Come prepararsi all’arrivo del bike sharing a flusso libero: le scelte di Londra

27 Settembre 2017

Le città italiane devono prepararsi all’arrivo del bike sharing a flusso libero, un servizio utile ma che va gestito con attenzione. Ecco come Londra ha scelto di regolamentare questo fenomeno. 

tfl code practice bike sharing

A Londra il bike sharing a flusso libero è arrivato già da diversi mesi. Anche qui, come in molte altre città europee, non tutto è andato liscio. Per sfruttare le possibilità offerte da questi servizi, minimizzando i problemi, Londra ha deciso di regolamentare con precisione il settore.

Sono tre i punti più interessanti che emergono dalla lettura del Code of Practice emanato da TFL:

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  • le aziende del bike sharing a flusso libero devono presentare un piano operativo preciso prima di iniziare la loro attività
  • devono essere in grado di gestire i flussi, rimuovendo rapidamente eventuali bici in eccesso
  • devono condividere con le autorità i dati sugli spostamenti dei ciclisti, in forma anonima

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Il Code of Practice londinese

Il Code of Practice appena pubblicato da Transport For London (TFL, l’agenzia per la mobilità della città) parte da un assunto importante: Londra vuole che più cittadini si spostino a piedi o in bici, e il bike sharing a flusso libero è uno strumento utile a questo scopo. Questo servizio deve però essere gestito in modo da garantire la sicurezza e la libera circolazione di tutti. Deve anche essere ben coordinato con gli altri servizi di trasporto pubblico della città.

Prima di lanciare un servizio di bike sharing a flusso libero, gli operatori devono avviare un dialogo con TFL e con le altre amministrazioni locali responsabili della gestione delle strade coinvolte nel servizio. Si deve arrivare a un piano dettagliato relativo alla zona di operazione, alle modalità di parcheggio e alla gestione dei flussi. Gli operatori devono inoltre sforzarsi di dialogare con i cittadini, specialmente con i rappresentanti di categorie in difficoltà, come i portatori di handicap.

L’introduzione del servizio deve essere fatta in modo graduale, iniziando con un periodo di prova e con un numero limitato di bici.

Gli operatori devono essere pronti a interrompere immediatamente il servizio e rimuovere tutte le bici in caso di richiesta da parte delle autorità.

Le bici devono soddisfare gli standard di sicurezza (ISO 4210:2014), e devono essere revisionate completamente almeno una volta l’anno. Controlli e riparazioni devono essere previsti con regolarità. Ci devono essere procedure chiare da seguire per segnalare bici difettose: queste devono essere rese indisponibili al servizio.

Gli operatori sono responsabili per l’uso delle loro bici. Se le bici vengono lasciate in un luogo inadatto, dove possono causare pericoli o ostruire la circolazione di altri mezzi, gli operatori devono rimuoverle entro due ore (tempo calcolato a partire da quando hanno ricevuto notifica del problema).

Gli operatori devono dotarsi di tecnologie che evitino il parcheggio della bici in alcune zone (geo-fencing).

Gli operatori devono essere in grado di spostare rapidamente le bici in caso di accumulo in alcune zone (come può accadere negli orari di punta) e comunque in caso di richiesta da parte delle autorità.

La comunicazione con il pubblico da parte degli operatori deve essere chiara e precisa; è necessario anche fornire informazioni sul corretto uso delle bici, e su come pedalare in sicurezza fra le strade della città.

I dati relativi ai flussi di spostamento dei ciclisti devono essere condivisi – in forma anonima – con le autorità.

Gli utilizzatori fra i 14 e i 18 anni devono essere accompagnati da un adulto. Sotto questa fascia di età l’uso del bike sharing a flusso libero è proibito.

Non meno importante il fatto che questi operatori devono corrispondere ai loro lavoratori uno stipendio che sia perlomeno pari al London Living Wage (una sorta di salario minimo specifico per Londra).

Per leggere nel dettaglio il regolamento emanato da TFL cliccate qui (pdf).

Che cos’è il bike sharing a flusso libero

Conosciamo tutti il bike sharing tradizionale: lungo le strade ci sono degli stalli presso i quali ritirare e riconsegnare la bici condivisa. Il bike sharing a flusso libero fa a meno di questi stalli: le bici possono essere lasciate dovunque si voglia. Per trovare una bici è sufficiente usare un’app: una mappa mostrerà la posizione della bici più vicina.

Nextbike bike sharing

Basta una card o un’app per sbloccare la bici

Un sistema di questo tipo ha molti vantaggi. Non dover costruire gli stalli rende molto meno costoso avviare un servizio di bike sharing. La comodità di coprire in bici l’intero percorso è innegabile: non è più necessario cercare uno stallo libero, magari a parecchie centinaia di metri dalla propria destinazione. Se c’è un numero sufficiente di bici in città trovarne una libera e vicina non è mai un problema. Tuttavia, è necessario regolamentare bene il servizio.

I problemi del “free floating”

Il problema principale di questo tipo di bike sharing è il parcheggio delle bici. Le foto di città cinesi letteralmente inondate dalle bici lasciate sui marciapiedi hanno fatto il giro del mondo. Permangono molti dubbi anche riguardo alla gestione dei flussi negli orari di punta, quando le bici tendono ad accumularsi in alcune zone della città. Per non parlare dei problemi di privacy delle app, o della gestione dei big data relativi agli spostamenti degli utilizzatori.

Ciò che spesso manca al free floating inoltre è la piena integrazione con gli altri servizi di trasporto pubblico locale dal punto di vista ad esempio della tariffazione, delle informazioni condivise, della pianificazione; se tutto questo manca, ci si allontana dal concetto di Mobility as a Service (MAAS) che sarebbe invece utile perseguire.

bike sharing cina

I problemi sono stati esasperati dalla spietata concorrenza fra operatori cinesi. Per accaparrarsi velocemente grandi quote di mercato, queste aziende non hanno esitato a entrare nel mercato europeo senza alcun accordo con le amministrazioni locali. In molti casi hanno scelto di distribuire rapidamente centinaia o migliaia di bici in città. Per fare un esempio, la città di Amsterdam si è trovata, paradossalmente, a dover bandire queste bici dal suo territorio, dove già i parcheggi per bici scarseggiavano a causa dell’enorme domanda. Londra ha deciso di regolamentare il fenomeno.

Ora tocca alle città italiane: milanesi e fiorentini hanno già fatto la conoscenza di questo servizio. Le altre città farebbero bene ad assumere un atteggiamento attivo, gestendo con attenzione l’arrivo del bike sharing a flusso libero nel loro territorio.

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