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Uber Eats, indagini per caporalato: “Ciclofattorini vessati e pagati a cottimo”

Uber Eats, indagini per caporalato: “Ciclofattorini vessati e pagati a cottimo”

Il 29 maggio scorso il Tribunale di Milano, nell’ambito delle indagini per caporalato ai danni dei ciclofattorini, aveva disposto il commissariamento di Uber Italy, filiale del colosso americano.

Oggi, 12 ottobre 2020, il pm Paolo Storari ha chiuso le indagini, la posizione di Uber Italy – indagata per la legge sulla responsabilità amministrativa – è stata stralciata e il 22 ottobre il management della piattaforma di delivery del servizio “Uber Eats” dovrà affrontare un’udienza alla Sezione misure di prevenzione, come riporta l’Ansa.

Uber Eats caporalato

Come si legge nell’avviso di chiusura delle indagini “i rider erano pagati a cottimo 3 euro a consegna, derubati delle mance e puniti”. Tra le dieci persone indagate c’è anche Gloria Bresciani, in qualità di manager di Uber Italy, che in un’intercettazione parlando al telefono si esprimeva in questo modo: “Davanti a un esterno non dire mai più ‘abbiamo creato un sistema per disperati’. Anche se lo pensi, i panni sporchi vanno lavati in casa e non fuori”.

Come scrive Il Fatto Quotidiano, oltre alla Bresciani sono accusati di caporalato anche Giuseppe e Leonardo Moltini oltreché Danilo Donnini, responsabili delle società di intermediazione Frc e Flash Road City (la Frc è indagata per la legge sulla responsabilità amministrativa).

I quattro, scrive il pm, “in concorso tra loro e con altre persone non identificate utilizzavano, impiegavano e reclutavano riders incaricati di trasportare a domicilio prodotti alimentari, assumendoli presso le imprese Flash Road City e FRC srl, per poi destinarli al lavoro presso il gruppo Uber in condizioni di sfruttamento”.

Si legge nei documentazione che i quattro avrebbero approfittato “dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti asilo, dimoranti presso centri di accoglienza straordinaria e provenienti da zone conflittuali (Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh) e pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale”.

Secondo le ricostruzioni fatte in sede di indagine, i ciclofattorini venivano “pagati a cottimo 3 euro a consegna , indipendentemente dalla distanza da percorrere (ritiro presso il ristoratore e consegna finale al cliente), dal tempo atmosferico, dalla fascia oraria (diurna/ notturna e giorni festivi) e pertanto in modo sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato”.

Inoltre, stando alle risultanze degli inquirenti, i lavoratori venivano anche “derubati delle mance” che i clienti lasciavano loro spontaneamente e vessati con decurtazioni arbitrarie sul compenso pattuito “qualora non si fossero attenuti alle disposizioni impartite”. Alcuni ciclofattorini sarebbero stati “estromessi arbitrariamente dal circuito lavorativo di Uber attraverso il blocco dell’account”.

Le indagini della Procura di Milano non riguardano soltanto il caporalato ma anche una serie di violazioni fiscali emerse nel corso degli accertamenti: dalle ritenute di acconto “operate ma non versate”, alle false fatture e alla frode fiscale.

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