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L’Ultracycling secondo Axel Carrion, fondatore di BikingMan

L’ultracycling ha tantissime declinazioni e approcci, a volte in conflitto tra di loro. C’è chi predilige un approccio aperto, come nella Transcontinental Race, dove non è presente alcuna assistenza ma solo una traccia GPS da seguire. Oppure, come nella RAAM e nelle gare del circuito italiano di Ultracycling (di cui Bikeitalia è official media partner), vi è la presenza di una crew che assiste su un’ammiraglia l’atleta. E poi c’è Axel Carrion, francese classe 1985, che ha fondato l’azienda BikingMan e che ha una visione “nuova” e alternativa dell’ultracycling. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua idea di ultracycling.

Ciao Axel, chi sei e cosa fai?
Mi chiamo Axel Carrion, sono nato nel 1985 in Francia e sono il fondatore dell’azienda BikingMan, che si occupa di creare eventi di ultracycling in giro per il mondo.

Come mai hai deciso di avviare Bikingman? Sei un ex corridore professionista?
BikingMan
No, non ho mai corso professionalmente in bici. Il tutto è nato da un viaggio che ho fatto nel 2010, quando ho attraversato i Carpazi in totale autonomia e senza alcuna esperienza. L’avventura mi è piaciuta tantissimo, così ho deciso di fare un viaggio all’anno. Ho attraversato i Carpazi, poi ho viaggiato in Marocco e poi mi sono preso 8 mesi di tempo per un viaggio lungo tutto il Sudamerica di 350.000km e una bici da viaggio da 60kg. Da lì è nata l’idea di creare degli eventi che fossero delle competizioni che però permettessero di vivere posti nuovi e selvaggi in sicurezza. Infatti è fondamentale dividere l’avventura personale dalla competizione. Nel primo caso il ciclista si avventura in modo autonomo, nella seconda invece l’atleta ha la necessità di un supporto logistico, anche se non invasivo.

Come si svolgono le competizioni di ultracycling BikingMan?
Il nostro motto è “Explore, Endure, Empower”. L’esperienza che vivi partecipando a una competizione è quella dell’esploratore che deve superare percorsi estremi, come la Inca Divide (3500km e 60.000mt di dislivello) nelle Ande peruviane. È fondamentale che conosca la cultura locale e ritorni a casa con una visione diversa del mondo.
Noi come azienda ci occupiamo di tutta la logistica, della segnalazione del percorso, dell’assistenza e della tracciatura GPS. Poi è l’atleta che deve affrontare in autonomia, in regime self-supported, la competizione. Il nostro approccio è un intermedio tra la Transcontinental Race, dove hai solo una traccia GPS e dei checkpoint e la RAAM, dove invece hai tutta l’assistenza e devi solo pensare a pedalare.

Perché questa volontà di fare qualcosa di diverso?
BikingMan
Durante la Transcontinental Race ci sono stati due morti. Questa è una cosa inaccettabile, perché erano ciclisti di grande esperienza. Cosa potrebbe succedere se invece le competizioni fossero piene di ciclisti alla prima esperienza? Gli organizzatori devono fornire supporto logistico, assicurazione e sicurezza. Devono tracciare il terreno, devono coinvolgere le amministrazioni locali, devono capire il territorio dove si svolgerà la competizione dal punto di vista politico, economico e culturale. Pedalare nella Ande è diverso dal farlo in Europa o a Taiwan. Solo il GPS può essere un problema, perché in alcuni punti del globo non prende. L’organizzazione deve prevedere tutte queste cose, perché altrimenti si rischia di lasciare i ciclisti a sé stessi.
La nostra volontà è di creare competizioni che siano vere esperienze come i viaggi in bici ma con una logistica ben coordinata alle spalle.

Quale sarà il futuro dell’ultracyling?

Rodney Soncco

il nostro atleta Rodney Soncco alla Inca Divide


Le discipline di ultraresistenza sono sempre più affascinanti e le competizioni organizzate in modo preciso e attento. Ora noi abbiamo organizzato 4 competizioni in quattro continenti: Oman, Perù, Francia (Corsica) e Taiwan. Abbiamo atleti da 25 paesi (il 15% è composto da italiani). Ma non sono puristi dell’ultracycling: sono ciclisti che desiderano affrontare un’avventura e testare i propri limiti, sapendo di avere una logistica alle spalle. L’ultracycling deve essere una risposta alla volontà sempre più alta di sfida che sta coinvolgendo i ciclisti. È fondamentale che si curi l’organizzazione per evitare altri morti e che ci si metta d’accordo, evitando delle divisioni che non fanno bene a nessuno. La bici è un mezzo per vivere una sfida con sé stessi e l’ultracycling è la risposta perfetta a questo desiderio. È necessario creare una community larga di persone che desiderano vivere questa disciplina in modo sereno e con lo spirito di un’avventura. L’ultraciclismo è uno spirito ma deve diventare un sistema.

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