Oggi che bici mi metto?

cop-no-biciPubblico un breve estratto del libro No Bici, che verrà presentato mercoledì prossimo a Roma da Alberto Fiorillo (l’autore), da Angelo Melone (Repubblica.it), da Paolo Bellino (#salvaiciclisti), da Vittorio Cogliati Dezza (presidente Legambiente), Francesco Ferrante (primo firmatario della proposta di legge pro ciclisti urbani). Letture di Giselle Martino (#salvaiciclisti).

Se vi piace l’estratto venite alle 18.00 alla presentazione da Feltrinelli (in via Vittorio Emanuele Orlando, 78-81). Se non vi piace, venite a dirmelo in faccia se avete il coraggio (sempre alle 18.00 da Feltrinelli ovviamente).

Vivo in una metropoli del centro Italia piena di monumenti, chiese e ministeri, ma preferisco non svelarne il nome per ragioni di privacy. Vedo biciclette ovunque. Vedo biciclette appollaiate dietro le ringhiere dei balconi, vedo biciclette ritratte sui manifesti pubblicitari col compito di offrire una sbarazzina e giovanile scenografia ai piazzisti di telefonini, conti correnti, polo di piqué, addirittura automobili. Vedo biciclette dal benzinaio promesse come premio all’automobilista fedele. Vedo biciclette incatenate ai segnali stradali che prima scompare il sellino, poi una ruota, poi tutt’e due finché restano mutilate ad appassire di ruggine. Vedo bici straripanti di glamour nelle boutique trendy del centro. Vedo mountain bike caricate su pick up puzzoingombranti per andare a scovare sentieri vuoti di traffico e smog…

Vedo biciclette ovunque, tranne che in strada. Lì vedo solo automobili, il solito ingorgo di un giorno qualsiasi. A dire il vero, confermando il postulato del teorema di Bernouilli, ogni tanto, raramente e comunque solo quando non piove e non minaccia di piovere, non fa troppo caldo e non fa troppo freddo, non si rischia di sudare o di sgualcire il tailleur, capita di vedere una persona su una di quelle biciclette che vedo ovunque e che quella persona sia addirittura intenta a pedalare. Visione sperduta e fugace – ora c’è, ora non c’è più – rimpiazzata in breve dalla routine del traffico.

Certo, lo so, la metropoli piena di buche, sampietrini e auto blu dove vivo non è l’unico centro urbano di questo Paese. Ci sono posti dove andare in bici è normale. E so anche che – persino in quelle città dove per vedere tanti adulti che pedalano bisogna aspettare una tappa del Giro d’Italia – la bici non è più considerata il mezzo sfigato dello sfigato o il rimprovero itinerante mosso da ecologisti boy scout alla società consumista e sprecona. La bici contemporanea, anzi, è sempre più cool, è per molti giovani una cosa che non “ti” porta, ma “si” porta. S’indossa come un capo di abbigliamento, è l’abito del dandy e dell’hipster, del fighetto e del controfighetto. Come dire: l’apparenza in canna. Inoltre la bici è ecologica ed economica, è un motus symbol, una critical mass, il tratto distintivo dello snob e della “sciura”, la recente e immacolata icona dei pubblicitari, il simpatico gadget per l’assiduo cliente, l’attrezzo sportivo, la beauty farm, l’antitrombotico naturale, il giocattolo del bimbo, la compagna di passeggiate, persino un’idea filosofica, un mantra, il paradigma della lentezza o della velocità umana e non motorizzata, il tramite per riscoprire il proprio corpo e il proprio io.

Nonostante tutto quello che è o rappresenta, nella mia metropoli piena di rovine, tonache e onorevoli così come nella maggioranza delle nostre città, l’uso della bici resta marginale, inconsistente, impalpabile. O magari resta marginale, inconsistente, impalpabile anche a causa di tutti i simboli e le metafore che hanno esageratamente appesantito la macchina più leggera che esiste. Proprio questa ridondanza di significati mi spinge, di tanto in tanto, a sognare città “No Bici”. O meglio città dove le bici (e tutti gli altri veicoli) siano unicamente, semplicemente, banalmente mezzi di trasporto.

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