I cani peruviani

Le ruote sfrigolano sui sassi, la bici sobbalza ad ogni buca e mi rimanda continui rumori metallici che mi mettono in apprensione. Pedalare sullo sterrato peruviano con questo dislivello non è certo facile. Salire è faticoso, nel silenzio sono accompagnato solo dal mio respiro frequente e corto, cerca ossigeno ma a 4000 metri se ne trova fino a metà dell’inspirazione, il resto è puro vuoto. Il cuore batte rapido come un tamburo in un rituale indiano. La cima oggi è vicina e fra poco potrò sdraiarmi al sole e iniziare la discesa. Mentre produco gli ultimi sforzi, sento un cane abbaiare da lontano, poi un altro lo imita e ai due se ne aggiunge un terzo. Corrono decisamente verso di me, non c’è probabilmente altro bersaglio nel raggio di qualche decina di chilometri. Tre animali ringhianti che mi mostrano i denti e corrono verso di me come fossero in una gara di velocità, non mi mettono esattamente tranquillo. Tento di aumentare la pedalata ma in salita non ho scampo, non sarò mai abbastanza veloce. Con me ho un bastone che ho trovato per strada e che ho appoggiato alle 2 borse davanti su consiglio di un amico cicloviaggiatore “esperto” che se ne era servito per difendersi durante i ripetuti attacchi subiti in un viaggio verso Oriente. “Grrrrrrrr” Il suono non è confortante ma soprattutto mi comunica che sono dietro di me. Afferro “l’arma” e comincio a sventolarla con fendenti che tagliano l’aria come l’asta di uno sbandieratore. Sono determinati, mica si fanno intimorire per così poco.

Mi giro e mentre guardo le loro facce da assassini urlo “Bastaaaaaaaaaaaaa!!!”, tanto in spagnolo è uguale, metti mai che il messaggio arrivi chiaro alle loro orecchie o che magari qualche contadino, di quelli che ogni tanto spuntano dal nulla, mi senta e corra in mio aiuto. Niente contadino o altro essere umano … Dopo il mio grido disperato sembra che le 3 belve sbavanti si siano allontanate, ma è un fuoco di paglia. Di nuovo mi ringhiano da vicino. La bicicletta improvvisamente viene frenata e capisco subito che devo cambiare tattica. Una delle bestie ha tra i denti la fibbia di una delle borse posteriori. Vorrei poterlo trascinare fino a consumarlo tutto ma lascio perdere il mio pensiero delirante e gli assesto una bastonata decisa sul muso di cui sento le vibrazioni fino al polso. Ora, fare tutto cio’ mentre si sta pedalando in salita ha una sola controindicazione, quella dell’equilibrio che va mantenuto mentre il corpo si sta agitando. Da fuori devo sembrare un invasato che in crisi mistica decide di salire in bicicletta e inizia a pedalare sbandando a destra e a sinistra sempre sull’orlo del capitombolo. Cadere dalla bici significherebbe averceli addosso. Nella concitazione del dopo smazzolata riprendo a pedalare rapido e non sento più quelle voci roche e aggressive dietro di me. Mi volto e li vedo rallentare, poi si girano e tornano indietro. Mi fermo pure io, ho bisogno di riposare. Come si dice ho il cuore in gola e mi sembra di poterlo ascoltare mentre cerca di uscire a più riprese dal pomo d’Adamo. Di cani randagi da queste parti ce ne sono parecchi, alcuni mi guardano passare con occhi assonnati, mentre altri li vedo da lontano che hanno intenzioni bellicose. Si alzano e cominciano ad aumentare il passo come un saltatore in alto prima della sua prova. Il passo aumenta così come il ringhiare che diventa abbaiare dopo il mio passaggio. Tutte le volte che mi capita un cane così mi esce sempre un “No cazzo!” e guardo per terra, quasi sperando che una volta rialzata la testa l’animale sia scomparso, ma è sempre li.

In Peru maturerò un’esperienza su come affrontare queste situazioni di pericolo da poterla insegnare a un gruppo di studenti di veterinaria. A forza di usare il bastone mi sono accorto che il cane si incazzava ancora di più, sentivo le sue zampe pestare pesantemente la strada per cercare di raggiungermi. Dopo svariati tentativi ho deciso di buttare via il bastone e di mettere in pratica un approccio non violento. Ho iniziato a ignorarli ed ha funzionato. Mi correvano dietro per un po’, ringhiavano, digrignavano i denti, a volte mordevano qualche pezzo della bici ma alla fine desistevano. E’ come se stessero cercando di farmi cadere in una provocazione per aizzarsi addosso ai miei polpacci, ma io li ho capiti… non ho più dato loro alcun pretesto.
A volte ne ho incontrati di placidi, uno in particolare sonnecchiante sotto una cassetta di mandarini in un negozio poco prima di salire sull’altopiano. Subito non lo avevo messo a fuoco, quei mandarini mi ispiravano troppo, tant’è che mi sono avvicinato per prenderne qualcuno. Ha aperto gli occhi, e le labbra si sono aperte mostrando la dentatura. Lui stava bello fermo ma mi guardava intimandomi di non fare quello che avevo in mente. Ha cominciato a ringhiare sempre senza muoversi da li sotto. Arrabbiato ma stanco. Non era grosso ma desisto, vittoria per il guardiano dei mandarini che fiero richiude gli occhi e si rimette in standby. Nel mio rapporto con i cani è successo poi di aver preso gradualmente sicurezza, il viaggio mi ha inselvatichito quel che basta per arrivare al passaggio successivo che per me è stato quello di iniziare a fermarmi. Più volte ho pensato “adesso mi fermo, scendo e gli pianto un pugno in testa” e giuro che lo avrei fatto se solo qualcuno dei cani che mi inseguivano avesse continuato a ringhiarmi o mi fosse venuto contro. Ma non è stato così.

Ogni volta che rallentavo o addirittura mi fermavo stremato e arrabbiatissimo mettendo giù la bicicletta e facendo capire loro che era arrivato il momento dello scontro finale, sparivano o si mettevano tranquilli lasciandomi da vincitore un senso di potenza che nessuno mai ha potuto osservar nella desolazione di questa parte di Peru. “Bravo Marco, un applauso..” mi sono detto più volte per gratificarmi della buona riuscita del mio metodo pacifista. Incontrando altri ciclisti scopro invece che a loro non è andata invece così bene. “The dog bit me on the calf !“ mi dice Simon mentre mi mostra il suo polpaccio segnato dal morso di un cane lanciatosi al suo inseguimento. Mi racconta di quando ha sentito i denti affondare nella carne, dell’urlo che gli è uscito dalla gola e della preoccupazione di essersi beccato qualche malattia. Non ci poteva credere, ma lui è un inglese atipico, di quelli che non ci si aspetterebbe, sempre sorridente, con la sua risata contagiosa a bocca spalancata. Può raccontare qualunque cosa che lo fa sempre sorridendo, anche quando parla dell’assalto subito nel nord del Peru in cui un taxi gli ha tagliato la strada e ha sgommato frenandogli davanti. Sono usciti 3 tizi poco raccomandabili che lo hanno fatto saltare giù dalla bici e gli hanno portato via le borse di dietro, la tenda e il sacco a pelo.
Un minuto e se ne stava andando una parte dell’equipaggio costituito in mesi di ricerca prima della partenza. Roba da mettersi le mani nei capelli… Ma lui sorride…. ed io pure ogni volta che lo rivedo spuntare nei miei pensieri.

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