Un’avventura in bikepacking alla scoperta delle steppe della Mongolia. Il diario del viaggio dei ragazzi di Esplora e Giuseppe Papa – Cyclovagabond.
La Mongolia è stata scelta come nuova destinazione da scoprire in bicicletta pochi giorni prima di tornare dal Nepal, il viaggio che ha segnato l’inizio di una nuova era per Esplora e Cyclovagabond. Le Lung-ta, le bandierine tibetane il cui nome significa letteralmente “cavalli al vento”, ci hanno infatti ispirato a cercare nuove terre da esplorare.
Abbiamo vissuto un’avventura che ci ha permesso di vivere l’emozione di sentirci nuovamente liberi seguendo il vento con le nostre bici, proprio come un cavallo che galoppa senza meta, alla scoperta di orizzonti sempre nuovi. Un viaggio, questo, che è diventato il naturale proseguimento di un’esplorazione iniziata tra le vette più alte del mondo, unendo l’energia delle montagne nepalesi alla libertà delle steppe mongole.
Il primo impatto con la Mongolia
Come in Nepal, anche questa volta il team è composto da Davide e Marco del team Esplora e da Giuseppe Papa (Cyclovagabond) spirito libero ed esploratore del mondo. Il primo impatto con la Mongolia è stato travolgente. In poche ore ci siamo ritrovati catapultati in un mondo completamente diverso. L’effetto che fa confrontarsi con un paese asiatico, per cultura, tradizioni, architettura e modi di vivere così diversi lascia sempre un po’ spiazzati all’inizio. Fa capire quanto poco conosciamo del mondo e quanto c’è da scoprire.
Partiamo da Ulaanbaatar che ci ha accolti con un mix di fascino e disorientamento. Un posto fuori dal tempo, parte di un’altra dimensione a cui non siamo abituati. Le strade, segnate dal passaggio dei carri sovietici, si snodano tra imponenti edifici grigi e scritte in cirillico. Paure e timori pian piano si acquietano, grazie ai sorrisi delle persone e alla loro calda accoglienza.
La libertà della steppa
Uscire da Ulaanbaatar è come iniziare a respirare per davvero. Le steppe si estendono all’infinito, un tappeto erboso punteggiato da mandrie di cavalli selvaggi che galoppano liberi sotto un cielo immenso. La sensazione di libertà è palpabile, iniziamo a vivere momenti semplici attraversando questi paesaggi limpidi.
Come in ogni nostro viaggio, re-impariamo ad apprezzare le cose autentiche e genuine, come i bambini che giocano nel fango.
Ospitalità e spirito nomade
La prima giornata inizia con un risveglio in un campo agricolo. La sera prima siamo stati ospitati da una famiglia di contadini, e fin da subito si è creata quella sintonia che mette in luce una grande virtù delle terre asiatiche: l’ospitalità.
In Mongolia, dove i nomadi seguono il ritmo delle stagioni, la casa è più di un rifugio: è un luogo di condivisione e contatto con la natura e il divino. Il grande Tengri, “il dio del cielo azzurro”, accoglie tutti sotto un’unica realtà.
Pedalare tra le forze della natura
Le pedalate procedono faticose, grandi venti ci soffiano contro, rallentandoci. Siamo soli, circondati da un’infinità di terra e cielo, ma non ci sentiamo mai veramente soli. La presenza dei cavalli selvaggi ci fa sentire parte di qualcosa di più grande, un ciclo senza fine. La natura stessa sembra spingerci ad andare avanti.
A differenza del Nepal, qui percorriamo centinaia di km senza incontrare case o villaggi, tranne qualche yurta dove troviamo ristoro.
Questo luogo è un fertile terreno per la riflessione, pregno di immensità e desolazione, che ci permette di ascoltare la nostra voce interiore. Nei momenti di silenzio comprendiamo quanto siamo piccoli e parte di qualcosa di molto più grande.
Il silenzio potente della steppa
Qui infatti il silenzio è onnipresente, quasi da diventare un rumore, sempre più nitido e potente.
Il silenzio ha il rumore del vento, dell’acqua che scorre, delle nuvole che si muovono, delle fronde degli alberi che si agitano. È come se le nostre orecchie, liberate dai suoni superflui, captassero le più sottili vibrazioni dell’universo.
Viviamo sveglie molto fredde, le mattine iniziano con i brividi, e il fuoco che crepita è una salvezza finché l’alba non si staglia di fronte a noi. Il sole scalda con il tepore dei suoi raggi e le gambe sono pronte a pedalare. Ci lanciamo nella steppa, sentendoci liberi come il vento.
Verso il Lago Khuvsgul
La Mongolia ha una natura inospitale, e salendo verso il Lago Khuvsgul, comprendiamo il perché. Sono passati 15 giorni e abbiamo percorso circa 800 km. Le strade verso nord sono dissestate, incontrare umani è raro e il freddo siberiano rende le notti dure.
Tuttavia, in questa ostilità, incontriamo persone di una grandezza e tenacia che ci lasciano senza parole. Uomini forti, che vivono vite audaci e gentili.
L’Impero dei Guerrieri
Comprendiamo perché il più grande impero della storia recente sia nato qui: il popolo mongolo è un popolo di guerrieri.
Con un nodo in gola e il gelo dell’inverno alle porte lasciamo Hatgal, l’ultimo baluardo di civiltà prima del lago. Al terzo giorno di viaggio, però, incontriamo un ostacolo insormontabile: 40 km di dune di sabbia. Il pensiero delle prime nevicate imminenti ci spinge a tornare indietro, consapevoli che la natura, qui, è sempre la padrona.
L’accoglienza dei Nomadi
Durante il rientro troviamo accoglienza in una yurta di nomadi che pascolano Yak. La comunicazione è semplice e gestuale: il linguaggio si fa ponte e inizia a disegnare storie e cultura. Ci immergiamo in un mondo fatto di immagini e simboli, costruendo un legame profondo e umano.
Pedalando verso sud, sentiamo ancora il calore del fuoco della yurta e il suono delle risate. Sorge in noi la malinconia della consapevolezza che non ci rivedremo mai più.
Un viaggio in bici offre la possibilità di riscoprire parti di se stessi e di creare legami che rimarranno per sempre, sia in te che nelle persone che incontri.
Per scoprire di più su questo viaggio in Mongolia, ripercorrete le storie di Instagram di @esplora.cc
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