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Cambogia in bicicletta (parte 2)

Cambogia in bicicletta (parte 2)

Day 2: vuoi la bicicletta e poi

Martedi’ 1 novembre / Kampong Cham – Snuol / partenza h6:12 – arrivo h16:32 / 135km

h5:30 in piedi, oggi non posso rimandare la sveglia. La sequenza della preparazione è più fluida, gli automatismi cominciano a funzionare.
h6:15, sui pedali. L’alba sul Mekong è magica, la salita sul ponte di Kampong Chan un po’ meno. Il ginocchio sinistro mi ricorda che si è svegliato anche lui. Ma come diavolo faccio a fare 135 km così? Comincio con la decisione di fare meno soste, e – per oggi – non entrare in ogni tempio che incontro.
Oggi siamo io, la mia bicicletta, la strada e una meta da raggiungere. E’ una sfida da vincere, per capire dove sta il mio limite, anche per i prossimi giorni.
50km in 3h circa, poi viene il bello. Tutto diventa un sali e scendi. Sono salite poco ripide, ma non riesco ad andare a più di 9 all’ora, spingendo solo con il ginocchio destro. Sono discese poco ripide, la bici non prende inerzia e fatico a superare il muro dei 20 orari. E’ incredibile quanti stati d’animo si possano vivere nella stessa giornata. Alla partenza sono carico, le prime ore concentrato, poi affranto.

Come ogni giorno, ho quelle due ore in cui comincio a pensare all’eventuale bus del giorno dopo. Ma non smetto mai di pedalare, il segreto è tutto lì: secondo insegnamento.
E così, passata la terra di mezzo, arriva l’euforia. E’ come se prendessi la scia dell’arrivo: quando sorpasso la metà del tragitto giornaliero mi sento di volare. Non importa se il movimento centrale dei pedali fa le bizze, se per fuggire da un cane mi si infiamma il ginocchio, se buco appena dopo una lunga pausa, con il corpo pieno di zuccheri (due succhi di canna da zucchero per la precisione) che aspettavano di essere bruciati pedalando, e non sudando nel cambio gomma.
No, vado avanti felice, con lo sciame di hello che mi segue e dà forza.

Oggi nelle varie pause ho fatto fuori: 8 bottigliette d’acqua (fa caldo tanto caldo), 4 succhi di canna, 1 coca cola, 1 red bull locale, 1 the’ verde freddo, 3 ciambelle, 3 merendine, 1 riso con carne. E ho fatto lavare la bici 2 volte a bordo strada, per togliere il fango dagli ingranaggi.

Dal -40 al -20km, complice anche una discesa che dà abbrivio, con la Red Bull locale (baccah) in corpo, volo.
Dal -20km all’arrivo mi rilasso, vedo il traguardo, rallento spesso, mi fermo a comprare l’acqua e faccio foto.
Alle h16:35, dopo 10 ore e 20 arrivo, mi fiondo in un hotel per la solita doccia vestito.
I ricordi della giornata sono più confusi e meno precisi di ieri, nella testa mi passano le prime colline, grandi risaie verdissime, pescatori d’acqua dolce e la gentilezza di tutti quelli che mi hanno accolto e rifocillato, mettendomi sempre una sedia all’ombra.

Non esiste paura dello straniero, solo una grande cura per il cicloviaggiatore solitario. Comincio a capire cosa ha di speciale il viaggio in bicicletta: anche rispetto alla moto, permette un approccio umano basato sull’empatia della fatica.
Oggi è tutto poco nitido perché era una sfida con me stesso, una sfida che ero pronto a perdere, e che forse anche per questo ho vinto.
Domani è un altro giorno, stessi km, +1000mt di altitudine. Partenza quindi anticipata, e preoccupazione che c’è. Per tranquillizzarmi (avrò decine di km senza insediamenti abitativi, mi pare dalla mappa) questa sera qui a Snuol ho rinforzato il comparto emergenza con succo di lici e red bull locale più pacco di Oreo.
Ma domani è un altro giorno, domani si vedrà. Oggi sono soddisfatto e felice.

Non c’è rinuncia se il viaggio continua

Mercoledí 2 novembre / Snuol – Sen Monoron / partenza h5:15 – arrivo h12:30 / 70km in bicicletta + 55km in furgoncino + 2h di moto (senza contare i km, ma sempre a tutto gas).

Il giorno è arrivato. La sveglia è puntata alle 5:00, l’obiettivo é essere in sella alle 5:30. Alle 3 ho gli occhi sbarrati, fremo. Alle 4:30 mi alzo. Ho deciso che devo giocarmi tutte le carte, indosso quindi maglia e pantaloncini da ciclista, più che da viaggiatore. Colazione con 4 Oreo e 1 bottiglietta d’acqua, less is more.
Alle 5:15 sono in sella, saluto i custodi assonnati e increduli dell’albergo, accendo le due lucine e pedalo.
Mi sento un misto tra una nave in oceano aperto (con le sole luci di posizione: mi sono dimenticato la pila da testa e fatico a vedere la rotta) e un albero di natale lampeggiante!

Lo smarrimento dura poco, alle sei meno un quarto c’è già luce, mezz’ora dopo il sole, e il caldo. Tanto caldo.
Ma stamattina sento qualcosa dentro: mi sembra di volare. Scopro che i km totali sono 125, e non 135, questo mi mette di buonumore e riesco a tenere i 22km/h di crociera, e i 19 di media. Ho solo un pensiero nella testa: l’arrivo è a 800 metri di quota, ma piu’ i km avanzano, più la mia quota rimane sui 100-120.
Il GPS lo uso per 3 cose, velocità, quota, e distanza in linea d’aria dall’arrivo. Comunque ci sarà una rampa finale, penso, e pedalo.
Quantità di gente incontrata? Poca.

Tengo fede al proposito di fare una pausa circa ogni ora, e così:
– alle 6:20 faccio fuori 2 bottigliette d’acqua e 3 Oreo
– alle 7:30 compro 4 banane (non le mangio), divoro 2 ‘crepes’ lisce e 1 fantastico succo di zucchero di canna: la prima (e unica) droga non si scorda mai.
– alle 9:40 arriva il momento della colazione: 2 bottigliette d’acqua, 1 succo di lici, riso, pollo (buonissimo, croccante e cotto al momento) e uovo.

Appena prima della pausa colazione, succede una cosa strana. Mi fermo in un ristorante, mi siedo, ma mi dicono che la cucina non è ancora aperta, risalgo quindi in sella per tentare quello dopo. Proprio in quelle 3-4 pedalate il ginocchio esplode dal dolore, un colpo secco e acuto. Nelle ripartenze tengo sempre la marcia breve per non forzare la spinta, ma dopo 65 km a ritmo sostenuto ha deciso di farsi sentire all’improvviso.
Per precauzione, chiedo del ghiaccio e colaziono tenendo il ginocchio in fresco. Preoccupato, riparto, e dopo poche centinaia di metri entro in quella che ho ribattezzato ‘no man’s land’. Sono 60 km di strada fino a Sen Monoron, con in mezzo solo un villaggio a 23 km dall’arrivo.

Vuol dire doverne fare 37 in autonomia, ma sono attrezzato, ho con me:
– 2 litri d’acqua
– 33 cl di Baccah
– 33 cl di succo di Lici
– 1 confezione nuova di Oreo
– 6 barrette enervit, proudly bought in decathlon.

Sembra di essere dentro jurassic park. La strada è nuova, in ottime condizioni, di un asfalto scurissimo. Ai bordi, due canali sempre uguali a sé stessi per lo scolo dell’acqua. Oltre i canali, una giungla pazzesca, un muro verde impenetrabile alla luce. In alto, bamboo di 20 metri, e scimmie che saltano da uno all’altro. Tre le vedo, tutte le altre le sento. Sembra che l’umidità invada anche la strada. E come negli studios di San Francisco, la strada è un ottovolante. Rampe pazzesche a salire, discese ripidissime a seguire. Senza soluzione di continuità. Sarà solo per scollinare, penso. Sto cazzo, mi rispondono i km. O meglio, le centinaia di metri che faccio a fatica. Sudo qualsiasi cosa ho in corpo, ma sono carico. Penso a come dosare l’acqua e le provviste fino al paesino a 37 km, calcolando una media di 11 km/h. Salgo con marcia 2:1, non voglio mettere la prima davanti, sarebbe darla vinta alla salita.

Poi, come prima senza alcun preavviso, quasi alla fine di una rampa, è come se qualcuno mi piantasse un chiodo nel ginocchio sinistro ogni pedalata. Nemmeno il tempo di pensarci, sono sceso dalla bici. Continuare con un dolore cosí, magari prendendo un antidolorifico, significherebbe pagarla cara nei prossimi giorni. Continuo a ripetermelo, e mi convinco.
Per me la bicicletta è un mezzo per viaggiare. Non è il fine, il fine è il viaggio. Altrimenti andavo a pedalare in Valtellina, no? Psicologicamente e’ una botta, ma mi metto subito a camminare (terzo insegnamento: la cosa bella della tendinite è che fa male solo pedalando), e provo a ricalcolare i tempi sui 5km/h di media: fino al paesino potrei farcela in 7 ore, vuol dire arrivare alle 17:30, con un filo di luce.

Cambia il mezzo, continua il viaggio. Di tanto in tanto sento arrivare un motorino: rallenta, mi guarda per capire se va tutto bene, io sorrido e lui/lei accelera e va. Poi sento un rumore diverso, è un camioncino. E’ carico all’inverosimile, ma faccio un cenno e si ferma. Non ci metto molto a spiegarmi, indico semplicemente il ginocchio. Il conducente e l’aiutante scendono, e iniziamo a trafficare. Proviamo a metterla dentro, ma non ci sta, il retro è zeppo di salse. Qualsiasi tipo di salsa, bbq, ketchup, soya, chilli etc. Tetto sia allora, anche senza portapacchi. Smonto un pedale per non spaccare la lamiera, e metto del nastro americano sulle parti a contatto. Gli passo la bici sopra, nemmeno il tempo di salire e mi dice che l’ha già fissata con due mie corde.

Nella vita di tutti i giorni, io tengo sempre fede al mio nome: finchè non vedo, non credo. Ma il viaggio serve ad andare oltre i propri limiti, quindi sorrido e mi fido.
Sono sudato fradicio, ma ci stringiamo in due sul posto davanti di fianco al guidatore. Sono davvero imbarazzato dall’umidità del mio corpo. Partiamo.
Cambia il mezzo, continua il viaggio. E’ divertente, e arriviamo a destinazione dopo innumerevoli soste in tutti i negozi sulla strada, cercando di vendergli le nostre salse.

Ho capito che siamo un mercato ambulante di salse. Penso di avergli portato fortuna, mi offrono una baccah. Ricambio con una banana ciascuno. Parlarsi è stato difficile, comunicare facilissimo. Ci salutiamo, ringrazio, e ripartono, senza nemmeno lasciarmi il tempo di offrirgli la benzina. Mentre rimonto la bici a bordo strada un po’ sono triste di non essere arrivato fin lì pedalando. La tristezza passa quando tento la salita del paese, e di nuovo quasi urlo dal dolore. Tu chiedi alla rinuncia come si chiama, ti dirà saggezza, come dice il mio amico Franz.
Trovo un hotel, e subito esco a godermi del tempo inaspettato. Si mette a piovere, mi fermo in un baracchino, e comincio a leggere. Mentre mi immergo nei racconti di Terzani attraverso gli articoli che ha scritto sulla Cambogia, una bambina si addormenta cullata sull’amaca. La madre con una mano la spinge per farla dondolare, con l’altra taglia la carne per la cena. Multitasking e amore..

Spiove, e si risveglia la mia fame di strada. Salgo su un motorino in affitto. Il casco ha una grafica verde: VR46 – Valentino Rossi project. Vado senza meta a tutto motore, prendo le strade più piccole che trovo. Sono due ore bellissime, su piste di terra battuta infinite che volano sopra i crinali delle montagne. Non incontro anima viva, ma io mi sento piu’ vivo che mai, mentre con uno scooter a 4 marce senza frizione mi piego seguendo le tracce scolpite dai camion.
E’ come danzare. E’ stata una giornata diversa dalle altre, scelte, opportunità, pensieri, riflessioni. Azioni. Che poi sono quello che conta, quando guidate dal pensiero. Domani vado a caccia di cascate in moto, dopodomani di nuovo in sella, anzi in sellino. Perché dalle due ruote e dalla sella mica scendo. Amo la sensazione di un equilibrio che si crea solo quando siamo in movimento. La trovo una bella metafora della vita.

Day 4: waterfall this way

Giovedì 3 novembre / Senmonoron – Bu Sra – Senmonoron / Daytrip in scooter a 4 marce e frizione automatica, uno spasso. Infiniti metri cubi di acqua presi. 2 traversi nel fango / 64 km.

Non c’è sveglia oggi, è un giorno diverso. Apro gli occhi alle 7, li richiudo. Dormo fino alle 9, mi sveglia il rumore della pioggia. Amo che piova nel mio giorno di riposo. Più che piovere, diluvia. Con molta calma prendo il libro e torno nel ‘bar’ di ieri, una lamiera e 4 assi di legno a bordo strada. Succo di canna da zucchero, 2 fritti non identificati, e subito mi tuffo nel libro. Dopo poco, la signora mi regala un frutto tagliato a pezzetti, con un gesto spontaneo. Ancora, mi fa sentire parte. Provo a mangiarlo, ma è impossibile. Non per il gusto, ma proprio fisicamente, non va giù, più lo mastico più diventano delle fibre secche. La signora cerca di contenersi, ma scoppia a ridere e mi spiegano che devo morderlo una sola volta, succhiarlo, e poi sputare le fibre. Non ho ancora idea cosa fosse (bamboo?), ma mangiato così è una goduria. E la lettura (fantasmi dalla Cambogia, Terzani) assume tutto un altro sapore.

Alle 12 non smette di piovere, ma la strada chiama. Mi bardo come a Milano (pantaloni lunghi, pile, kway, zaino con copertura, sopra tutto un poncho giallo) e via in motorino, sulla circonvalla di Mondulkiri. 32 km di curve, salite, discese, ponti in ferro e giungla ovunque.

Cascate di Bou Sra. Potenti, e spettrali, siamo in 6: una famiglia di cambogiani arricchiti (o almeno, così li identifico io), il ‘custode’ delle cascate e io.
Starei a guardarle ore, mi sembra che l’acqua giochi con il vuoto e cada ogni istante in maniera diversa.
Chi le ha fatte, sicuramente aveva fantasia. Mi metto dentro una capanna di legno ad ascoltare il rumore dell’acqua, il tempo di aprire il libro e pisolino sia, today it’s holy-day.
Al ritorno tento il kom (king of the m ountain: la cronoscalata) in scooter, poi capisco che con l’asfalto bagnato è meglio non finire come Iannone.

Torno in albergo, e faccio il cambio copertone posteriore (della bici): quello vecchio era alla frutta, cioè alla tela. Troppo peso dietro? Era già consumato prima di partire? Non ne ho idea, ma ringrazio Lorenzo che il giorno prima della partenza mi ha detto ‘io un copertone di scorta lo porterei.
La Detto Pietro (marca della mia bicicletta) ora è molto più aggressiva, dietro gomma on/off con spalla importante, davanti simil tubolare da pista. Arrivabene sarebbe fiero del mio assetto. Ne approfitto per fare un check generale viti, praticamente non ce ne era una stretta. Quarto insegnamento: stringere viti ogni giorno.
Mangio in strada: pork noodles alle 16 e rice noodles alle 18:30. Scopro anche delle super frittelle, e faccio la scorta per domani. Cioè in realtà sia ne divoro 4 sia faccio la scorta per domani. E non so quanto ho ancora in corpo delle 4 mangiate (chi ha orecchie per intendere…).

Dopo la seconda cena mi rintano in hotel, domani si torna a pedalare, sono 90 km di strada, i primi 20 di sali e scendi. Devo prepararmi e concentrarmi. Ho paura per il ginocchio? Sì. So che ci proverò? Sì. Sono felice? Sì.
In più ho: una gomma nuova, una baccah pronta per essere stappata e tanta voglia di avventura. Il resto non conta.

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