Il mercato globale delle biciclette, stimato in 66 miliardi di dollari nel 2024, rappresenta uno dei settori più dinamici dell’economia mondiale. Tuttavia, dietro l’apparente successo e la spinta verso la mobilità sostenibile potrebbe nascondersi una realtà inquietante: numerose testimonianze parlano di sfruttamento e condizioni di lavoro disumane nelle fabbriche di Taiwan, cuore pulsante della produzione mondiale di bici.
L’inchiesta de Le Monde Diplomatique
Indagini approfondite – pubblicate in un articolo d’inchiesta de Le Monde Diplomatique – hanno raccolto oltre 200 interviste a lavoratori migranti impiegati in stabilimenti di aziende come Giant, Merida, Maxxis e altri fornitori. Questi operai, provenienti da paesi come Vietnam, Thailandia, Indonesia e Filippine, secondo quanto scritto dal giornalista Peter Bengtsen sono costretti a pagare commissioni esorbitanti – fino a 6.500 dollari – per ottenere un impiego, accumulando debiti che li legano in una forma moderna di schiavitù economica.
Tra le pratiche criticate, figurano il trattenimento dei passaporti, alloggi precari e condizioni abitative sovraffollate, nonché il congelamento dei salari, accessibili solo previo consenso dei datori di lavoro. Tali abusi, definiti “lavoro forzato” dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, mettono in luce come, nonostante il coinvolgimento di marchi di fama mondiale, dietro le quinte si consumino violazioni sistematiche dei diritti umani.
La risposta della Taiwan Bicycle Association
In risposta alle accuse sollevate da Le Monde Diplomatique, la Taiwan Bicycle Association (TBA) ha ribadito l’impegno dell’industria taiwanese nel rispettare le normative locali. In un’intervista a Bike Europe, la TBA ha dichiarato:
“Taiwan, quale snodo cruciale della catena di approvvigionamento globale, ha la responsabilità di operare in modo corretto sotto ogni punto di vista, e apprezziamo gli sforzi compiuti per fornirci indicazioni riguardo alle problematiche del lavoro straniero. Le aziende taiwanesi hanno rigorosamente rispettato le normative locali, anche se in alcuni casi queste possono differire dagli standard internazionali. Continueremo a operare nel rispetto della legge sul lavoro di Taiwan, impegnandoci costantemente a migliorare”.
Inoltre, in occasione del Taipei Cycle Show 2025, la Bicycling Alliance for Sustainability (BAS) – composta da 81 membri, tra cui imprese di ogni dimensione – presenterà il “Codice di Condotta sui Diritti Umani” insieme a un piano d’azione concreto, a testimonianza dell’impegno del settore per tutelare i diritti dei lavoratori migranti e promuovere una produzione responsabile e sostenibile.
La risposta di Giant: un impegno concreto per il cambiamento
A completare il quadro, Giant Group – il principale produttore di biciclette di Taiwan e del mondo – ha risposto direttamente alle denunce. In una dichiarazione a Bike Europe, l’azienda ha annunciato che, a partire dal 1° gennaio 2025, si farà carico delle spese di reclutamento, inclusi i costi di agenzia e le tasse governative per i nuovi lavoratori migranti. Charlie Liu, responsabile ESG di Giant e rappresentante della BAS, ha sottolineato come l’azienda abbia reso pubbliche le testimonianze dei lavoratori e precisato che alcuni dettagli, già chiariti in precedenza, non erano stati completamente riportati nel resoconto iniziale pubblicato da parte de Le Monde Diplomatique.
L’industria della bici a Taiwan
Liu ha evidenziato inoltre che, sin dalla costituzione della BAS nel dicembre 2022, l’alleanza si è impegnata a rispettare le convenzioni internazionali sui diritti umani. Nel novembre 2023, durante una riunione del consiglio, è stata proposta – con il pieno consenso dei membri – l’assunzione di esperti esterni per sviluppare un codice di condotta specifico. Con il supporto di un’importante società di revisione, sono state individuate sette tematiche chiave, basate sulle convenzioni delle Nazioni Unite e sulle normative locali, che oggi costituiscono il cuore del nuovo codice, ampiamente sostenuto e sottoscritto dai membri della BAS, tra cui Giant, Merida, KMC, CST, Kenda e CHC.
Il divario tra le denunce e le risposte
Mentre l’indagine giornalistica evidenzia una realtà in cui pratiche di debito, trattenute salariali e condizioni abitative degradanti sembrano essere la norma in molte fabbriche taiwanesi, le risposte istituzionali puntano a enfatizzare il rispetto delle normative locali e gli sforzi di miglioramento. La contraddizione tra le testimonianze dei lavoratori e le dichiarazioni ufficiali evidenzia la necessità di una maggiore trasparenza e controlli più rigorosi.
Il caso di Giant, attualmente sotto inchiesta e potenzialmente soggetto a restrizioni sulle esportazioni, rappresenta solo uno degli esempi del difficile equilibrio tra esigenze produttive e diritti umani, mentre regolamentazioni internazionali – come quella dell’UE che dal 2027 vieterà l’importazione di prodotti realizzati con lavoro forzato – iniziano a fare pressione su tutta la filiera.
Progresso economico e diritti umani
Il settore della bicicletta, trainato da un mercato in espansione e da un crescente impegno verso la sostenibilità, si trova a dover affrontare un bivio etico: da un lato, le gravi accuse di sfruttamento dei lavoratori migranti; dall’altro, le rassicurazioni delle istituzioni taiwanesi e dei principali produttori che puntano sul rispetto delle leggi locali e su iniziative di miglioramento. Finché le denunce sul campo continueranno a contrapporsi alle risposte ufficiali, sarà necessario un impegno condiviso e trasparente – che coinvolga produttori, istituzioni, investitori e consumatori – per garantire che i progressi economici non avvengano a scapito dei diritti umani fondamentali.
[Fonte]
L’immagine di apertura mostra un meccanico di bici al lavoro (foto di repertorio)
I commenti che non rispettano queste linee guida potranno non essere pubblicati