Viaggio in bici in Maremma: da Roma a Orbetello

Tratto dalla raccolta di viaggi: Abbondanti dozzinali

Il titolo può sembrare strano, ed è volutamente grottesco, nasce da un gioco di amici che auto-ironizzava sulla nostra scarsa organizzazione dei primi viaggi, sulla scarsa preparazione fisica, su tutto-ciò-che-non-è-romanzato.
E questo è anche un po’ il taglio della narrazione dei miei diari: grottesco, surreale, ironico, con un occhio disincantato sempre teso al lato antropologico dei posti visitati…

10 luglio 2012, ROMA TRASTEVERE – stazione di ORBETELLO

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Non di sole epiche traversate campa il ciclista abbondante e dozzinale.

Anzi, proprio in quanto tale, preferendo la quantità alla qualità, è spesso costretto a ripiegare in brevi fughe dalla routine metropolitana in cerca di sudore e quiete, con delle scappatelle mordi-e-fuggi di pochi giorni.

Come quando si è deciso, con Gianluca, di ritagliarci una manciata di giorni per solcare le gialle distese della Maremma: rotta per Livorno, obiettivo di dar fastidio all’Aurelia con il nostro zigzag intorno ad essa.

La manciata dei giorni preventivati si è ridotta a tre e due notti, si parte da Orbetello e si arriva al porto di Livorno. È importante che questi itinerari conservino un senso simbolico, abbiano una loro compiutezza. Un’impresa epica e insensata, alla ricerca di un titanismo idiota, che poco o nulla si cura dell’afa e di scegliere un percorso fresco; il sole quasi scoppia, i litorali sono affollati di famiglie e bambini urlanti, e noi giustamente si va a pedalare lì.

Incuranti di tutto ciò, per l’ennesima volta facciamo battezzare la partenza dalla nostra più fidata madrina, Stazione Trastevere, che come sempre si è svegliata prima di noi e dell’alba. Qui incontro Gianluca: il carattere di questa balorda sortita è evidente solo guardando le nostre attrezzature e carico.

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Suo abbigliamento: completino giallo evidenziatore (“per rendersi visibile ai camion”) da calcetto, sintetico e attillato (“assorbe ‘na cifra il sudore”). Pedala su quella che lui definisce “il suo catenaccio”, proveniente dalle famigerate baracche di Porta Portese e sopravvissuto a varie operazioni di restyling e verniciatura, nonché alla Corsica e all’Austria. Legata dietro il catenaccio, fa la sua figura una valigia rigida marrone modello emigrante, manca solo lo spago al posto dei tiranti per tenerla.

Mio abbigliamento: maglietta verde scolorito con la stella dell’EZLN, cappellino da cecchino messicano comprato a tre euro da un H&M in Belgio, marsupio da parcheggiatore abusivo che conservo dalle elementari, mio fido compagno di viaggio in tutti i miei viaggi in bici. Le sue zip non hanno più cerniera, e il tessuto comincia ad autolacerarsi, ma secondo me quello ce seppellisce a tutti.

Pedalo sulla mia Collalti, accompagnandola meticolosamente nel suo processo di invecchiamento veloce, con un carico minimale. Niente tenda, ché si è figli delle stelle. Un cambio essenziale, attrezzi, sacco a pelo e un orrendo materassino di gomma blu che usavo come tappetino della tenda per le vacanze. Stavolta l’intento sarebbe dormirci sopra ed evitarsi un po’ di umidità.

E poi, carburanti speciali per noi. Un po’ alla Easy Rider.

Regionale Roma-Pisa Centrale, vecchio ammasso di lamiere incerte, portaci a Orbetello. La prossima volta, in orario però. [continua]

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