Thailandia. Dal lato birmano delle vette appuntite si stagliano contro il cielo azzurro, dal lato thailandese la strada serpeggia morbidamente tra collinette verdissime. Al centro il fiume, poco profondo, dove si specchia la natura circostante: ad ogni scorcio restiamo un po’ più affascinati.
Suonati i 50 km, subito prima di cominciare a salire sul serio, chiediamo ad un check point militare dove si possa passare la notte. Ci consigliano di andare a campeggiare presso la vicina stazione di polizia e non riusciamo a credere ai nostri occhi quando ci fanno segno di montare la tenda su una terrazza in legno con vista fiume. Sulla sponda birmana sono disseminati piccoli stupa bianchi. Abbiamo trovato uno degli angoli più paradisiaci dell’intero viaggio, in una stazione di polizia.
E’ forse prassi ospitare qua i turisti (probabilmente cicloturisti più che altro) perché le persone del villaggio con cui scambiamo due parole ci chiedono se passeremo la notte dalla polizia.
Alle 17:30, immersi nel relax più totale della lettura, sentiamo degli spari e una cannonata. Allarmati chiediamo spiegazioni ai poliziotti: si tratta di un conflitto in Myanmar, tra l’etnia Karen e l’esercito regolare, appena al di là del fiume. Alla notte vedremo anche piccole imbarcazioni pattugliarne le sponde e non riusciremo a goderci un sonno davvero sereno e rigenerante.
La giornata successiva, in più, ci mette alla prova come poche altre finora. Dobbiamo percorrere solo una sessantina di chilometri, ma con oltre 2000 m di dislivello positivo e soprattutto con salite spezza-gambe che avremmo preferito dei gradini!
Nel giro dei primi 10 km dalla partenza affrontiamo una serie di strappi allucinanti in cui procediamo ai 3 km/h, al limite dell’equilibrio. La vetta è a 870 m slm, ma non ci fa tirare nessun respiro di sollievo: seguono ancora un’infinità di salite e discese, poi alcuni chilometri sterrati ancora con pendenze improbabili.
Per l’ora di pranzo abbiamo percorso solo 32 km e ci fermiamo a Ban Mae Om Ki per un piatto di noodles in brodo, l’unica voce del menù. Sotto il sole cocente delle 15 ci rimettiamo in sella perché mancano ancora 30 km alla destinazione. Gli strappi continuano impietosi, finché non raggiungiamo una bella discesa ininterrotta di 7 km che attraversa un bosco fitto e una natura selvaggia. Ancora due salite di tutto rispetto ed eccoci, alle 17:45, a Ban Mae Suat, minuscolo paesello con una guest house sperduta nel verde della campagna. Siamo esausti come non succedeva da tempo, ma per il giorno seguente abbiamo in programma una tappa breve: appena 28 km fino alla città di Mae Sariang, sulle rive del fiume Yuam. Se i primi chilometri di strada sembrano ancora opera di un ingegnere folle, a seguire i dislivelli si fanno dolci e in due ore raggiungiamo la meta.La città ha diverse guest house e hotel sulle sponde del fiumiciattolo, ma in questa stagione di secca il corso d’acqua non offre scenari particolarmente suggestivi.
Incrociamo diversi turisti perchè Mea Sariang è un buon punto dove far base e poi spostarsi in motorino per le vicine cascate, sorgenti d’acqua calda e trekking.
Ci aspettano adesso, in direzione di Chiang Mai, alcuni giorni ancora di salita, e precisamente fino alla città di Hot, distante un centinaio di chilometri. Questa volta, però, il dislivello è distribuito con più giudizio e lo affrontiamo nelle ore fresche della mattina: i primi 20 km sulla via n.108 ci portano in maniera lenta e costante fino a 1100 m di altezza, poi la strada, dall’asfalto impeccabile, inizia ad ondeggiare morbidamente tra i rilievi e le pinete.
Incrociamo qualche villaggio di montagna dove si può fare riferimento e consumare buoni pasti. I camionisti ci fanno gesti di incitamento sulle salite e i poliziotti dei vari check point ci salutano sempre bonariamente. Il traffico è scarso e la pedalata è davvero piacevole quassù in quota. Dopo Ban Wang Kong abbiamo ancora qualche chilometro di salita e poi ci lanciamo in una discesa che ci ripaga di tutta la fatica fatta. Si attraversano diverse riserve naturali e boschi scendendo d’un fiato 1000 m di dislivello, col contachilometri che supera diverse volte i 60 km/h. L’aria a valle si scalda e il paesaggio diventa progressivamente più arido, ma presto la strada affianca il corso del Mae Chaem e svela nuovi scenari incredibili tra le anse del fiume. Ci affascina con curve e piccoli dislivelli fino all’ingresso ad Hot, cittadina alla confluenza delle strade 108 e 1012. Per raggiungere Chiang Mai noi continuiamo sulla 108, che da qui in avanti diventa uno stradone largo e trafficato. Piccoli paesini si succedono quasi con continuità ai margini dell’arteria stradale per i rimanenti 90 km, tra un’autorimessa, un supermercato e un ingrosso di fertilizzanti.
A spezzare questa monotonia c’è qualche tempio dorato e maestoso: se è vero che il Myanmar ci ha lasciati a bocca aperta per i suoi stupa e pagode disseminati negli angoli di terra più remoti, anche le architetture religiose della Thailandia mostrano una ricercatezza e uno sfarzo che incantano il viaggiatore occidentale.
L’uso del legno, poi, negli edifici pubblici, nelle abitazioni private e nelle coperture arzigogolate è prova di un’esperienza millenaria dei thailandesi in questa arte, che, accompagnata al sapiente utilizzo di fiori e piante, creano piccole oasi paradisiache anche nei luoghi più remoti.
A Chiang Mai rimaniamo esterrefatti per la quantità di turisti: in appena due giorni ne incrociamo più che in nove mesi di pedalata. La città è sviluppatissima, moderna e piena di agi e comodità a buon mercato: con un piccolo strappo al nostro budget ci scappano un massaggio alle gambe e due pizze come si deve!
Incrociamo diversi ciclisti e cicloturisti per le vie di Chiang Mai e cogliamo l’occasione della grande città per far fare a mani esperte un check-up alle nostre Ridgeback Panorama.
Mappa
Altimetria
Siamo Chiara e Riccardo; abbiamo lasciato Cesena venerdì 10 giugno, direzione Singapore! Il nostro progetto si chiama ‘For a piece of cake’, perché la torta, per Chiara, diabetica di tipo 1 dall’età di 11 anni, è un piacere da conquistare con dosi extra di insulina o attraverso l’esercizio fisico, l’ingrediente principale di questa lunga avventura.
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