Copenhagen e la bici: un matrimonio di convenienza

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Il problema di Copenhagen non è il traffico

Una delle esperienze che ho voluto fare nel mio soggiorno a Copenaghen è stato quello di vivere il rush hour: qui è come se ogni mattina centinaia di critical mass contemporanee spostassero quel mezzo milione di copenaghesi che inforcano la bicicletta e vanno a scuola, al lavoro o dove che sia.

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Ho voluto vivere in prima persona quel momento in cui i semafori sulle superciclabili sono sincronizzati per offrire a chi si sposta a 20 km/h di godere di un’onda verde e i parcheggi della città sono pronti ad accogliere queste masse che si spostano. È così che mi sono ritrovato a vivere l’ora di punta più veloce della mia vita.

Onda Verde Bicicletta Copenhagen

Il simbolino che ti dice che sei su una ciclabile con l’onda verde

Mentre vivevo questa esperienza, non riuscivo a smettere di ridere perché continuavo a pensare a un mio omologo danese che a Roma decide di andarsi a fare un giro sul Grande Raccordo Anulare in macchina alle 8:30 del mattino per provare l’esperienza e capire la differenza con le proprie abitudini.

Cicloparcheggio Copenhagen

Il parcheggio di un supermercato

 

La differenza è che a Copenaghen per compiere 9 km impieghi mezz’ora. Sempre. Anche se piove, anche se nevica. E che, arrivato a destinazione, trovi sempre un posto dove parcheggiare il tuo mezzo nell’arco di 50 metri.

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Il parcheggio normale di un ufficio, in centro

Se le persone qui usano la bici è quindi soprattutto per una questione di efficienza: per evitare di buttare nel cesso il preziosissimo tempo della propria vita che, invece che starsene seduti in auto nel traffico a respirare smog, potrebbe essere utilizzato in modo differente.

Cartelli bici Copenhagen

Tempi di percorrenza certa: si chiama efficienza.

Ai Danesi, per quello che mi è parso di capire, piace trascorrerlo così, seduti da qualche parte a godersi il poco sole che gli tocca nell’arco dell’anno, magari sorseggiando una birra e chiacchierando con qualcuno lungo il porto, oppure strimpellando una chitarra.

Relax Copenhagen

La dolce vita.

E la passione in sè per il mezzo a pedali è davvero poca cosa. Ho avuto modo di accorgermene dopo 10 giorni in cui ho provato a cercare un souvenir ciclisteggiante da portarmi a casa: un magnete, un poster, un soprammobile attirapolvere.

Mi aspettavo di trovare Amleti che dicessero “to bike or not to bike”, tazze da caffè con lo skyline della città e il motto “Alzati e pedala”, poster e illustrazioni in grado di rappresentare il rush hour, miniature delle stilosissime cargo bike. Roba così.

Murale bicicletta Copenhagen

Un tributo alla bicicletta a Nørrebro.

Invece no, niente e il motivo credo che sia che la bicicletta sta alla Danimarca come il bidè sta all’Italia: per quanto sia una cosa che caratterizzi il nostro paese, che tutti possiedono e che tutti usano, nessuno vende riproduzioni in miniatura, rappresentazioni, magliette o tazze a forma di bidè.

Questa normalità (nell’uso della bici, non del bidè) si traduce in una serie di meravigliose interpretazioni sia individuali sia collettive del concetto, perché ciascuno è normale a modo proprio.

Rush Hour Copenhagen

La prima conseguenza di ciò è che c’è tutto un fiorire di sfiziosi produttori e rivendite di bici che interpretano il tema in modo diverso: c’è Velorbis che ne fa una questione di stile e di eleganza.

Velorbis

Uno sguardo nello showroom di Velorbis

C’è Christiania bikes che ne fa una questione di praticità e di capacità di carico.

Christiania Bikes

Il luogo dove nacquero le Christiania Bike

C’è Nihola che vi introduce anche un elemento di design.

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Le cargo bike di Nihola

E quindi, oltre che delle cargo bike c’è una diffusione meravigliosa nell’uso del portapacchi anteriore che consente di avere sempre sott’occhio quello che si sta trasportando e smettere di portare quelle fastidiose tracolle sega-spalle.

portpapacchi anteriore

La seconda conseguenza è che favorendo un uso della bici e togliendo le auto dalla città si è creato in tutta la città un esubero di spazio che dovette essere riempito in qualche modo e i danesi hanno deciso di dedicarlo, di volta in volta, all’attività fisica o al relax, ai negozi o alla ristorazione.

Piazza riqualificata Copenhagen

Israel Plads dopo la cura

Israel Plads prima della cura

Israel Plads prima della cura

Si dice che quando 40 anni fa iniziarono questi tipi di interventi di conversione dello spazio pubblico togliendo parcheggi, molti Copenaghesi vi si opposero al grido di “noi non siamo Italiani, noi non stiamo all’aperto a goderci il bel tempo”, ma oggi il risultato è che non appena esce un raggio di sole, migliaia di persone si riversano ovunque possibile a stappare birra, grigliare carne e ad ammirare i lunghissimi tramonti nordici in riva al porto creando attorno a se un ambiente quanto mai leggero e amichevole.

Copenhagen Bionde opera house

Spaparanzati a godersi il sole lungo il porto.

Loro non saranno Italiani, ma certo è che in qualche modo sembra di essere tornati a quell’Italia in cui si prendeva la sedia e la si metteva fuori dall’uscio di casa solo per vedere cosa avvenisse, scambiare due parole con i vicini e passare il tempo in tranquillità.

Al di là della questione mobilità, è come se Copenhagen si fosse lasciata definitivamente alle spalle il ventesimo secolo e le sue mostruosità: il consumo di massa, l’usa e getta, le energie non rinnovabili, gli additivi nel cibo, etc.

È come se Copenaghen fosse già entrata nell’era dell’acquario, quella in cui la dura lotta per la sopravvivenza avviene in modo non violento e non conflittuale e forse anche le altre città un giorno diventeranno così. Anzi, senza il “forse”, perché non c’è altra strada possibile da percorrere.

May the wind

L’importante adesso è non perdere altro tempo e che la forza sia con tutti noi.

Download dell’e-book

L’e-book “Copenaghen in bicicletta” è scaricabile
gratuitamente da questo link

copertina ebook Copenaghen in bici

Commenti

  1. Avatar Andrea S. ha detto:

    Temo che l’epoca dell’acquario, così ottimisticamente pronosticata per l’Italia, non arriverà mai, non fin tanto che gli automobilisti continueranno a sverniciare le biciclette col clakson e i ciclisti a mostrargli il dito medio.

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