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“Jitensha wo ai suru”: la ciclabilità urbana a Osaka

“Jitensha wo ai suru”: la ciclabilità urbana a Osaka

Paese che vai, usanze che trovi. E un viaggio in Giappone può essere un’occasione ghiotta per scoprire qualcosa delle sue abitudini ciclistiche, cercare punti in comune, notare differenze e conoscere cose nuove sull’universo della bicicletta.

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Osaka è una metropoli di quasi 3 milioni di abitanti, un porto attivo e vivace nel sud dello Stato, le cui strade ampie e quasi del tutto pianeggianti la rendono perfetta per questo mezzo di trasporto.

La bicicletta qui è una presenza costante, massiccia, e il suo utilizzo primario è lo spostamento urbano: la quantità di bici che affolla le già gremite strade caratterizza la vivacità del suo traffico quasi quanto Amsterdam, anche se in maniera certamente meno iconica e celebre.

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Le prime due cose che saltano all’occhio sono la commistione spesso indistinta tra marciapiede e pista ciclabile, e il senso di marcia a sinistra alla maniera inglese, due “novità” che possono mettere in crisi il ciclista occidentale. Sommando queste prime differenze di base a una certa anarchia stradale (che pure mantiene un suo ordine interno) e all’incredibile quantità di ciclisti, Osaka ha la reputazione di città pericolosa per la bicicletta (e per gli stessi pedoni). Lo slalom sul marciapiede nella fiumana di gente è infatti una prassi abituale, oltre che consentita.

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A onor del vero, automobilisti e segnaletica sono estremamente rispettosi del traffico a pedali, e anche le normative per i ciclisti sono rigide e ben codificate: dalla schedatura di ogni bicicletta tramite codice sul telaio intestato al rispettivo proprietario, ai documenti di possesso che ne attestano la responsabilità, fino al divieto di sosta per bici al di fuori degli spazi consentiti (con tanto di foglietto di avvertimento prima della multa e addirittura parcheggi a pagamento per sole biciclette!).

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A questo sistema che riconosce la bici come uno dei mezzi di spostamento urbano più importanti non corrisponde però un’adeguata politica di trasporti pubblici: non è infatti consentito il trasporto in metro o in autobus. Anche i noleggi di biciclette non sono tantissimi.

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Dopo un po’ di ricerche ne abbiamo trovato uno nei pressi di Matsuyamachi, una piccola bottega di un attivista della Critical Mass locale, che qui si svolge tutti gli ultimi sabati del mese alle 14.30 (il sabato “perché gli altri giorni la gente lavora, e così viene più gente”): l’amico nippociclista, oltre a noleggiarmi una divertentissima pieghevole con sellino ammortizzato che mi ha fatto saltellare per tutta Osaka, mi ha donato una copia del periodico “Cycle for jitensha friends” (www.cycleweb.jp), ricco di informazioni e itinerari della zona.

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I furti di bici, forse anche grazie alla presenza di questo sistema di “targhe”, sembrano essere una prassi molto meno diffusa che in Italia, e i sistemi di sicurezza e catene utilizzati qui appaiono ridicoli agli occhi di un italiano: vedere delle Bianchi da corsa legate con un lucchettino a combinazione di quelli che si trovano a 5 euro fa un certo effetto. Molto diffuso anche il disco che blocca la ruota posteriore, che nella maggior parte dei casi basta a rendere “protetta” la bici, senza legarla ad alcun palo.

Il tipo di bicicletta più diffuso a Osaka è senza dubbio l’olandesina da passeggio (che qui viene chiamata mama chyari, la “bicicletta della mamma”) anche se modelli italiani da corsa, scatto fisso dai colori sgargianti e fat-tire non mancano. Una particolarità che salta all’occhio è la quantità enorme di bici senza marce, dotate di cavalletto doppio tipo motorino e di sistema di frenata ibrido: mentre i freni anteriori sono collegati normalmente ai tacchetti, quelli posteriori agiscono direttamente sul mozzo della ruota tramite una molla.
E un’altra particolarità che salterebbe all’occhio se non fosse già perfettamente in linea con ogni altro aspetto di questo Paese è la quantità di colori e accessori che conferiscono un aspetto allegrotto e rassicurante alle bici che dipingono i viali di questa città, che fonde tradizioni millenarie conservate gelosamente con un presente rassicurante e in evoluzione frenetica.

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(Si ringrazia Chiara Pasquin per l’interpretariato, la consulenza linguistica, culturale, il servizio di guida e tante altre cose che mi hanno portato oltreoceano).

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