Il fatto è abbastanza noto: negli ultimi due giorni in Inghilterra il vincitore dell’ultimo Tour de France Bradley Wiggins prima, e l’allenatore del Team britannico di ciclismo Shane Sutton poi, sono volati a terra a distanza di poche ore dopo lo scontro con due automobili. Wiggo ha qualche costola rotta ed una frattura ad un dito e il suo coach ha subito una commozione cerebrale (nonostante avessero entrambi il casco). Attualmente sono in ospedale, fortunatamente fuori pericolo.
Come era prevedibile nell’arco di poche ore si è formato un coretto attorno alla campagna del Times #cyclesafe da parte dei media inglesi, compresa la BBC, evidentemente consapevoli che il problema della sicurezza di chi va in bici è reale, e deve essere arginato in qualche modo. Addirittura il governo ha pubblicato in una sezione del suo sito un vademecum di buoni comportamenti rivolto agli automobilisti per rispettare gli utenti delle due ruote.
Ora, va benissimo tutta l’attenzione per i due sfortunati ciclisti, ma quanti Wiggins e Sutton sulle strade inglesi e italiane fanno la stessa, o peggiore fine?
Tanti, più di 100 in Gran Bretagna e il doppio in Italia solo nel 2012.
La reazione di certa stampa inglese, mi spiace dirlo, mi ha ricordato la cattiva abitudine di accorgersi dei problemi solo dopo che a farne le spese è stato qualche nome di grido.
Da noi forse è andata ancora peggio: chi ha trattato la notizia non è stato in grado nemmeno di fare due più due, di ricordarsi che ciò che è accaduto ai due campioni inglesi è un problema che riguarda anche l’Italia, e che la società civile, ben rappresentata dal movimento #salvaiciclisti, campagna “gemella” di #cyclesafe, si sta battendo da 9 mesi per richiamare l’attenzione della politica.
Eppure niente, nessun accenno alle campagne in corso, nessun riferimento e confronto, nemmeno menzionata la parola “cyclesafe”, solo due righe dalla Gazzetta che recitano: “dalla Federazione (inglese) anche un appello al governo a un maggiore impegno per garantire la sicurezza dei ciclisti sulle strade.“.
Insomma, va tutto bene, in Gran Bretagna se vi tirano sotto in bicicletta e non vi chiamate Wiggins e Sutton, a parte il Times, avrete poche chances che qualcuno si accorga di voi.
In Italia forse non basterebbe nemmeno quello.
EDIT: dopo poco più di un’ora dalla pubblicazione di quest’articolo, anche Repubblica solleva il problema. Beh, bravi. Discorso quindi non valido almeno per loro.
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