Potosi nel 1650 con i suoi 120.000 abitanti era la città più popolosa del mondo.
Potosi è la città più alta del mondo, 4.065 metri, è aggrappata con le unghie e coi denti al dorso di una montagna, il Cerro Rico.
Potosì è anche la città che maggiormente ha portato ricchezza nel mondo: in quasi 500 anni ha estratto oltre 46.000 tonnellate di argento dalle proprie miniere. In Spagnolo è ancora in un uso l’espressione Vale un Potosi per indicare qualcosa di grande valore.
Potosi sta al colonialismo come Auschwitz sta al nazismo. Si calcola che fino al momento dell’indipendenza boliviana qui oltre 8 milioni di indigeni persero la vita a causa delle condizioni di lavoro.
Oggi Potosi è una città affascinante, con un’architettura che ancora parla del ricco passato, ma anche del presente economicamente molto difficile.
Le 182 imprese minerarie presenti in città lavoro ad oltre 19.000 persone, soprattutto indios di lingua Quechua che ancora conservano tradizioni e costumi antichissimi. Tra questi, il culto della Pachamama, la divinità precolombiana che rappresenta la Madre Terra.
Poiché l’attività mineraria si svolge integralmente all’interno delle viscere della terra, la devozione da parte dei minatori nei confronti della Pachamama è massima. In occasione del solstizio, i minatori compiono offerte e sacrifici propiziatori alla Madre Terra e ai demoni che albergano nella miniera.
Il rituale prevede la condivisione con la divinità e coi demoni di tabacco, foglie di coca, alcool e sigarette e termina con il sacrificio di alcuni lama di fronte all’ingresso della miniera allo scopo di placarne la sete di sangue.
A Potosi non si parla molto del genocidio compiuto dagli spagnoli con la spada con la croce.
Qui si parla solo di miniere, di argento, di zinco e del Cerro Rico che in Quechua si chiama Sumaj Orcko, montagna sacra.
Forse è meglio così.
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