Mobilità

Covid-19: la bicicletta è parte della soluzione

Covid-19: la bicicletta è parte della soluzione

Mai come in questo periodo gli spostamenti urbani in bicicletta sono considerati strategici in tutto il mondo: in un momento in cui solo pochi possono muoversi per lavoro è bene che lo facciano nel modo più sicuro e salutare possibile.

Questo spiega le politiche di incentivo alla mobilità ciclistica adottate da Bogotà e da New York, e che già vi abbiamo illustrato nei giorni precedenti.

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Ciclabili temporanee a Bogotà

Ma queste due città non sono le uniche che stanno promuovendo gli spostamenti urbani in bicicletta. Infatti, a differenza del nostro paese dove chi si sposta in bicicletta durante l’isolamento (perché giustamente sta andando al lavoro) viene accusato di non rispettare le regole o di essere un “untore”, in altre città invece è la politica stessa a fare di tutto per attrezzare le strade ad ospitare le persone che si muovono in bici, in modo da alleggerire il trasporto pubblico e soprattutto di garantire il distanziamento sociale.

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Un lavoratore italiano costretto a indossare un cartello con la scritta “Vado al lavoro”

A Berlino ad esempio, si stanno sviluppando non poche ciclabili temporanee ed emergenziali, andando a ridurre le corsie destinate al traffico automobilistico per far posto a chi sceglie di muoversi in bici perché non vuole utilizzare il mezzo pubblico.

Inoltre, il Ministro della Salute tedesco Jens Spahn ha raccomandato a tutti i lavoratori di muoversi il più possibile a piedi o in bicicletta, sia per mantenersi in movimento e quindi in salute, sia per non affollare il trasporto pubblico.

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A Chicago, sull’onda di quello che già è successo a New York, gli spostamenti in bicicletta sono aumentati quasi del 100%, con dati di prelievo delle biciclette del bike sharing mai visti prima, anche grazie a pacchetti promozionali e iscrizioni gratuite.

A Londra invece il servizio di bike sharing è completamente gratuito per tutti gli operatori sanitari che si recano al lavoro e, come successo a Dublino, è partita una campagna di informazione su come continuare a pedalare in sicurezza durante le restrizioni della quarantena. Sempre in Gran Bretagna, i negozi di riparazione delle biciclette sono stati considerati fin dall’inizio esercizi indispensabili e quindi da tenere aperti anche in condizioni emergenziali, a differenza di ciò che è accaduto da noi.

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Nel Regno Unito inoltre, ben 80 esperti di mobilità e salute hanno scritto una lettera al parlamento inglese per chiedere di potenziare e garantire la libertà di movimento a piedi e l’uso della bicicletta durante questo periodo di pandemia.

Ad Amsterdam e in altre città olandesi l’invito ad utilizzare la bicicletta è stato fatto non tanto per decongestionare il trasporto pubblico, quanto più per mantenere attiva e in salute la popolazione.

Insomma, sembra che tutto ad un tratto diverse città del mondo si siano accorte dell’importanza di potersi muovere e restare sani, vedendo nella bicicletta uno strumento utile non solo a rispondere ai primi due obiettivi ma anche a garantire la distanza sociale tanto richiesta in questo momento.

Anche in Italia in questo periodo di restrizioni l’uso della bicicletta è consentito per motivi indifferibili ed emergenziali, ma è evidente che a livello di percepito comune e a livello politico, ancora la bici NON è vista come una soluzione ai problemi della mobilità, dell’inquinamento e a questo punto, al contenimento della diffusione del Coronavirus.

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Durante questo periodo in cui la stragrande maggioranza dei lavoratori sono bloccati a casa, tecnici e amministrazioni hanno la possibilità di ripensare le nostre strade e di prepararsi a quando torneremo alla normalità.

Quante persone vorranno ancora muoversi in metropolitana?

Quanto è rischioso per la collettività ammassare persone all’interno di mezzi chiusi e con poco ricircolo d’aria?

Le nostre città quanto traffico automobilistico possono assorbire oltre a quello che già le congestionava prima del Covid-19?

Non possiamo permetterci che le persone scelgano di muoversi ulteriormente in auto, così come non possiamo ricreare ambienti perfetti alla propagazione del virus nei mezzi pubblici. È giunto il momento di far posto a una nuova mobilità che metta al centro la salute dei cittadini.

Commenti

  1. David ha detto:

    È ridicolo che il popolino ottuso non abbia paura di essere contagiato quando siamo 2 ore in fila al supermercato ma chi pratica attività sportiva è visto come un untore. Inoltre leggendo il decreto è scritto che “l’attività motoria e sportiva sono consentite a patto siano svolte in prossimità dell’abitazione e in solitario”; il termine “prossimità” non è definito per cui non ha valore legale, ma chi ha voglia di questionare con gli sbirri mentre siamo in bici? E allora via di rulli! Le critiche per cui dobbiamo rinunciare allo sport per non intasare gli ospedali non hanno senso, sia perché è praticamente impossibile che accada (mai successo in 30 anni di sport), sia perché in gran parte delle regioni italiane l’emergenza coronavirus non esiste, e i reparti di ortopedia sono separati da quelli di malattie infettive. Di sicuro però rinunciando a fare sport indeboliamo l’unica difesa sicura contro il virus: il nostro sistema immunitario.

  2. Cremilio ha detto:

    uno dei problemi di fondo è che non è semplice introdurre una cultura di mobilità a due ruote solo perché lo decidi per legge; le città, Milano ad esempio, che hanno “creato”, spesso inventandole indecentemente, piste ciclabili e diffuso lo bike-sharing si sono dovute scontrare con l’indifferenza se non con la maleducazione della gente; bici rotte, abbandonate ovunque, gettate nei Navigli….

  3. Giancarlo Romano ha detto:

    Sta a noi cambiare il futuro. Se ora non si puo’ usare la bici lo possiamo fare dopo. Se noi ciclisti amatoriali lasciamo l auto per gli spostamenti casa lavoro, casa spesa, casa qualsiasi commissione, allora contribuiremo ad un cambiamento.
    Bici non solo per le uscite nel week end !

  4. Alessandro ha detto:

    I commenti che leggo sono interessanti e condivisibili. Anche io ho pensato ad una ‘soluzione’ post epidemia per incentivare l’uso della bici: delle agevolazioni fiscali.
    Tuttavia per gran parte della politica la mobilità sostenibile non è mai stata una priorità (con o senza virus).
    Se poi si aggiunge che la scienza conosce questo virus da solo due mesi, allora la conclusione sarà sempre STATE A CASA, giustamente.
    Però c’è una maggiore sensibilità (che quasi sicuramente si sgonfierà appena ognuno potrà mettersi alle spalle questo periodo). Io proporrei di approfittare di questo momento per un’iniziativa coinvolgente e inclusiva con un obbiettivo.
    Potrebbe essere quello di raccogliere firme per un decreto sulle agevolazioni fiscali per chi usa la bici tutti i giorni o per qualcosa che risulti più importante o condiviso.
    Noi guardiamo i paesi del nord europa con un pizzico di invidia per la loro predisposizione culturale alla mobilità sostenibile, ma questa cultura è il frutto di incentivi pensati negli anni ’70…e in molti casi erano di iniziativa popolare.

  5. Antonio Maffezzoni ha detto:

    Concordo pienamente. Il futuro è bicicletta !!

  6. Vincenzo Rizzo ha detto:

    Forse non avete capito che il problema legato all’uso della bici in questo periodo non è legato al contagio ma alla possibilità di farsi male a causa di una caduta o di una buca o di un incidente andando a intasare ulteriormente gli ospedali e strutture sanitarie. E ve lo dice un ciclista.
    Promuovo nella maniera più assoluta l’uso della bici post emergenza.

  7. Pietro ha detto:

    Anch’io trovo giusto quanto sopra:
    Sì a spostamenti in bici ma solo sulle strade
    No a spostamenti su piste ciclabili e in parchi chiusi ecc dove si possono incrociare podisti e altri ciclisti

    Il ciclismo (individuale) su strade aperte è forse l’unico sport che può essere concesso perchè non comporta contatto o vicinanza con altri.
    Speriamo che chi governa lo capisca e inserisca provvedimenti a tal fine

  8. felino ha detto:

    per la cronaca il lavoratore italiano è di bergamo. ha messo il cartello per gli insulti che gli rivolgono gli automobilisti. NB: lui fa 15 km per andare al lavoro ed è servito da una ciclabile che percorre tutti i giorni. ma la ciclabile è stata chiusa e si tratta di quella della valsieriana

  9. Renato ha detto:

    Articolo totalmente condivisibile ma occorre fare qualche cosa da subito perché impedire di pedalare durante questa emergenza, che potrebbe durare mesi, provoca danni alla salute ai non pochi ipertesi, diabetici, cardiopatici a cui i medici hanno raccomandato di fare movimento almeno 1/2 al giorno.

    Come già rilevato da molti, il Ciclista, se pedala sulla strada é distanziato da tutti fin che sta sulla bici e non si avvicina ad altre persone.

    Se si vuole, una soluzione al problema la si trova. Di seguito faccio una proposta ai governanti per superare i timori che un ciclista in giro possa nuocere alla salute degli altri.

    A causa dei divieti imposti, pedalare sulle strade é quasi a rischio zero perché ci sono in giro meno auto degli anni 50, quindi, si potrebbe modificare l’attuale decreto per consentire ai ciclisti di uscire in bici ponendo le seguenti condizioni:

    1) Pedalare solo sulle strade con divieto di usare percorsi ciclo pedonali o ciclabili tracciate sui marciapiedi in modo da azzerare qualsiasi contatto ravvicinato con i Pedoni.

    2) Non fermarsi a parlare con nessuno.

    3) Rimanere all’interno dei confini del proprio comune o non oltre 5 Km dalla propria residenza se il comune é molto piccolo.

    4) Obbligo uso mascherina.

    In tal modo verrebbe a cadere ogni giustificazione all’attuale provvedimento perché i Ciclisti sulla strada sarebbero distanziati da tutti: i pochi automobilisti che circolano stanno chiusi nelle loro auto e i Pedoni sui marciapiedi o sulle ciclo pedonali distanziati dai Ciclisti ben oltre il fatidico metro di sicurezza.

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