Intervista a Silvio Martinello: “Il futuro del ciclismo sportivo parte dalla sicurezza dei bambini di oggi”

15 Febbraio 2021

Manca meno di una settimana all’assemblea elettiva della Federazione Ciclistica Italiana. Un’assemblea che in via eccezionale avverrà prima dello svolgersi dei rinviati Giochi Olimpici e che segnerà un passaggio storico: la fine del governo di Renato Di Rocco, da 15 anni presidente e da quasi 45 dirigente in una delle federazioni sportive più importanti d’Italia.

Il dirigente abruzzese infatti non si è ricandidato, lasciando il testimone in mano a due eredi (la vicepresidente Daniela Isetti e il numero uno lombardo Cordiano Dagnoni) e a due sfidanti: il campione olimpico Silvio Martinello e il vice di Dagnoni, Fabio Perego. Dopo tre lustri, quindi, la Federazione Ciclistica Italiana arriva alla sua assemblea elettiva senza conoscere chi sarà il futuro o la futura presidente.

Tra i tanti problemi a cui la FCI è chiamata a rispondere, dopo un’attesa così lunga, il più urgente riguarda la sicurezza dei ciclisti sulle strade. Si tratta di un’urgenza che travalica di gran lunga gli aspetti sportivi del ciclismo e coinvolge tanto gli agonisti quanto chi utilizza la bicicletta ogni giorno per la propria mobilità.

L’urgenza è talmente chiara che per la prima volta gli aspetti inerenti alla sicurezza e alla mobilità ciclistica emergono (secondo diverse declinazioni) nei programmi di tutti i candidati.

Isetti parla di sostegno alla «mobilità  sostenibile nelle scuole di qualunque ordine, al fine di promuovere la bicicletta come mezzo di trasporto del futuro». Il programma di Dagnoni punta alla «sensibilizzazione verso Enti ed Amministrazione locali per far comprendere l’importanza delle piste ciclabili vere‭, ‬non le ciclopedonali‭» e al «cambiamento culturale, attraverso una struttura adeguata che si occupi specificamente di ‬mobilità sostenibile‭, ‬sicurezza‭ e ‬impiantistica». Perego pone la sua attenzione sulla mobilità green e promette di «intervenire presso il legislatore affinché le parti del Codice della Strada che interessano i ciclisti siano meno confuse».

Tra i quattro candidati quello che però ha preso più a cuore il tema è Martinello, che parla esplicitamente di «un tema fondamentale che sta minando alla base il nostro movimento». Un’affermazione che non si era mai letta con cotanta enfasi in ambito federale, motivo per cui gli abbiamo chiesto di approfondire il tema.

Silvio Martinello
Silvio Martinello (credits foto www.silviomartinello.it)

Ciao Silvio, il tuo programma elettorale insiste in maniera molto forte sul tema della sicurezza. Si tratta di un argomento nuovo nell’ambito della FCI, le cui attenzioni sono sempre state destinate in primis ai risultati sportivi. Da cosa nasce questo cambiamento?

«Nasce dalla constatazione che la mancanza di sicurezza sta minando alla base il movimento. Per me è il tema centrale, che va affrontato con la massima motivazione. Se non si prenderanno iniziative urgenti volte a sviluppare la cultura dell’utilizzo della bicicletta in sicurezza si arriverà a un punto di non ritorno. Il ciclismo su strada sta attraversando un momento di crisi epocale per via della mancanza di sicurezza sulle strade. Basta guardare le corse giovanili dove il 90% dei partecipanti provengono da famiglie in cui si parla già la lingua del ciclismo, non si riesce più ad intercettare nessuno di nuovo.
Questo è diventato un problema gravissimo, a cui dobbiamo dare risposte. E le risposte non devono limitarsi all’aspetto sportivo, perché la FCI ha l’obbligo di tutelare tutti i ciclisti: deve diventare l’interlocutore principale sulla sicurezza stradale, soprattutto quando si parla di riforme del Codice della Strada, cosa che non è avvenuta nelle due o tre occasioni in cui lo si è fatto negli ultimi 15 anni. Non può comparire solo quando si scattano le foto da distribuire alla stampa. Deve farlo in ottica di un benessere comune, perché ci sono ormai tanti studi che identificano i benefici dell’attività fisica anche solo nell’ambito della mobilità quotidiana. E deve farlo anche per il proprio interesse, perché se mandiamo tutti i ragazzini a scuola in bicicletta sarà più facile trovarne qualcuno che matura la volontà di provare un percorso agonistico e magari arriverà a vincere le Olimpiadi. Più ciclisti per strada significa più sicurezza per tutti e un bacino di utenza più ampio che aumenterà anche la quantità e la qualità degli agonisti. È un concatenamento di fattori che abbiamo già visto altrove in Europa, in Germania o in Gran Bretagna per esempio, dove si è agito sulla sicurezza con determinazione e questo ha comportato anche un miglioramento dei risultati sportivi».

Eppure su questi argomenti in ambito sportivo si avverte ancora grande frammentazione, nonostante la cronaca porti a galla il problema con frequenza, pensiamo anche al recente incidente che ha coinvolgo la Bora in ritiro sulle strade italiane. Qual è la percezione del ciclismo sportivo rispetto a questo tema?

«Io posso parlare della mia percezione che è grave, perché utilizzo la bicicletta quotidianamente in città. Ovviamente questa percezione non ce l’ha chi la bicicletta non la utilizza, motivo per cui sta a noi prendere parola. Se mi metto nei panni di un genitore che ha un figlio che vuole muoversi o anche correre in bicicletta, sarei preoccupatissimo. È successo anche a me in passato con mio figlio, e oggi la situazione è addirittura peggiorata. Dal lato sportivo ce ne accorgiamo anche dalla crescita del fuoristrada, dove i rischi esistono ma non si è in balia del comportamento altrui».

Il 2020 ha segnato un anno zero per tanti aspetti delle nostre vite, tra questi ci sono sicuramente anche lo sport e la fruizione delle strade. Come giudichi gli interventi nati sul nascere dell’emergenza sanitaria in sostegno alla mobilità ciclistica?

«Non li giudico in maniera troppo positiva, anche se apprezzo che ci si sia mossi, ma il rischio è che l’obiettivo raggiunto sia solo lo svuotamento dei magazzini. Ritengo che prima del bonus bici fosse fondamentale partire dalla infrastrutture. Al momento sono state realizzate tante bike lanes provvisorie, dalle quali dovrebbero nascere nuove infrastrutture. È una scelta sicuramente sana, ma nel nostro paese ne abbiamo viste fin troppe di iniziative provvisorie. Non possiamo accettare che restino provvisorie per sempre, mentre vengono invase dai mezzi a motore.
Ora siamo davanti a un passaggio epocale: arriveranno ingenti fondi europei e saranno abbinati a progetti fortemente vincolati alla sostenibilità. Parlare di infrastrutture oggi vuol dire penalizzare il motore a scoppio e sostenere la bicicletta a 360°, quindi per esempio anche le e-bike, che io vedo come il futuro. Io avrei indirizzato anche il bonus bici verso le e-bike, che costano pure una bella cifra. Perché noi dobbiamo incidere sui comportamenti delle persone che vanno a lavorare con l’automobile o il motorino, ancor di più in questo momento in cui fanno più fatica a prendere il mezzo pubblico. L’e-bike è la soluzione per loro, che magari devono fare 15 o 20 chilometri andata e ritorno e sono scoraggiati perché non fanno attività fisica, perché si suda, eccetera… per loro l’e-bike rappresenta una rivoluzione. È chiaro che però deve accompagnarsi a infrastrutture, non soltanto sulla mobilità, anche sul fatto che si possa lasciarla in un posto dove non te la rubano dopo 20 minuti che l’hai legata. Per ora si è dato un bonus a chiunque volesse comprare una bicicletta, e ne conosco tanti che semplicemente l’han cambiata comprandosene una più bella. Se il bonus è servito a questo, non abbiamo fatto un buon servizio, se non a qualche rivenditore. Non ha inciso sui comportamenti, e dove l’ha fatto a messo persone non avvezze alla bicicletta su strade che non hanno le infrastrutture adeguate.
Il bonus bici è stato uno strumento pensato male, ma ora si aprono grandi opportunità e la bici diventerà centrale nelle prossime politiche sulla mobilità. La FCI deve recitare un ruolo da protagonista in questo processo. Chiaramente non saremo noi a decidere dove verranno spesi questi fondi, ma dobbiamo impegnarci per indirizzarli verso scelte più opportune e soprattutto funzionali».

E verso quali scelte bisognerebbe spingere, a tuo vedere?

«Bisogna dare priorità alla bicicletta, lavorando sul combinato tra infrastrutture e codice della strada. Oggi anche dove hai a disposizione le ciclabili ti scontri con un problema ad ogni intersezione. Ti porto l’esempio della bellissima ciclabile che da casa mia porta ai Colli Euganei: quando nacque ci furono diversi incidenti perché le auto la invadevano ad ogni incrocio. Così dalla sera alla mattina l’hanno disseminata di cartelli intimando lo stop ai ciclisti ad ogni incrocio, non per la loro sicurezza ma per evitare conseguenze con le assicurazioni. Dobbiamo fare l’opposto. Se vogliamo che aumenti il numero dei ciclisti dobbiamo dare loro la precedenza. E costruire arterie collegate, soprattutto all’uscita dai comuni. Ragionare su vere e proprie reti, che non devono necessariamente seguire logiche e traiettorie delle strade. Le nuove infrastrutture devono nascere pensate per la bicicletta, non vanno adattate».

A fianco di un ragionamento sulle infrastrutture c’è però un ancor più urgente cambiamento culturale. In Italia c’è una grande spinta da parte di soggetti informali e non (movimenti, associazioni, fondazioni) verso una nuova mobilità che superi finalmente il predominio dell’automobile sulle strade; che nuovi contributi potrebbe dare la Federazione a questa battaglia?

«La FCI deve innanzitutto togliersi quel velo di presunzione avuto finora, ovvero il considerarsi più importante solo perché è la Federazione Ciclistica Italiana. Stiamo tutti dalla stessa parte, ed è necessario fare tutti un passo nella medesima direzione: la Federazione deve contribuire a creare una massa critica sempre più ampia e portare avanti queste istanze su tutto il territorio nazionale. Finora la FCI ha guardato esclusivamente alle medaglie olimpiche, ma se guardiamo al resto del mondo ci rendiamo conto che non è così ovunque. Se oggi vai sul sito di British Cycling, la Federazione Britannica che è un modello sia per efficienza che per risultati raggiunti, la prima notizia che trovi è l’apertura di una commissione sulla diversità e l’inclusione, qualcosa che sembra distante anni luce da noi. E questa commissione viene creata per parlare di ciclismo a 360°, di cultura e utilizzo della bicicletta. Questo deve diventare il tema centrale: divulgare e alimentare la cultura ciclistica per tutti. A maggior ragione in questo momento di cambiamento epocale, che per questi discorsi è particolarmente favorevole. Ciò non significa che dobbiamo accantonare le medaglie olimpiche, ma questo lavoro culturale contribuirà a renderci protagonisti anche negli appuntamenti agonistici. Lo stesso tesseramento alla FCI dovrebbe andare oltre le corse e fornire servizi: penso a sconti sul trasporto ferroviario, sulle assicurazioni, sui bike hotel, eccetera. I tempi che stiamo vivendo ci chiedono di attivare un processo innovativo: dobbiamo farci trovare pronti e non cadere dalle nuvole. È un’opportunità unica, non possiamo farcela scappare».

Commenti

Un commento a "Intervista a Silvio Martinello: “Il futuro del ciclismo sportivo parte dalla sicurezza dei bambini di oggi”"

  1. Emanuele ha detto:

    Bravo SILVIO, apprezzo molto il contenuto, e ribadisco che solo attraverso una profonda conoscenza, esperienza e tanta passione, si può e si deve mettere la F.C.I. a capo di un grosso cambiamento che abbraccia tutto il mondo della bicicletta.

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