Per coloro che volessero inoltrarsi su queste strade deliranti, raccomando prima la lettura di “Coast to Coast” e di “Viaggio invernale a Sud”.
Prologo
Con l’arrivo dell’estate iniziarono le concertazioni per un nuovo viaggio. Adesso, scegliere una qualsiasi meta è un atto complesso, un gesto che fissa un punto nello spazio, lo dilata, traccia delle linee che sono orizzonti, prospettive di fuga. Venne l’idea di focalizzare l’attenzione sulla Germania, di calarsi dall’alto verso la cittadina di Ulm, e di raggiungere così proprio lui, il Danubio, seguendo le sue prospettive di fuga attraverso l’Europa. A favorire tale scelta dovettero concorrere nella mente del professor Lino la lettura pregressa del prezioso libro di Claudio Magris, un tuffo nostalgico nella Mitteleuropa, e più nell’immediato, una vecchia copia della rivista Airone dedicata al fiume, dalle sorgenti fino al Mar Nero. Il capitano Andrea accolse di buon grado l’ipotesi del viaggio all’estero ma forse si affidò troppo alle presunte capacità organizzative del suo compagno di avventure. Infatti quest’ultimo, preso dall’euforia, davanti alla carta geografica si lasciò prendere la mano: se arriviamo a Monaco in treno e tracciamo una linea retta, diceva tra sé, ci ritroviamo dritti sul Danubio lassù ad Ingolstadt; e se invece deviamo a nord ovest passando per Augusta e Ulm?
Dalla città di Einstein, viriamo a destra e seguiamo il fiume, passando per Ratisbona e Passavia. Poi, una rassicurante ciclabile ci avrebbe portati dritti a Vienna. Fantastico. Così pensava il professor Lino. Ma non tenne nel giusto conto due elementi significativi per il buon esito della spedizione danubiana. Primo: l’assenza di un navigatore. Secondo: le cartine del territorio stampate da Google Maps, sarebbero andate bene per un viaggio in macchina, ma non per due cicloturisti in cammino nella regione bavarese. Gli è che, nonostante altri viaggi avventurosi alle spalle, viaggi che pure avrebbero dovuto trasmettergli un’attenzione maggiore ai particolari, il professor Lino soffre di una sindrome approssimativa che lo porta a disdegnare qualsiasi banale pianificazione dell’andare. Ma di questo aspetto riparleremo tra i campi di grano e di mais delle ciclabili tedesche. Intanto il capitano Andrea si mostrava scrupoloso nel prenotare il viaggio in treno che da Milano, passando per Verona, attraverso il Brennero li avrebbe condotti nel pomeriggio del 18 luglio, martedì, alla stazione di Monaco di Baviera per cominciare da lì la loro prima avventura fuori dalle Alpi.
Anversa, Belgio, venerdì 14 luglio, Sede centrale del Comitato Europeo per il Cicloturismo. Grote Markt n. 7.
E così vogliono venire in Germania? Vogliono venire a ciclare nella mia terra? Ah! Vedremo, vedremo di cosa sono capaci. Vogliono mettersi alla prova? Si accomodassero. Ma… che facciano attenzione, molta attenzione, quei due visionari. Qualsiasi stravaganza, e ce ne hanno offerte tante in questi anni, la riterrò offensiva sia per il Comitato di cui faccio parte e sia per la mia identità tedesca – . Il crucco, un gigante di Amburgo completamente calvo, tacque, e gli altri dignitari fecero appena in tempo a leggergli sul viso un sorrisetto beffardo che la luce del suo scranno si spense. Rimase accesa invece la lampada del Presidente di turno, il fiammingo Van De Routen, che prese la parola cercando di arrivare ad un accordo pacifico tra le parti. – Signor Berhinger, le ricordo il nobile scopo per cui nacque, nel lontano 1964, la Convenzione di Anversa, grazie al lascito di un gioielliere con la passione per la bici. Il nostro obiettivo è integrare l’Europa attraverso le due ruote, permettere a tutti di percorrerla e di godersela. La sua acrimonia verso i due italici mi sembra veramente eccessiva e preoccupante. Di cosa ha paura? Che ce la facciano anche stavolta? O forse lei invidia il loro spirito di avventura. A proposito, il suo dov’è finito? Signori, con i due italici abbiamo finito i punti del giorno. La seduta dei Savi della Bici si aggiorna a venerdì 21 luglio.
Atto primo
Arrivarono alla stazione di Monaco intorno alle 17 di quel martedì 18 luglio. Al suo interno un pullulare di gente, giovani con gli zaini, tanti cicloturisti come loro.
Naturalmente estorsero la prima indicazione da un ferroviere che li guardò con aria distante mentre consultava il suo smart: sinistra, poi sempre dritto. Uscirono così dalla Banhof e cominciarono a ciclare. Il tempo era bello e l’aria piuttosto calda. Prime indicazioni stradali, Dachau, 20 km. Si sentivano euforici ma stanchi per il lungo viaggio in treno, quel sali scendi delle bici rese pesanti dalle borse da viaggio, Magenta Milano, Milano Verona, Verona Monaco. Dopo aver smarrito la strada diverse volte alfine giunsero a Dachau, una piccola cittadina con una fortezza in alto. Automaticamente si sedettero in una birreria all’aperto piena di gente, ma subito venne loro in mente che non avevano ancora una sistemazione per la notte. Si rimisero in bici, rimandando a dopo i piaceri della tavola. Una simpatica signorina li guidò con la sua bike verso un B&B pieno di fiori nel cortile, ma l’espressione garbata della proprietaria fece intendere ai due che le camere erano piene. Idem con l’ostello. Tornarono in centro e presero una singola in un albergo posto di fronte ad una gelateria italiana.
Il professor Lino spiegò alla signorina della reception che avrebbe dormito per terra, che era stanco e non voleva cercare ancora. L’altra si limitò a fornirgli cuscino, piumone e materasso, sorridendo a tale decisione. Dopo una doccia e un cambio vestiti, i due si mossero verso la birreria: il popolo tedesco, seduto su grandi tavolate di legno, parlava senza schiamazzo. Cenarono con wurstel, crauti e patate, il tutto condito dalle ciambelle di brezel di cui il Capitano era particolarmente ghiotto e da un discreto numero di birre. Alle 10 e 30 non c’era quasi più nessuno, qualche vocìo in lontananza. I due, semi ubriachi e piuttosto provati dalla lunga giornata, fumavano Moods. Certo, non stavano pedalando in Alaska, come Andrea fantasticava nella sua sete di avventura, eppure la realtà di essere in Germania, soli, con due biciclette al seguito, metteva loro una certa apprensione. Non più al sicuro in terra italica, la loro attenzione sarebbe dovuta crescere per il buon esito della spedizione danubiana. Il capitano tornò alle sue ernie e alla necessità dello yoga trascendentale; il professor Lino indugiò sul giaciglio al suolo che lo attendeva in albergo. Si rese necessaria una passeggiata lassù alla fortezza. Un Belvedere mostrò loro luci e città in lontananza, la costellazione di Monaco, la Baviera tutt’intorno, due migranti in vacanza, due deportati verso il campo di concentramento che l’indomani avrebbero scelto di visitare.
Lo raggiunsero al mattino di buon’ora. Sorto nel 1933 subito dopo la presa del potere da parte di Hitler, in verità rientrava in un più vasto progetto di internamento e di utilizzo di manodopera schiavile che interessava questa area della Baviera, come i nostri scoprirono al suo interno dal gigantesco corredo fotografico e documentario presente. Ma la cosa più interessante non saranno le testimonianze del passato, le file di letti di legno nelle baracche, i grandi cortili, il ruscello che ne scorre su un lato e tutto quanto l’ osservabile; a stupire i nostri cicloturisti italici saranno le numerose scolaresche che dalle più svariate contrade tedesche vengono nel campo di concentramento di Dachau e continuano a fare i conti con la loro storia. E così, dopo aver visitato un parte di simile complesso, se ne tornarono alle bici, lasciando l’area mentre un brusìo di voci giovanili pure rallegrava di vita l’area di ingresso.
Innumerevoli avventure sulla via per Augusta, quasi tutta ciclabile, mercoledì 19 luglio. Cominciarono a fare conoscenza con il paesaggio di questo angolo di Baviera: grano ancora da mietere, mais, patate. Si persero quindi regolarmente, e metodicamente chiesero informazioni.
Nel pomeriggio entrarono in quella che parve loro una grande città. I prezzi nel centro storico piuttosto elevati, fino a 130 euro per una doppia. Il buon fiuto del capitano Andrea li spinse davanti ad un ostello con letto a 20 euro. In camerata li accolse Stefan, un giovanotto di 30 anni che, come raccontò loro, aveva litigato con la ragazza e si era dovuto rifugiare in Hostel. Lo sentirono sghignazzare immaginando una loro presunta omosessualità ma lo lasciarono cuocere nel suo brodo, visto che aveva bel poco da gioire nella sua condizione. Invece Hannah, 17 enne olandese, suscitò una certa attenzione, tanto è che per la serata la invitarono a mangiare insieme. Seduti in uno dei tanti ristoranti all’aperto del centro di Augusta, i due italici rimasero basiti dalle capacità della fiamminga. Si era messa in viaggio dall’Olanda con la bici per raggiungere la Slovenia. Il caso aveva voluto che si fosse fermata lì per un guasto meccanico al suo mezzo di locomozione. La conversazione si sviluppò frammentaria intorno al magro ed avventuroso inglese dei nostri cosmonauti, con risultati spesso divertenti. Quando li salutò e se ne tornò in ostello a preparare il suo viaggio per l’indomani, i due non poterono che prendere atto che l’innocenza e la sicurezza di quella ragazza, vagabonda organizzata per l’Europa, sarebbero state inconoscibili da loro almeno per le prossime tre vite.
Percorsero il centro di Augusta e ne spulciarono la storia da un opuscolo preso in ostello. Una delle più antiche città tedesche insieme a Treviri, Augusta è certamente nota per la Pace del 1555, per aver dato i natali a Bertolt Brecht e alla famiglia di banchieri Fugger. Distrutta nella Seconda Guerra e completamente ricostruita. Il professore non poté che rammaricarsi per il poco tempo a disposizione. La notte in ostello scorse tranquilla.
Al mattino, giovedì 20 luglio, il giovane Stefan li salutò per recarsi al lavoro, sempre con quel suo sorrisetto allusivo. All’esterno della struttura videro spuntare Hannah, in procinto di rimettersi in viaggio: piccola, bionda, occhi azzurri, ma di un azzurro più variegato rispetto alle tonalità germaniche, con la bicicletta carica.
Le augurarono un felice proseguimento dell’avventura. Il suo sorriso sembrò una speranza per loro e forse per le migliaia di cicloturisti in viaggio nel mondo creato. L’uscita da Augusta, senza una cartina, risultò incerta, almeno inizialmente, però, dopo aver chiesto la strada diverse volte, i due imboccarono Ulmstrasse, cominciando ad intuire che i tedeschi nominano le vie secondo la loro destinazione. Come i Romani. Quella mattina, seduti in una bakery per la colazione, si erano stupiti nell’osservare la quantità di tedeschi che usano la bici per recarsi al lavoro o per farsi una vacanza. In particolare una coppia , certo prossima ai settant’anni, raccontò loro di essersi messa in viaggio per fare la Romantic Strasse, tra Baviera e Baden Wurttemberg.
Il velocipede da essi utilizzato era piuttosto originale: una bici allungata dove lui si sedette dietro, e lei si accomodò su un seggiolino allungando i piedi in avanti per arrivare ai pedali. Ma forse una delle rare foto del capitano può raccontare meglio simile apparizione.
I due procedettero senza intoppi mentre il cielo cominciava ad annuvolarsi. Piovigginava quando si concessero un gelato, mediocre per la verità e troppo freddo. Qui, avrebbero potuto tagliare dritto e sarebbero arrivati l’indomani a Donauworth sul Danubio, ma preferirono seguire il programma di viaggio e continuare a deviare a nord ovest. A dieci chilometri da Ulm, il capitano si esibì in una prenotazione via smart: Hotel Ibis a 70 euro, sotto lo sguardo affascinato del suo compagno. Per il resto del viaggio la sua connessione alla rete sarebbe stata caratterizzata da una spiccata intermittenza, quella del professore inesistente. Poco dopo incrociarono il Danubio per la prima volta, lento e già promettente.
Sistemati in hotel si cambiarono per godersi la città. Naturalmente anche qui un pauroso bombardamento ha ridisegnato i suoi contorni: della casa di Einstein non rimane niente, eppure è rimasto il segno di una palla di cannone durante la battaglia che segnò la vittoria di Napoleone, vittoria che gli spalancò la strada per Vienna. Entrarono nel Duomo gotico, bello, imponente, con un campanile vertiginosamente lanciato verso l’alto. Allora se lo figurarono il vescovo di Ulm che nel sermone domenicale tuonò contro il sarto Bertlinger e il suo folle volo, per ricordare ai fedeli, che mai e poi mai l’uomo volerà. Chissà che non lo abbiano visto, dal paradiso, il sarto e il vescovo, il folle volo di Felix Baumgartner?
Ad Ulm impazzava una grande festa per tutto il fine settimana: musica jazz, big band, discoteca all’aperto. Vagabondarono lungo il Danubio al crepuscolo pieno di giovani. Alfine decisero di sistemarsi in una piazzetta davanti al Museo dove un’orchestrina si preparava per la sua performance. Cenarono con wurstel, frittelle di pesce e birra mentre la cantante eseguiva brani della tradizione pop e jazz, con sassofonista, pianista, contrabbassista e batterista. Un signore dello stand di cucina, un pugliese, scoperta la loro italianità, li avvolse con brani di Lucio Dalla durante l’intervallo dell’orchestra. – Capitano, dobbiamo fare il punto della situazione – esordì il professore cercando di conservare la necessaria lucidità dopo diverse pinte di birra, – il viaggio si sta dimostrando stancante, procediamo lentamente, sia per il carico che per la mancanza di una cartina dettagliata ( in verità avrebbero potuto acquistarne una proprio ad Ulm ). Visto che domattina abbiamo deciso di rimanere in città, perché non fare un tratto di viaggio in treno fino a Ratisbona e da lì scendere poi in bici a Passavia?
-Assolutamente no – fu la prima secca risposta del Capitano, – tu vai, se vuoi, io continuo in bici.
Il mattino seguente, venerdì 21 luglio, furono visti entrare nella stazione ferroviaria di Ulm e fare la fila per due biglietti per Ratisbona, bici al seguito. Erano intervenuti dei cambiamenti. Il primo a fine serata, quando, anticipato da bagliori in lontananza, un temporale era esploso costringendo tutti ad una precipitosa fuga. I due avevano raggiunto con passo veloce una gelateria italiana per una pausa a base di dolci e caffè americano. Per fortuna il vento che accompagnava la pioggia concesse corridoi semiasciutti fino all’hotel. All’entrata con la scheda magnetica, un giovane vagabondo si intrufolò nella hall deserta per rinchiudersi subito dopo dentro il bagno di servizio. I nostri raggiunsero la loro camera e si prepararono per dormire. Le loro notti? Il capitano dorme con i tappi, il professore senza. Russano a ritmo alternato, come due pistoni di una stessa macchina. L’intensità dipende dalla stanchezza, dalle libagioni serali e dalla quantità di alcol.
Al risveglio, le dosi eccessive di birra e un sonno frammentario, indussero il capitano a più miti consigli sul da farsi. Raggiunsero infatti la vicina stazione e presero il biglietto per Ratisbona. Gironzolarono poi intorno al Duomo e acquistarono della frutta. La loro attenzione venne catturata da quattro cantori che si esibivano in strada. Dai loro volti e dai suoni vocali, intuirono ben presto che si trattava di russi. E così, come in un fermo scena, quei cori dall’antica tradizione, quei suoni mescolati con il brusìo della gente, tedeschi, italiani, arabi, turchi, diedero ai due il senso del tempo che passa, dell’arte che unisce, di una tragedia ormai lontana. O fu solo il residuo alcolico? Un euro per i cantori. Tornarono in hotel per una nuova partenza. Il tempo era decisamente migliorato dopo il temporale notturno, il sole aveva fatto capolino a intiepidire un’aria piuttosto fresca.
Verso mezzogiorno uscirono dall’hotel Ibis con le due bici, Lee Cougan e Mammut (la Bianchi Kuma del Capitano) ma si fermarono subito accasciandosi su una panchina non lontana. Andrea somatizzava disturbi vari, imputabili, a suo dire, all’eccesso di wurstel e birre, il professore si limitava a riflettere su questa parentesi per lui dichiaratamente ansiogena. Il vagabondo della sera prima si avvicinò per una sigaretta, clienti con trolley uscivano dall’hotel, lavori in corso sulla strada. Furono presi da un senso di estraneità, un malessere, e se ne rimasero così impaludati fino a che le note della chitarra di Clapton (solo un lampo, la visione di una scritta rossa sul muretto, Clapton is God, sulla strada che saliva per Leonessa, tempo fa) provenienti da un locale limitrofo, diedero il la per raggiungere la stazione. Si accomodarono in uno degli scompartimenti del treno per Regensburg, sistemarono le bici nello stesso e attesero la partenza. Il professore avrebbe annotato più tardi nel suo diario di bordo: ” Il treno è arrivato a Donauworth.
Oggi, 21 luglio, corre a 140 km orari. A tratti costeggia il Danubio, poi lo perdiamo. Incrociamo boschi e campi regolari, mais e grano a perdita d’occhio e veniamo colpiti da una nuova forma di coltivazione, alta, rampicante: il luppolo. Il cielo è sereno ma le nuvole si ricompattano laggiù all’orizzonte. Nel nostro scompartimento è apparso Jean Luc, un sessantino di Les Main in giro per l’Europa. La sua bici tecnologica cattura la nostra attenzione: intanto è pieghevole, e così, con la sacca, può salire anche su un super veloce, o sull’aereo, e tornarsene in Francia visto che sua madre è anziana, come ci racconta durante il viaggio; poi ha il manubrio allungato in forma semicircolare; infine è provvista di una dinamo. Una comitiva di ciclisti tedeschi piuttosto attempati entra nel nostro scompartimento trasformandolo in un deposito di bici accatastate una a ridosso dell’altra. Ma ce la faremo a scenderle tutte a Ratisbona? Sciocco. Come vedi i tedeschi sono scesi ad Ingolstadt ed anche Jean Luc ci saluta con una generosa stretta di mano. Aspettiamo il nostro turno mentre il riposo in treno ci dona nuove energie per riprendere, almeno per qualche ora, il viaggio.
Anversa, venerdì 21 luglio. Quartier Generale dei Savi della Bici. Grote Markt, 7.
Signori, per concludere la nostra mattinata di lavori, devo informarvi che i due cicloturisti svizzeri dati per dispersi in Portogallo, sono stati individuati. Si trovano all’interno di un hotel in un piccolo paesino dell’Algarve, dove stanno smaltendo le fatiche di questi giorni. Invece per i due italiani in Baviera, accolgo le istanze di soccorso presentate dal signor Enrico Tucci. Conosciamo da anni le loro funamboliche imprese. Vi ricordo che nella Milano Teramo il loro comportamento fu encomiabile, se si escludono alcuni attriti tra i due. L’inverno scorso abbiamo anche concesso il placet per il viaggio invernale a Sud. E non credo che abbiamo avuto di pentircene. La loro condizione attuale invece necessita di un preciso intervento. Per cui, d’intesa con il rappresentante inglese, il Signor Frampton, ho deciso di inviare loro un valido supporto che li sostenga fino a Vienna. Naturalmente mi rimetto alla votazione di questa assemblea. E al vostro buon senso – . Tutte le luci degli scranni si accesero in un fiat mentre cominciava un brusìo di consultazioni tra i sette membri della Convenzione. Dopo alcuni minuti Van de Routen riprese a parlare. – Signori, adesso vi prego di spegnere le lampade e di esprimere il vostro parere – . Una paurosa oscurità sopraggiunse nella sala dall’anima inclinata. La prima luce fu quella di Tucci, un quarantino della Garfagnana da anni impegnato politicamente per la realizzazione del suo sogno: la costruzione di una ciclabile nella sua regione, La strada del brigante. Gli fecero seguito le luci di Inghilterra, Iberia, Fiandre. Le lampade di Francia e Germania rimasero spente, come pure quella dell’Ungheria. ( in rappresentanza dell’Est Europa).
Bene, signori, la maggioranza ha deciso per un intervento. Brevemente. Secondo i miei calcoli, ho previsto che il nostro uomo incrocerà i due italici nella località di Worth on Danau stasera stessa. Trattasi, come avete intuito, di un britannico di Manchester, un ottico in pensione, eccellente nuotatore, il quale ha deciso di mettersi in viaggio dal suolo inglese fino alla lontana Slovacchia dove troverà un suo carissimo amico ad attenderlo. Una persona dalle indubbie capacità di orientamento, fornito del necessario supporto tecnologico. È l’uomo per noi. Il suo nome è Ian Wallwork. Signori, un sereno rientro. Appuntamento a venerdì 28 luglio – . I Savi si alzarono dai loro scranni, con lunghe tuniche bianche e sandali, e raggiunsero la piazza antistante, un tempo sede del mercato di Anversa. Enrico Tucci si avvicinò al francese e al tedesco che intanto discutevano animatamente con il rappresentante ungherese. – Signor Berhinger, Signor Levì, Signor Petofi, e che scherzi son questi? È questo il modo di trattare due poveri cristiani? Suvvia, generosità ci vuole. Altrimenti sapete che fo. Proprio ieri son passati due cicloturisti tedeschi da me in Garfagnana. E abbiate pazienza. Mica volete che li faccia scorticare e bollire vivi dai briganti? Ce ne ho, sapete. Li pago. E loro spuntano fuori, da qualche boschetto, e quelli cattivi, se li mangiano.
I tre lo guardarono con aria schifata anche perché l’inglese di Tucci, infarcito di gesti ed ammiccamenti e complicato da una gorgia significativa, dovette risultare piuttosto incomprensibile al terzetto che si allontanò come se l’italico fosse portatore di lebbra.
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