Ci sono articoli che non vorresti mai scrivere: questo è uno di quelli. A Roma la violenza stradale è fuori controllo: 6 persone morte sulle strade capitoline negli ultimi 6 giorni. I numeri sono implacabili, le strade della Capitale – già costellate di lapidi, croci e fotografie di chi su quelle strade ci ha perso la vita – mostrano in maniera evidente che la sicurezza non abita qui.
Roma Capitale della violenza stradale
L’ultima vittima di stanotte è un ragazzo che avrebbe compiuto 19 anni a novembre, Francesco Valdiserri: tutta la vita davanti, vita che gli è stata strappata da una ventiquattrenne alla guida di un’utilitaria che l’ha investito e ucciso mentre stava camminando sul marciapiedi. Investito e ucciso mentre stava camminando sul marciapiedi: lo riscrivo e lo ripeto mentalmente anche a me stesso perché è così che si può morire nella Capitale della violenza stradale, semplicemente camminando sul marciapiedi. Un luogo che dovrebbe essere sacro e inviolabile, un’esigua porzione ai margini della carreggiata dove ci si dovrebbe sentire al sicuro dai pericoli della strada. E invece.
Le autostrade urbane
E invece se il marciapiede corre lungo un’autostrada urbana – nello specifico la Cristoforo Colombo, già tristemente nota per essere stata teatro di numerose collisioni stradali mortali – in stile Los Angeles con un numero imprecisato di larghe corsie dove la velocità di progettazione è ben oltre i 50 km/h del limite vigente e soprattutto dove non esiste alcuna barriera di protezione per impedire quello che è successo.
Autostrade urbane dove, in assenza di controlli e di politiche attive per la moderazione del traffico, chi guida un mezzo al motore “perde il controllo del mezzo per motivi in corso di accertamento”, come riportano le cronache: ma i motivi li conosciamo bene, i motivi li conosciamo tutti. Se un’auto decolla e finisce sul marciapiedi la velocità eccessiva non è un’ipotesi: è una certezza.
Anche in questo caso la narrazione da parte dei mass media si concentra sul mezzo e non su chi quel mezzo lo guidava: non è stata l’auto killer, ma il delitto l’ha compiuto chi quell’auto la guidava.
L’ennesima tragedia annunciata nella Capitale della violenza stradale, dove la mancanza di sicurezza per gli utenti più fragili è una costante quotidiana: dove pedalare nel traffico espone a pericoli ad ogni incrocio, dove persino se si cammina sul marciapiedi non si è più al sicuro.
Il tema della sicurezza stradale è fuori controllo da tempo a Roma, qualche giorno fa l’amministrazione del sindaco Roberto Gualtieri ha compiuto un anno: un compleanno in sordina, passato per lo più inosservato. D’altra parte non c’è niente da festeggiare e la situazione della mobilità della Capitale rispecchia una mancanza di incisività nell’affrontare l’emergenza che periodicamente riesplode, come in questi ultimi terribili 6 giorni. E la sicurezza stradale resta un tema buono per i convegni, per le promesse a data da destinarsi, per un futuro che resta sempre tale mentre il presente continua a tingersi del rosso del sangue delle vittime innocenti immolate sull’altare della velocità e dell’autocentrismo che ha plasmato gli spazi della città.
Francesco, l’ultima vittima, era figlio di due giornalisti del Corriere della Sera – il cronista sportivo Luca Valdiserri e la notista politica Paola Di Caro – ed è stata proprio sua madre a dare la notizia su Twitter:
Il mio 18enne meraviglioso non c’è più. Il mio bambino che aveva a cominciato a correre nella vita. Un’auto nella notte lo ha investito e non tornerà. Nulla più tornerà. Nulla ha più senso. Nulla.
— Paola Di Caro (@PaolaDiCaro) October 20, 2022
“Nulla più tornerà. Nulla ha più senso. Nulla”. Non aggiungo altro.
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