Atto secondo
Il treno arrivò a Ratisbona verso le cinque del pomeriggio di quel venerdì 21 luglio. Scesero nel bagno della stazione e si cambiarono. Uscirono quindi dal retro della stessa e di lì a poco entrarono nella cittadina sul Danubio.
Si concessero una pausa con strudel e caffè su uno dei tavolinetti all’aperto di una Bakery. Procedendo poi a piedi tra le stradine del centro videro poco lontano le guglie del Duomo e si diressero in quella direzione. Appena giunti in un ingresso laterale vennero apostrofati in italiano da un ragazzo, capelli mossi, occhi azzurri, che se ne stava seduto sui gradini della chiesa. Dalla conversazione che ne seguì appresero che Remo era in Germania da tre anni , che lavorava nella ristorazione e che stava studiando per un diploma che in Italia non aveva conseguito. Al suo fianco, completamente persa nel suo smart, una rubiconda ragazza bruna venne presentata loro come la sua fidanzata. Entrarono nel duomo di Ratisbona ed ebbero la sensazione di penetrare in un mistero. Al professor Lino sembrò una meraviglia di gotico, con una luce ancora più tenue rispetto a quello di Ulm; si potrebbe non uscirne più, catturati da questo infinito silenzio, pensava l’italico infastidito dalla luce esterna.
Uscirono così da Regensburg dopo aver salutato Remo che li guardò con due occhioni azzurri carichi di nostalgia, fermo sui gradini della chiesa, mentre la ragazza tedesca alzò appena lo sguardo per ripiombare poi nel suo delirio telefonico. Naturalmente, ricominciò ben presto il gioco della perdizione continua. Quando poi sembravano aver imboccato la direzione giusta verso Passau, si avvidero che i paesi che attraversavano erano piuttosto piccoli e semideserti. Verso le sette si fermarono a chiedere informazioni. Una giovane coppia tedesca, lei bruna, lui biondino, accese il tablet per aiutarli. Dopo alcuni minuti spuntò fuori un Gasthof Butz a 17 chilometri sul Danubio che la moglie corse dentro a prenotare per 90 euro. Località Worth on Danau. Dal diario del professore: ” Sfrecciamo come due aironi, lasciamo la strada principale, viriamo a sinistra. Dopo circa mezz’ora capiamo che il Danubio è vicino. Ci fermiamo, lasciamo le bici per terra e, come due ragazzini saliamo lenti lungo l’alzaia, passo dopo passo, chiudo gli occhi: il fiume scorre davanti a noi, lento, ingrossato, mentre tanti uccelli si muovono in alto. Lo attraversiamo felici e approdiamo a Worth on Danau e da lì al nostro Gasthof. L’albergo è rustico, accogliente, dormiamo in stanze separate, finalmente solo. Dopo una doccia ci dirigiamo verso una vicina pizzeria, dove consumiamo una vegetariana e una bianca al tonno, niente male. Mentre sorseggiamo due Averna, il capitano mi racconta di essersi messo a parlare con un inglese di Manchester, diretto in bici fino alla Slovacchia.
L’indomani, a colazione, sabato 22 luglio,faccio la sua conoscenza: si chiama Ian, sessantino, occhi blu indefinibili. Gli proponiamo di continuare il viaggio insieme. Sarà la nostra salvezza e la mia croce per i prossimi tre giorni. Ci prepariamo per la partenza, paghiamo il conto al Gasthof, e iniziamo a pedalare, stavolta in tre. L’equipaggiamento dell’inglese è molto sobrio ma efficace: due borse laterali gialle, impermeabili, un cupolino sul davanti con navigatore, una cinghia per chiudere il suo mezzo, una bici da corsa con parafanghi e ruote piene. Ben presto mi rendo conto del prezzo da pagare. Oggi è stata lunga da Worth on Danau fino a Passavia, circa cento chilometri alla media di 25 orari. L’inglese, che intanto si mostra loquace nell’andare, possiede un fisico da nuotatore e due pistoni al posto delle gambe. Arranco a quella andatura ma non li mollo, saranno il mio stimolo visivo, Andrea e Ian, un punto rosso ed uno nero davanti a me.
Siamo arrivati a Passau con un tempo piovoso, il viaggio mi è sembrato un insieme di fotogrammi di un film impazzito: Danubio ciclabile strada pausa ciclabile strada Danubio cicloturisti. Qui troviamo un hotel grazie al suo smart. Più tardi, sistemati all’aperto per una cena a base di maiale e birra ci godiamo il fresco della serata. Eccomi di nuovo a Passau, quanti anni sono passati? Forse era il 2005 quando vi giunsi con il mio gruppo di musica popolare. Ci eravamo uniti per un gemellaggio tra il paese di Scurcola Marsicana e Passavia visto che Giulio,il sassofonista, era originario del piccolo paese abruzzese. Mi ricordo le cazziate di Max Scatena, Direttore d’orchestra, e il suo mal di denti che lo rese in quell’occasione particolarmente fastidioso. Che Dio lo illumini per il proseguo dei suoi giorni. Ricordo le birre a profusione ma la giornata più avvincente fu sicuramente quella trascorsa in un piccolo villino proprio nei pressi del fiume Inn, ospiti, noi musici, di una simpatica famiglia tedesca. Ad una certa ora, dopo aver suonato, bevuto e mangiato a volontà durante tutto il giorno, ci buttammo nel fiume, meravigliosa sensazione di benessere che rivivo tra queste pagine. Mi addormento come un bambino, cullato dalla stanchezza e dall’acqua che sferza il vetro della finestra.
Domenica mattina, 23 luglio. Piove. Fantastico. Ci prepariamo ad affrontare una giornata difficile. Usciamo da Passavia e poco oltre assistiamo ad una nuova trasformazione del Danubio, quando riceve le acque di due fiumi, Inn e Ilz, e si allarga a dismisura. Il tutto condito dalla pioggia a tratti battente, eccolo davanti ai nostri occhi, Donau che si fa grande per l’imperiale Vienna che lo attende.
Appena il tempo di una foto che Ian riprende il suo ritmo, mi attardo solo per poco e i due scompaiono alla vista. Niente paura, è partita la tratta ciclabile per eccellenza, carovane di pellegrini che come pinguini con enormi impermeabili sfidano le intemperie. Pedalo in solitaria per circa mezz’ora in preda a lancinanti dubbi certo ingigantiti dalle birre e dalla stanchezza. Quando me li rivedo, fermi ad attendermi, lo sguardo dell’Inglese è perentorio: o mi segui o mi perdi. Fu così che dimenticai tutto e mi concentrai sulla pedalata. Rivivo quella giornata come un sogno, bagnato come una foca monaca, che tiro fuori tutta la carica per stare dietro a questi due muli. Ho benedetto le tre pause della giornata come un’ancora in mezzo all’oceano per un naufrago in balia delle onde e che pure sa che la pausa è a tempo definito e che poi dovrà necessariamente riprendere a nuotare. Per mia fortuna abbiamo dovuto attraversare il fiume ben due volte a bordo di un piccolo traghetto.
Entriamo in Austria, superiamo Linz, industrie sul Danubio, campanili in lontananza. Intorno alle cinque, bagnati fradici, approdiamo a Mauthausen e si spalancano le porte delle felicità dentro una Gasthaus posta proprio davanti al fiume. Due sorelle si occupano di noi. La bruna ci ha pure lavato i panni. La bionda ci serve birre con disinvolta pressione. Abbiamo cenato presto, intorno alle sette, con zuppa di garlic, wurstel e patate, strudel e caffè americano. Lucy, la figlia di Ian, ci saluta dalla Georgia di Stalin dove si trova per lavoro. Cantiamo pure una canzoncina per la moglie, Valéry, che ci ascolta da Manchester. L’inglese parla tanto, io lo reggo per poco, poi lo lascio al Capitano che devo confessare, sta rispolverando un British di base che raggiunge il suo scopo, anche perché Ian comunica pure lui con gesti ed espressioni, sembra più uno scozzese che un inglese. Abbiamo trovato, parlando di musica, la stessa passione per gli Stealy Dan di Donald Fagen. Evviva. Il capitano racconta di quando andammo al Parco della Musica a vederli. Scopriamo pure che gli Smiths erano un gruppo di Manchester. Poco dopo Andrea sfumacchia il suo Moods sul bancone mentre Ian imperversa con il tablet proponendoci ascolti musicali. Il momento è delizioso, dopo 120 km di navigazione con mare in burrasca.
Propongo giochi di società, mentre le birre invitano al sonno nella camera che stanotte ci vedrà dormire in tre. Più tardi, Ian e il capitano decidono di fare una sortita in centro. Declino l’invito anche perché sento il vento che alterna schiarite a scrosci di pioggia. Mi metto a scrivere sul mio letto, a leggere un depliant su questa cittadina e sul campo di concentramento che domani non vedrò nonostante l’avessi messo in scaletta. Questa pausa al Gasthof è una tregua dagli affanni di un viaggio bello ma stressante. Andrea, di ritorno dalla breve passeggiata, mi racconta dell’arcobaleno e di una ripida collina sopra la città con frammenti di sole al tramonto. Buonanotte!”
Ripartirono di buon’ora quel lunedì 24 luglio dopo aver riordinato i loro panni asciutti nelle borse. Il tempo andava migliorando. Pedalarono bene quella mattina e fecero sosta a Melk, nota per la sua Abbazia e per la grande biblioteca al suo interno, la stessa frequentata da Adso nel Romanzo di Umberto Eco. Folate di vento e scrosci di pioggia accompagnarono il loro procedere nella regione della Wachau, 50 km di territorio colorato da castelli e vigneti. Giunsero così a Spitz e trovarono alloggio presso l’Hotel Weinhouse. Dopo la doccia si sedettero fuori a consumare la birra dell’arrivo, il sole era ancora caldo ma spesso oscurato da nuvole ventose. Per la cena decisero di salire in un ristorante poco lontano.Il paesaggio era mutato intorno a loro, più collinare, con vigneti a perdita d’occhio. Si sedettero all’aperto ma l’aria risultò già fresca sul far della sera. Il capitano prese infatti dei plaid che trovò vicino l’ingresso. Il tagliere di salumi con cetriolo, peperoncino e salse piccanti risultò gustoso e pure il vino bianco Riesling che li distolse per un po’ dalla birra. Rientrarono in hotel e si attardarono ancora nel bar per un caffè e qualche dolcetto. Se ne andarono poi a dormire con la consapevolezza che domani, soltanto 100 km, e sarebbero entrati a Vienna.
La giornata seguente, martedì 25 luglio, fu accompagnata da un vento molesto in un contesto altrimenti soleggiato. Ebbero quindi lentamente la sensazione di avvicinamento alla capitale: dapprima un grattacielo, poi la torre della telefonia mobile. Procedevano sul lato sinistro del fiume mentre il Danubio era ormai un universo in movimento, da semplice corso d’acqua quando i due italici lo avevano intercettato nei pressi di Ulm, ad una creatura famelica che tutto travolge.
Al primo ponte realizzarono che stavano ciclando dentro la città. Sarà stato un regalo per loro, oppure un semplice errore di calcolo nella prenotazione dell’inglese, fatto sta che attraversarono tutta Vienna per giungere in Hotel, situato nei pressi della reggia di Schönbrunn. Un hotel per turisti, enorme, anonimo. Trascorsero invece una gradevole serata nel vicino ristorante serbo dove Goran servì loro una grigliata pantagruelica con patate e insalata e un discreto numero di birre con somministrazione finale della grappa serba, la Sljivovica Monastikka. Barcollanti per la stanchezza e per il tasso etilico si concessero quindi il sonno dei giusti.
Al mattino, mercoledì 26 luglio, il capitano confessò al professore che la sua prima impressione, nell’arrivare a Vienna, era stata quella di incontrare una donna troppo bella e di aver provato ansia come risultato della sensazione di inadeguatezza al suo cospetto. Bella e difficile comunque si mostrò loro la capitale durante la prima e unica giornata di autentico turismo urbano del loro viaggio. Presero la metro dunque quella mattina e raggiunsero la stazione in cerca di un treno per l’Italia. La signorina della biglietteria disse loro che non vi erano posti fino a Domenica. Andrea cominciò a fibrillare perdendo un po’ il senso della realtà tanto che, in un conato ansioso, giunse a proporre al suo compagno di rimanere a Vienna fino a Domenica. In quel difficile frangente intervenne Ian, il salvatore, che con una serie di clik dal suo smart prenotò loro due posti con bici sul Flix Bus diretto ad Innsbruck per l’indomani, giovedì 27 luglio.
Ancora dal diario del professore: “Consumiamo strudel e caffè in centro. Ian mangia un goulash con tutta tranquillità. Noi siamo piuttosto ansiosi. Il capitano prevede esodi biblici lassù verso la frontiera italiana e così comincia ad armeggiare intorno al suo cellulare cercando connessioni misteriose. Sarà nuovamente l’inglese a sedare le nostre oscure ansie con un’altra prenotazione, Hotel Zillertal, a due passi dalla stazione di Innsbruck. Ci riserviamo, io e Andrea, di apportare qualche miglioria alla nostra strumentazione in vista di futuri viaggi d’oltralpe. Ian è sempre tranquillo. Si muove con la leggerezza di un arcangelo. È partito da Manchester con la moglie Valéry che gli ha esposto tante bandierine inglesi dalla finestra per augurargli buona fortuna. Sarà stato un segno del destino che ci saremmo incrociati a Worth on Danau? Oppure ce lo hanno mandato in soccorso da Anversa, come sostiene il capitano continuando a giocare con questa mia trovata fantastica. Ian trova la strada giusta con l’intelligenza della tecnologia e il fiuto di un animale. Questo aspetto ferino lo lega a quella Scozia di cui è innamorato. Infatti si esprime un po’ come un highlander. I suoi occhi sono di un blu inclassificabile, barba e capelli bianchi, volto scavato, una vena di follia travestita da atleta. Ma torniamo a Vienna. Il Duomo è naturalmente cattolico, come gli Absburgo, ma troppo pieno nel suo essere ricostruito. Invece la chiesa gotica più avanti è molto bella anche se il duomo di Ratisbona supera tutti nella mia idea crepuscolare del sacro.
I giardini di Freud sono il preludio alla casa museo di Berggasse al numero 19. Entriamo nei luoghi del professor Freud con l’ausilio di un’audio guida. L’anticamera dove i suoi pazienti aspettavano di essere ricevuti, il suo studio, i cimeli, qualche mobile e tante foto. In verità Freud nel 1938 portò via tutto. Chissà attraverso quali vie riuscì ad eludere il controllo nazista? Scopro che il museo è stato istituito solo negli anni ’70 attraverso la pressione del governo americano su quello austriaco. Cerco tra le foto il volto di un giovane Reich, ma le immagini da poter vedere sono tante e poi la stanchezza non ci permette la giusta concentrazione. Mi accontento di gustare qua e là. In alcune foto spuntano fuori i suoi allievi Adler, Ferenczy, Jung, e poi Anna Freud, Il carteggio con Einstein, l’annuncio della sua morte da un giornale francese del 25 settembre del 1939. Freud, il borghese, adesso è all’Inferno dove cura tutti, mi viene da pensare, mentre Reich si è dissolto in un orgone vagante per lo spazio. Usciamo fuori dalla casa museo piuttosto turbati da simile complessità. Camminiamo.
Alla prima occasione prendiamo un tram e siamo di nuovo in centro. Intanto sono le cinque di una calda giornata. Decidiamo che non possiamo fare altro che tornarcene in hotel e rivederci per la cena. Accendiamo la tv in camera e ci guardiamo un po’ di Rai Tre, così, per ricominciare a pensare all’Italia. Il telegiornale delle sette con la cronaca è così allucinante nel ricordarci le nostre disgrazie che ci dirigiamo subito sulla nostra amata Radio tre. Sotto l’Hotel, abbiamo l’accortezza di andare a vedere le nostre bici, sistemate nel retro, e di prendere accordi con la direzione per l’indomani visto che Ian partirà all’alba per Bratislava e noi poco più tardi. Ceniamo in una specie di cantina, popolata da alcolisti e faccendieri dove consumiamo birra e goulash. Mentre ci incamminiamo verso l’albergo, ripassiamo davanti al ristorante serbo. – Ehi, Ian, un ultimo cicchetto? – gli faccio io mentre lui fa segno di no con la testa. È solo un attimo. Si gira, sorride e torniamo indietro. Il buon Goran ci accoglie con un sorriso e ci serve tre grappe mentre chiacchera con noi mescolando un efficace inglese con qualche intermezzo italiano.La nostra avventura insieme volge al termine. In hotel lo abbracciamo ringraziandolo per la sua paterna presenza e assicurandogli un ricordo imperituro nei nostri cuori ( e anche tra queste brutte righe ). Nei giorni seguenti la sua fama avrebbe continuato ad aleggiare attraverso l’ Europe Trip, il gruppo su WhatsApp, dove familiari e amici lo sostenevano nel suo meraviglioso vagabondaggio. Lode a Ian Wallwork. E lode a tutti i cicloturisti del mondo!
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