I 6 macrotrend della ciclabilità nel 2022
Si è concluso da pochi giorni Velo-City, il principale convegno al mondo sulla ciclabilità. La città che ha ospitato l’evento quest’anno è stata Lubiana, capitale della Slovenia, il tema portante è stato “cycling the change”.
Sui 6 palchi del centro congressi si sono alternati oltre 150 relatori che si sono rivolti a oltre 1300 persone tra istituzioni, tecnici, associazioni per la promozione dell’uso della bici e aziende di varia natura provenienti da 52 paesi.
Ogni anno il Velo-City offre le coordinate per indirizzare le azioni per aumentare l’uso della bici. Ho avuto il piacere di partecipare alla quattro giorni di lavori e di seguito vi riporto i macrotrend che ho intercettato.
1. La ciclabilità non è più materia di trasporti, ma di efficienza energetica e lotta ai cambiamenti climatici
Nelle edizioni precedenti di Velo-City, la bicicletta era considerata una parte del complesso sistema di trasporti. Oggi, dopo la pandemia che ci ha insegnato che non muoverci è possibile o è possibile muoversi su scala ridotta (per questo si parla di città dei 15 minuti), la bicicletta è passata a essere una parte irrinunciabile del processo di lotta ai cambiamenti climatici.
Alcune delle relazioni più interessanti che ho avuto modo di ascoltare sono state infatti proprio proposte nell’ambito dell’iniziativa Klimaktiv, il progetto ideato dal “Ministero austriaco per la protezione del clima, ambiente, energia, mobilità, innovazione e tecnologia”. In qualche modo è come se in Europa ci si fosse resi conto che ragionare a compartimenti stagni non porterà mai da nessuna parte: per questo il piano nazionale per la mobilità ciclabile del Belgio non è stato redatto a tavolino dal ministero dei trasporti, ma è in fase di stesura di concerto con tutti i ministeri affinché possa assumere rilevanza strategica. Questo prevede 52 azioni concrete e misurabili che vanno dal rendere ciclabili le basi militari per aumentarne l’efficienza (richiesta del ministero della difesa), al pattugliamento delle strade con poliziotti in bicicletta (richiesta del ministero dell’interno).
Insomma, come di cono quelli di Cycling UK: “la bici è una macchina che combatte il cambiamento climatico“.
Come se non bastasse, in un contesto di scarsità energetica come quello che stiamo vivendo, va da se che la bicicletta rappresenta, per i governi più illuminati, lo strumento da cui partire per contenere i consumi di idrocarburi. Riducendone il consumo sul fronte della mobilità si crea un’abbondanza di risorse per altri settori maggiormente strategici dell’economia.
2. Le infrastrutture sono meno rilevanti delle politiche attive
Negli anni scorsi imperversava l’eterna diatriba tra i primi della classe che si contendevano l’approccio più efficace: da un lato il metodo olandese con il suo sistema basato sulla moderazione del traffico e condivisione dello spazio e dall’altro il sistema danese basato sulla separazione dei flussi. Un tempo, quindi, i progettisti si sfidavano a colpi di teoria e di modelli, e così si assisteva a duelli furibondi per capire se una riga per terra potesse o meno essere considerata una ciclabile e cosa fosse più efficace.
Oggi la questione sembra essere ormai praticamente finita in soffitta perché, forse complice la comparsa dei monopattini che hanno incasinato tutto, si è capito che la segregazione (separazione netta dei veicoli) si può operare solamente in alcune strade, ad alcune condizioni e in circostanze molto specifiche.
La questione è stata quindi risolta con un approccio differente: se togliamo le auto dalle strade non abbiamo più bisogno di separare i flussi e, per farlo, più che riempire le città di piste ciclabili dobbiamo incentivare i cittadini a rinunciare all’uso dell’automobile e a usare qualunque altro mezzo di trasporto.
In questo senso va il programma di Utrecht che si propone di tagliare ogni anno l’1% di parcheggi auto e di aumentare di 1000 unità il numero di parcheggi disponibili alla stazione dei treni.
D’altronde: se togliamo dalle strade le auto, che bisogno c’è di creare le ciclabili? O, viceversa, che cos’è una pista ciclabile se non una strada in cui i veicoli a motore non possono circolare?
3. Le cargo bike sono la chiave di volta
Se pensate che il problema del furgone parcheggiato per 5 minuti con le quattro frecce accese sul marciapiede sia un problema solo italiano, vi sbagliate di grosso. Solo che nel resto d’Europa si stanno attrezzando per facilitare l’invasione di cargo bike che andranno a sostituire progressivamente i furgoni e creeranno molto più lavoro.
In questo senso vanno i programmi di cargo bike sharing sperimentali implementati nelle città di Graz in Austria e a Gdynia in Polonia, così come la decisione dei tedeschi di inserire nel codice della strada uno speciale pittogramma dedicato alle zone di parcheggio e scarico/scarico per le cargo bike.
4. le donne sono sempre più al centro della scena
Non si tratta di una lotta per il potere, ma di una naturale transizione ed è impossibile ignorare che ai vertici delle principali associazioni di rappresentanza dei ciclisti a livello mondiale siedono ora delle donne che stanno operando un grande cambiamento di approccio (i tre punti precedenti ne sono la dimostrazione rispetto al tema). Alla direzione della European Cyclists’ Federation siede Jill Warren, all’ADFC (l’associazione che raccoglie 250 mila ciclisti in Germania) siede Ann-Kathrin Schneider, la CEO di Cycling Uk è Saskia Kluit. Il panel che le ha riunite ha portato una ventata di freschezza che ha infuso ottimismo e speranza a tutti i presenti.
5. I produttori di biciclette non si interessano di ciclabilità
Sembra un paradosso, ma è così: chi produce biciclette sembra più interessato a venderle che non a promuoverne l’uso, dando per scontato che, tanto, le biciclette sono come il pane: si vendono da sole.
Su questo si dimostra però ancora l’immaturità del settore che non riesce (se non a livello europeo) a incidere realmente per ottenere incentivi degni di questo nome e politiche della ciclabilità.
Nel frattempo però in alcuni paesi la crescente insicurezza delle strade porta i bambini a non imparare ad andare in bicicletta e questo significherà meno vendite in futuro, ma, come si dice, chi vivrà vedrà. L’unico brand di bici presente è stato Scott che ha presentato (ad opera del connazionale Niccolò Panozzo) uno strepitoso progetto di promozione dell’uso delle ebike in sostituzione dell’automobile.
Ve ne parlerò in seguito in modo più dettagliato.
6. L’Italia è assente
Tanto per cambiare, anche a questa edizione di Velo-City, l’Italia ha optato per la diserzione di massa. Gli unici due politici italiani presenti sono stati Simona Larghetti, consigliera comunale di Bologna (che ha tenuto un’ottima presentazione sulle politiche del capoluogo emiliano) e Diego De Lorenzis, Deputato della Repubblica. Se me ne sono perso qualcuno, segnalatemelo.
Per il resto, gli Italiani presenti erano lì quasi esclusivamente in quanto rappresentanti di aziende private spesso straniere o di università. Per FIAB era presente il segretario, Michele Mutterle. Noi di Bikeitalia abbiamo avuto modo di presentare due buone pratiche nazionali: Bikenomist e la Ciclovia dei Parchi della Calabria
Ci sarebbe da interrogarsi se, oltre al poco interesse dei nostri amministratori e tecnici per l’argomento, non si debba anche immaginare che chi doveva informarli, anche sui territori, dell’esistenza del Velo-City non si sia preso il disturbo di farlo.
Concludendo
Questa è stata la quinta edizione di Velo-City a cui ho avuto il piacere di partecipare e ancora una volta sono tornato estremamente arricchito perché ho visto come le cose stanno progredendo in tutto il mondo e come la bicicletta stia diventando sempre più centrale nelle politiche di gestione delle città in quasi tutto il mondo.
Trovo che la mancanza dell’Italia a questo tipo di eventi sia particolarmente grave perché le cose migliori nascono sempre dal confronto con gli altri e perché senza il confronto con gli altri si finisce vittime dell’approccio “abbiamo sempre fatto così”.
Questo è vero nella gestione delle strade, delle politiche locali, delle associazioni e via discorrendo.
Per fortuna, non tutto è perduto: l’anno prossimo Velo-City sarà a Lipsia in Germania dal 9 al 12 maggio.
Paolo, chi si occupa di ciclabilità nelle città si occupa anche di tante cose.
Normale che non si occupi di ciclabilità in modo serio se non viaggia e non vede come viene affrontata la questione da altre parti…
2. Le infrastrutture meno importanti delle politiche. A Forlì, una città di ciclisti anche automobilisti, rispettano e capiscono chi si muove in bici. Se non c’è una infrastruttura dedicata, si condivide con garbo. l’impressione che ho avuto. Mi piacerebbe che, nella mia città, l’amministrazione facesse notare ai cittadini, come stanno usando le strade, non tanto rispettando le regole della strada, quanto piuttosto quanto rispettano gli utenti. Nella libreria ho gli atti della Velocity del 1995, un bel librone, poi qualche pubblicazione della edizione di Vienna. Mi piacerebbe partecipare a quella di Lipsia, ma mi sarebbe piaciuto partecipare a tutte!!! La mancanza dell’Italia la posso immaginare, i motivi potrebbero essere tanti, banali e tutti insieme.
Se chi si occupa di ciclabilità e mobilità nelle città, ha bisogno che qualcuno gli dica che esiste Velocity, significa che non si sta occupando di ciclabilità e mobilità in modo serio.
A Trieste, la città del “no se pol” situazione disastrosa, assenza delle istituzioni e un rappresentante sindaco sordocieco. Mah, speriamo nei prossimi.