[Riceviamo e pubblichiamo]
Cagliari piange l’ennesimo omicidio compiuto sulle strisce pedonali. A morire è stata una ragazza di diciassette anni, Beatrice Loi, la seconda studente in pochi mesi ammazzata vicino a scuola da un automobilista. I numeri sono allarmanti, ma potrebbero essere ben peggiori. Chiunque ha impresso nella mente almeno un momento in cui ha rischiato la pelle. Oppure, ancora peggio, quando ha rischiato di fare male a qualcuno.
L’abbiamo sempre detto e oggi siamo costretti a dirlo ancora: le strade di Cagliari sono percorse da una violenza inaccettabile, quella del più forte sul più debole. È una violenza sistemica, che struttura tutte le relazioni tra utenti della strada. Sorpassi folli sulle rotatorie, alle uscite degli stop, ai semafori, sulle strisce pedonali. Corse pazze tra un semaforo e l’altro, i clacson contro chi rallenta. Fin da bambini siamo abituati a pensare che così debba andare – appena si ha l’età per camminare il messaggio è “attento che ci sono le macchine”. Questa violenza l’abbiamo fatta nostra.
I morti sarebbero ancora di più se la paura non tenesse i cagliaritani lontani dai marciapiedi, costretti in casa oppure dentro un’altra automobile. La violenza automobilistica obbliga i cagliaritani al volante, chiusi in una spirale di violenza, un pericolo per loro stessi e per chi sta in strada.
La violenza normalizzata
L’omicidio di sabato mattina non è una fatalità ma il risultato di una violenza normalizzata giorno dopo giorno, aggressione dopo aggressione. Ma è desiderabile vivere in una città in cui la morte è in agguato a ogni angolo?
Eppure la città non si ferma nemmeno oggi: la violenza continua, senza soste né eccezioni. Perché si va avanti come se nulla fosse, persino oggi? Perché non ci sono manifestazioni nelle piazze? Accettiamo la morte di tanti di noi come un effetto collaterale della normale vita di una città, ma questa non può più essere la normalità.
La narrazione
Alcune narrazioni affiorano con insistenza. Si tratta di narrazioni consolatorie, funzionali a soffocare ogni cambiamento e mantenere intatta la violenza stradale. La prima, la più odiosa e sciocca, si fonda sulla colpevolizzazione della vittima. Si ripetono frasi stanche: “i pedoni devono fare attenzione”, la colpa è di chi “si butta in mezzo alla strada”. Queste frasi rivelano l’ideologia perversa secondo cui la strada apparterrebbe per natura alle automobili: pedoni e ciclisti sono soltanto ospiti, la responsabilità di schivare le auto sarebbe loro. Ma la strada è di tutti, a partire dal più vulnerabile.
Una seconda narrazione descrive gli omicidi sulla strada come frutto di circostanze eccezionali. Si cercano attenuanti e specificità – il conducente era ubriaco oppure stanco, era anziano oppure troppo giovane, la strada era dissestata o al contrario a scorrimento fin troppo veloce, la visibilità era scarsa per il buio o per la troppa luce, e così via. L’esperienza e la statistica mostrano che il pericolo è dato dalle automobili e dalle modalità attraverso cui il loro dominio si afferma: la minaccia della violenza fisica esercitata verso pedoni, ciclisti e altri automobilisti. Una minaccia costante e immediata, aggravata dalla mole crescente delle automobili e dalla loro velocità. Chi crede che il discrimine siano riflessi pronti e destrezza al volante si sbaglia: sopra una certa velocità la capacità di frenata si riduce in modo irreparabile, il pericolo sparisce dal campo visivo e così la capacità di rispondere alle emergenze.
Serve un cambiamento
Che fare? L’omicidio di Beatrice Loi deve cambiare tutto. L’assessore Yuri Marcialis ha promesso una serie di interventi: riduzione delle carreggiate, attraversamenti rialzati, e così via. Bene, ma temiamo che possa non essere sufficiente, se non si riduce drasticamente la presenza delle automobili e le si rallenta in modo deciso.
Se si reitera la retorica del parcheggio sotto casa come diritto, se non si applicano misure di disincentivo all’utilizzo dell’automobile come la tariffazione progressiva e la sanzione puntuale delle infrazioni, la messa in sicurezza di incroci e attraversamenti pedonali tramite l’impedimento alla sosta illegale con pali e ostacoli fisici, l’ampliamento delle zone 30 e delle zone pedonali.
Se, contestualmente, non si potenziano e rendono economicamente accessibili a tutti sistemi di trasporto alternativi, se non ci si dota di una rete di bus notturni capillari, 7 giorni su 7, se non si attivano e supportano corsi di educazione alla sicurezza stradale e azioni concrete di promozione all’utilizzo della bici.
Se non si dà luogo a una rete di piazze scolastiche. Se si continua a parlare con disprezzo, anche da parte di esponenti del governo della città, dei coraggiosi interventi di moderazione del traffico messi in atto in via Dante e viale Trieste. Se accanto a ogni notizia di un morto sulle strade si aggiunge il sempre presente “traffico in tilt”. Dobbiamo smettere di normalizzare la violenza stradale e smantellare la sua ideologia, da chi governa a chi fa cronaca, a chi semplicemente vive in città.
È l’ora di scendere dall’auto e costruire una città per le persone. La violenza stradale mette in pericolo pedoni, ciclisti e automobilisti. La centralità dell’auto nelle nostre città riduce la nostra libertà e la qualità della vita, si mangia i nostri spazi, il nostro tempo e il nostro portafogli. La città che vogliamo non richiede destrezza al volante o prontezza di riflessi. Chiediamo lentezza. Solo la lentezza come valore può permetterci di uscire dalla spirale della violenza stradale. Chiediamo meno auto. L’auto in città deve essere un’eccezione esclusiva per chi davvero non può farne a meno — trasporti di merce, gestione dei servizi pubblici, persone con capacità motoria ridotta. La città che vogliamo è una città in cui tutti possano spostarsi in sicurezza.
Chiediamo all’amministrazione comunale di mettere in campo scelte coraggiose, ambiziose, anche impopolari, per salvarci la vita. Chiediamo di farsi portatrice dei valori della vita, del benessere e della salvaguardia degli abitanti della città, anche in contrasto con le recenti modifiche al codice della strada che le associazioni dei familiari delle vittime hanno rinominato “Codice della Strage”.
La strage è quotidiana, vuole il Comune opporsi a questo stato di cose? Vogliamo noi davvero continuare a vivere, e a morire, in questo modo?
Gruppo Mobilità Sardegna
- MESU
- Quartu in Bici
- Donne in bici e micromobilità ASD APS
- La Ciclofucina
- Amici della Bicicletta
- FIAB Cagliari
- Hub.MAT
- “Sai che puoi?” (Milano)
- FIAB PERUGIA PEDALA
- Bike to school Roma
- Streets For Kids
- AVIS SPORT E SOLIDARIETÀ ASD
- Pesaro30
- Clean Cities Campaign
- Legambici – Legambiente per la mobilità attiva APS Milano
- Movimento Diritti dei Pedoni APS
- Rinascimento Green
- Fiab Aosta à Vélo
- Chorós teatro APS (Milano)
- Genitori ECOattivi
- Modena30
- FIAB Modena
(Foto in apertura: Facebook Liceo Alberti)
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