Perché abbiamo urgente bisogno di una battaglia culturale

23 Luglio 2013

traffico_roma

Sono reduce da un incontro con i tecnici comunali romani che stanno seguendo i lavori di adeguamento della viabilità stradale intorno all’area dei Fori Imperiali. La principale preoccupazione, da parte loro, è che gli interventi portino al collasso una situazione già ora problematica. Ai problemi di traffico già ventilati si sovrappone l’esigenza, ormai matura, di strutturare una efficiente percorrenza ciclabile su una direttrice preferenziale (via Labicana) che da agosto in poi diverrà a singolo senso di marcia. Il contributo dei referenti del movimento #Salvaiciclisti è stato sottolineare i problemi derivanti da una sistemazione stradale raffazzonata e gravemente inadeguata come quella proposta, che finirebbe con l’indurre ciclisti indisciplinati e frettolosi ad effettuare manovre poco ortodosse, e di fatto rischiose. Alla fine dell’incontro non si è riusciti ad individuare una soluzione che fosse soddisfacente per tutti.

Quello che a mio parere è mancato, a monte, è una concertazione sugli effetti reali da produrre, sulle intenzioni complessive, cui l’analisi metro per metro della sede stradale non ha potuto sopperire. Dalla parte dei tecnici è stata rappresentata l’esigenza di incidere il meno possibile sull’esistente, e di operare uno spostamento dei flussi di traffico motorizzato tale da non creare ingorghi ingestibili e disagi alla cittadinanza. Da parte nostra ha prevalso l’intenzione di disegnare una viabilità di livello europeo, che attraverso la distribuzione di spazi sulla sede stradale finisse col concedere pari dignità alle modalità leggere di spostamento, in modo da promuovere quel trasferimento modale dal mezzo motorizzato privato al trasporto pubblico ed alla mobilità leggera di cui abbiamo tanta necessità.

Il persistere di questi due orientamenti contrapposti, l’intoccabilità dei flussi veicolari da un lato, l’esigenza di trasformazione della mobilità cittadina dall’altro, testimonia un vuoto di idealità e di politica nell’agire condiviso. Un vuoto che va colmato prima che si riproducano, ad libitum, le scelte sbagliate portate avanti negli ultimi decenni.

Prima ancora degli interventi, prima ancora delle sistemazioni stradali, sono le idee a dover camminare, a muoversi nelle teste delle persone, a spingere determinazioni e volontà. Mettere una cittadinanza distratta ed inconsapevole di fronte a scelte che non è culturalmente in grado di comprendere e metabolizzare comporta già da se il rischio di un insuccesso. Per questo mi permetto di fare un appunto al sindaco Marino ed ai suoi collaboratori: rendete più chiare le vostre intenzioni, supportatele da fatti e logica inoppugnabile prima di agire, perché le esperienze di altri paesi non mancano e tutti noi abbiamo bisogno di ricominciare a sognare e desiderare.

L’unica strategia posta in atto a Roma negli scorsi decenni, in controtendenza rispetto alle esperienze europee, è stata quella della “fluidificazione” del traffico: il tentativo, destinato a fallire, di far scorrere più in fretta gli autoveicoli per ridurre gli ingorghi. L’esperienza degli altri paesi, al contrario, ci insegna che rendere le direttrici più veloci ed efficienti per le auto ottiene soltanto di renderle più appetibili, ed aumentare il traffico che vi scorre, anziché ridurlo. Per dirlo con le parole di Fred Kent: “If you plan cities for cars and traffic, you get cars and traffic. If you plan for people and places, you get people and places.” (Se progetti le città per le automobili ed il traffico, ottieni automobili e traffico. Se progetti pensando a persone e luoghi, ottieni persone e luoghi)

I romani, e gli italiani più in generale, soffrono paure inconsce prodotte proprio da questo modello di organizzazione urbana. Temono di non potersi spostare se privati dell’automobile, temono un ulteriore peggioramento della qualità della propria vita. Temono a ragione, i residenti, (che paradossalmente sono i primi a non voler limiti nell’uso del veicolo privato) che l’eccesso di traffico li danneggi. Temono a torto, i commercianti, che la riduzione del traffico finisca col penalizzarli.

Al contrario, tutte le esperienze degli altri paesi sconfessano questi timori: la limitazione del traffico veicolare comporta un aumento negli spostamenti a piedi ed in bicicletta, rende efficienti e puntuali i mezzi pubblici, aumenta la predisposizione allo shopping e gli affari del commercio di prossimità, migliora la salute delle persone grazie all’abbattimento delle sostanze inquinanti ed all’aumentato esercizio fisico, accresce la vita di relazione, la socialità e la piacevolezza dei quartieri.

Tutto questo, noi che andiamo in bicicletta lo sappiamo già, vuoi per averlo sperimentato sulla nostra pelle, vuoi perché parte integrante del nostro bagaglio culturale. Ma al di fuori della ristretta cerchia di pochi innovatori/sperimentatori approdati spontaneamente all’utilizzo della bicicletta, nella cultura italiana diffusa di questa consapevolezza non v’è traccia. Per di più, i mezzi di comunicazione di massa, soggetti a logiche conservatrici, continuano a perpetrare una narrazione dell’esistente in cui non c’è spazio per possibili trasformazioni sociali. Il risultato è che abbiamo collettivamente perso di vista l’idea stessa di futuro, di trasformazione, limitandoci a subire passivamente un presente all’apparenza immodificabile.

Che ciò sia il portato di riluttanze ataviche o la consapevolezza di aver raggiunto un punto di non ritorno nell’accumulo di beni materiali, fatto sta che lo status quo, il possesso e l’accumulo compulsivo di oggetti, è ormai diventato un totem indiscutibile, da difendere a costo della vita. È questo il moloch che va combattuto e sconfitto, perché da esso discendono tutte le scelte sbagliate che ci mantengono nell’impasse.

Il punto è che non si trasforma una società ridisegnando strade, la si trasforma ridisegnando sogni, idee e desideri, e questa è una cosa che da tempo immemorabile abbiamo delegato alle campagne pubblicitarie, col solo esito di riempire le nostre esistenze di oggetti prevalentemente inutili, se non decisamente dannosi. Dobbiamo riappropriarci della capacità di sognare, immaginare, desiderare, e non solo, una volta riconquistata per noi stessi dobbiamo essere capaci di restituirla ai nostri vicini e concittadini.

Questo, come ciclisti, chiediamo al sindaco Ignazio Marino: di farsi carico in prima persona di quella trasformazione culturale che sola potrà avallare le coraggiose scelte urbanistiche che ci sta promettendo. Di invadere televisione e giornali di comunicazioni dirette e facilmente comprensibili sugli inoppugnabili vantaggi che ne verranno ai cittadini. Di scrollare di dosso, alla città che amministra, la cappa di inerzia e passiva accettazione in cui è vissuta già troppo a lungo.

Da parte nostra, come ciclisti e cicloattivisti, questa battaglia la stiamo conducendo da tempo, con risultati incoraggianti ed evidenti, ma senza quegli strumenti di pervasività ad oggi esclusivo appannaggio di stampa e televisione. Possediamo competenze ed esperienze, possediamo idealità, possediamo una chiara visione degli obiettivi e dei vantaggi per l’intera collettività di un diverso modello di convivenza urbana, ma non ancora la capillarità per arrivare a chi ostentatamente ci ignora.

L’istanza di trasformazione urbanistica della città non potrà procedere senza il supporto di una adeguata campagna di comunicazione che restituisca ai suoi abitanti l’opportunità di desiderare, sognare e partecipare a realizzare una totale riorganizzazione, in positivo, delle proprie vite ed abitudini consolidate. Come ciclisti urbani siamo pronti a sostenere questa trasformazione con ogni mezzo necessario, ma sentiamo la necessità di un maggior coordinamento con le istituzioni, cui domandiamo una totale trasparenza e condivisione d’intenti.

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Commenti

3 Commenti su "Perché abbiamo urgente bisogno di una battaglia culturale"

  1. Angelo Taroni ha detto:

    Complimenti per l’articolo, come ciclista incallito ed utente di mezzi pubblici x convinzione, concordo totalmente ed ammiro la qualità della stesura. Temo non basti una battaglia culturale e preferirei optare per termini meno bellicisti, anche se per chi quotidianamente affronta suv e camion inforcando una fragile bici di guerra sembra trattarsi.
    Davvero si tratta di saper comunicare con autorevolezza e sereno spirito di convincimento il concetto di limite da applicare alla sconfinata italica auto (intesa come automobile)idolatria .
    Anche un bambino può vedere che in Italia, più che altrove, il sistema dei trasporti è gravemente squilibrato in favore della gomma e del mezzo privato.
    Forse il Sindaco Marino è uno dei pochi amministratori italiani che può trovare la via giusta per convincere anche i più refrattari ad aprirsi al futuro, in fondo gli esempi non mancano: le città che hanno creduto al miraggio dell’auto forever, Cairo, Istanbul….non sono certo modelli di vivibilità ed efficienza.
    Chi ha investito in mobilità pubblica e ciclabili: Stoccolma, Copenaghen, Amsterdam….invece si!!!

  2. Paolo Pizzuti ha detto:

    L’articolo è ben scritto,io mi batterei ancora di più sui punti nodali che favorirebbero un bel pò di persone nell’uso della bicicletta,io personalmente abito in una zona periferica con diverse salite e discese che x me non sono un problema ma per altri si.

  3. Matteo Borbonese ha detto:

    Complimenti, bell’articolo, scritto molto bene. Speriamo che la politica torni a fare quello che deve: educare e scegliere le soluzioni migliori per i cittadini, e non basarsi solo sul numero di voto che può ottenere….

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