Tratto dalla raccolta di viaggi: “Abbondanti dozzinali”
Il titolo può sembrare strano, ed è volutamente grottesco, nasce da un gioco di amici che auto-ironizzava sulla nostra scarsa organizzazione dei primi viaggi, sulla scarsa preparazione fisica, su tutto-ciò-che-non-è-romanzato.
E questo è anche un po’ il taglio della narrazione dei miei diari: grottesco, surreale, ironico, con un occhio disincantato sempre teso al lato antropologico dei posti visitati…
4/8/10
MODENA – RUBIERA – ARCETO – SCANDIANO – ALBINEA – CANTONE – QUATTRO CASTELLA – SAN POLO D’ENZA – MONTECCHIO D’EMILIA – SANT’ILARIO D’ENZA – PARMA – CORCAGNANO (80 km)
Sveglia prestissimo, prima delle 7, breve colazione e di nuovo in marcia. Le olandesi dormono ancora, così le saluto e le ringrazio con un bigliettino. Sotto consiglio dalla signora del bar del campeggio, glaciale con tutti meno che con suo nipote, decido di abbandonare la via Emilia all’altezza di Rubiera: infatti il tratto da Modena a qui è trafficato e poco piacevole. All’entrata del paese un vecchio in bici dall’altra parte della strada mi urla qualcosa in dialetto, ma non lo capisco. Qui faccio spesa alla Coop, dove rifiutano (ed è già la seconda volta) il simil-euro cileno che qualcun altro mi deve aver rifilato, e uso il bagno di Mercatone Uno, in cui ero entrato pensando che vendessero anche generi alimentari.
All’uscita di Rubiera svolto a sinistra verso Arceto e subito la campagna emiliana mi avvolge con casolari fatiscenti e covoni sparsi qua e là. Superata Scandiano, prendo la bella strada Pedemontana: a sinistra le colline, a destra grano e vitigni; bella campagna, anche se non regge il confronto con il Chianti. Da Albinea a San Polo d’Enza si alternano salite e discese, luce e ombra, sole e nuvole. Mi fermo a mangiare un paio di panini in piazza Matteotti a San Polo, dove regalo una merendina a un vagabondo locale: è sporco, malandato e mi chiede in dialetto se ho anche una sigaretta. Mi appisolo per un’oretta su una panchina, poi dopo aver chiesto a un tabaccaio la strada mi dirigo per Montecchio; di qui in poi il paesaggio si fa più bello, percorro una ciclabile fresca e ombrosa fino a oltrepassare il torrente Enza su un ponte di pietra; una decina di chilometri di far west, giallo a destra e verde a sinistra, strada diritta e vuota da macchine, per un po’ esiste solo cielo, sole, la mia bici e un trattore.
Proseguo per campi e piccole macchie verdi, dove delle prostitute nigeriane attendono i loro clienti a bordo strada, talvolta neanche a bordo, ma ostruendo il passaggio delle automobili. Ovviamente mi salutano, io ricambio, e una di loro prova a fermarmi con uno scacciamosche. Un’altra, più avanti, una grassa cinquantenne colorata, si limita a mostrare alla strada le chiappe enormi e scure, mentre parla concitatamente con una collega. Ritrovo Emilia, sempre lì che solca la pianura, all’altezza del paesino di Sant’Ilario, e passo l’osteria Ligabue, no non l’artista, bensì il pittore…
Un’altra decina di chilometri ed entro a Parma, che mi accoglie prima freddamente, poi, man mano che mi addentro nel centro, si fa più vivace e colorata di ragazzine scostanti tutte in tiro, ciclisti cauti e immigrati, per lo più africani. Mi ferma una ragazza bionda che lavora per Euroclub, mi vuole proporre un abbonamento per ricevere libri a casa, la fermo subito con le parole “Ma mi hai guardato bene in faccia?”; dopo che si è rassegnata, sono io a chiederle indicazioni per un internet point. Mi aggiro tra stradine e vicoli semivuoti, sono le cinque ma il sole picchia ancora, il duomo e il battistero occupano lo spazio a loro assegnato con consapevolezza e solennità, in totale silenzio.
Dopo una mezz’ora in biblioteca a consultare la posta, mi metto in camino verso Corcagnano, paesino lungo la strada per Langhirano, dove mi attende Matteo. Dopo aver costeggiato il torrente Parma su uno stradone poco affollato, ritorno in campagna per la via Massese, una provinciale stretta e abbastanza trafficata. Arrivato dopo 10 km, Matteo mi viene a prendere in piazza con la bici: è ancora rosso dei pomodori della fabbrica in cui sta lavorando per i mesi estivi. A casa sua mi accoglie, con la gentilezza tipica di chi potrebbe conoscerti da una vita, tutta la sua famiglia, genitori e nonni, offrendomi il più buon parmigiano e lambrusco mai assaggiati in vita mia.
Dopo una buona cena, tante chiacchiere e scambi musicali, facciamo un giro per una Parma vestita a festa, viali affollati e giovani addobbati. Ci fermiamo all’osteria Le Ombre, dove incontriamo altri amici. Matteo è “nuovo” di Parma, nel senso che sono sette mesi che non ne vede il centro, essendo appena tornato dalla Norvegia per l’Erasmus, e tutti lo salutano per dargli il bentornato. Mi parla di un mondo freddo e altro dal nostro, in cui i giorni sono scanditi dall’aurora boreale e da un sole lento ad andare e venire, mi parla di progetti e obiettivi sociali e umanitari, della sua voglia di ripartire a poche settimane dal suo rientro.
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